Slovenia, quando la sinistra fa il lavoro sporco della destra
Il centrosinistra sloveno risponde alla richiesta di “ordine” con provvedimenti al limite della costituzionalità: sullo sfondo, la questione rom e un anno elettorale ad alta tensione

Bandiera rom © danielo/Shutterstock
Bandiera rom © danielo/Shutterstock
Correva l’anno 2006, quando Toni Negri venne al centro sociale Rog di Lubiana. Il “cattivo maestro” parlò di un mondo dominato non più dagli Stati-nazione, ma da un sistema globale al quale si poteva contrapporre solo il potere della moltitudine.
La vecchia fabbrica di biciclette era stata occupata da artisti e attivisti. In quell’occasione Negri disse anche che tra i governi di centrodestra e quelli di centrosinistra non c’era differenza, e che spesso la sinistra finiva per fare il lavoro sporco della destra.
Anni dopo, su richiesta del comune, il centro sociale venne sgomberato con l’aiuto dei reparti speciali della polizia. Al suo posto, l’amministrazione cittadina di centrosinistra realizzò un creative hub, uno spazio pubblico di produzione digitale, culturale e artigianale. Un altro simbolo della “Lubiana da bere” del sindaco eterno Zoran Janković.
Che la sinistra faccia ciò che la destra non avrebbe né la forza né il coraggio di fare lo si è visto bene anche in altre occasioni. Nel 2015, quando la rotta balcanica cominciò ad attraversare il Paese, l’esecutivo di centrosinistra guidato da Miro Cerar non ci pensò due volte a srotolare centinaia di chilometri di filo spinato al confine con la Croazia ed erigere barriere fisiche e burocratiche per contenere il flusso dei profughi verso l’area Schengen.
Il governo varò una serie di provvedimenti per limitare gli ingressi, rendere più difficoltoso il diritto d’asilo e facilitare i respingimenti. Alla fine, approvò anche una norma che consentiva ai militari di coadiuvare la polizia nella gestione dell’ordine pubblico. Nessuno scese in piazza per protestare. La Slovenia, per mobilitarsi, ha bisogno che a guidare il governo ci sia Janez Janša e il suo centrodestra.
Oggi, un altro governo di centrosinistra sta promuovendo un giro di vite che limiterebbe i diritti dei cittadini e darebbe più poteri alle forze dell’ordine. In attesa che ciò accada, intanto, i militari sono tornati a pattugliare il confine, per consentire alla polizia di presidiare maggiormente il territorio.
Il premier Robert Golob, con la sua coalizione, ha deciso di farli uscire dalle caserme dopo un tragico fatto di cronaca avvenuto a Novo mesto, città della Bassa Carniola, nella Slovenia centro-orientale. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato un pestaggio in pieno centro: un giovane rom ha colpito un uomo con un pugno; l’uomo è caduto, ha battuto la testa ed è morto. Era una persona conosciuta e stimata a livello locale. Subito c’è stata una levata di scudi generale, accompagnata da manifestazioni di piazza e da annunci di provvedimenti draconiani “per far tornare l’ordine”.
Nella Bassa Carniola, da tempo, i rapporti tra la comunità rom e la popolazione locale non vanno bene. Da anni i sindaci invocano interventi decisi delle autorità, sostenendo che la situazione era sfuggita di mano. Lubiana ha speso fior di quattrini per le politiche a favore di una delle sue tre minoranze costituzionalmente tutelate. I soldi sono arrivati ai comuni, alle organizzazioni rom o a quelle che si occupano di loro.
Se nell’Oltremura qualche risultato si è visto, nella Bassa Carniola poco è cambiato. Le condizioni di vita negli insediamenti rom restano pessime: in alcuni villaggi non ci sono nemmeno elettricità, acqua corrente e rete fognaria. E siamo nel 2025.
Così, ci si trova spesso a fare i conti con una comunità lasciata ai margini, poco integrata e mal tollerata, che campa principalmente di sovvenzioni sociali e di espedienti. In villaggi isolati e ai margini del bosco, alcuni gruppi rom seguono le proprie regole, rispettando poco quelle degli altri.
Ora, con la morte di Novo mesto, tutti i nodi sembrano venuti al pettine. La gente è scesa in piazza ed il governo ha cercato di correre ai ripari annunciando provvedimenti severissimi “per riportare la normalità”.
A poche ore dal fatto, il ministro dell’Interno Boštjan Poklukar e la ministra della Giustizia Andreja Katič hanno rassegnato le dimissioni. Il premier Golob ha precisato che intende “difendere gli sloveni” e “riportare l’ordine in regione”. Per farlo, l’esecutivo ha inviato in Parlamento una serie di modifiche legislative al limite della costituzionalità.
Il leader del centrodestra, Janez Janša, ha commentato laconicamente: “Se lo avessi fatto io, mi avrebbero dato del fascista.”
La Presidente della Repubblica Nataša Pirc Musar ha cercato di calmare l’isteria generale visitando il luogo dell’incidente, incontrando le autorità locali e i rappresentanti della comunità rom. In un discorso al Parlamento ha sottolineato che non si può parlare dei rom senza di loro. Altri hanno ricordato che la sola repressione non servirà a nulla, e che non esistono soluzioni semplici a problemi complessi.
La Slovenia è alle soglie di un burrascoso anno elettorale: a marzo le politiche, in autunno le amministrative. Qui, come nel resto d’Europa, la questione sicurezza terrà banco. I rom della Bassa Carniola sono un tema su cui, da decenni, molti costruiscono le loro carriere. I problemi ci sono, la questione è intricata e la gestione, negli anni, è stata pessima.
Secondo il Global Peace Index, la Slovenia si colloca al nono posto mondiale per livello di pace e sicurezza (l’Italia è al 33° posto). Quando i dati sono stati pubblicati, in molti si sono compiaciuti, celebrando il “paradiso di pace” in cui vivono.
I rom della Bassa Carniola, naturalmente, erano già lì. Da molto prima.
In evidenza
- Testimonianza











