Romania ed erosione costiera: la sostenibilità può attendere
Per difendere il litorale minacciato dall’avanzata del mar Nero, il governo di Bucarest e Bruxelles avevano promesso soluzioni basate su un approccio che metteva al centro la protezione degli ambienti naturali. Alla fine, però, purtroppo ha prevalso la “cura del cemento”

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Cantiere a Costinești - foto di Marco Ranocchiari
Con oltre 840 milioni di euro provenienti dai fondi europei, la Romania ha avviato a partire dal 2013 un colossale progetto per contrastare l’erosione della sua costa sul mar Nero, una delle più vulnerabili d’Europa. Il piano prevedeva inizialmente l’impiego di soluzioni basate sulla natura.
Le fasi più recenti hanno visto susseguirsi interventi molto più invasivi, con barriere frangiflutti e ripascimenti su larga scala con sabbie diverse da quelle originarie. Scelte obbligate secondo il governo romeno, in un contesto di crescente incertezza climatica ed economica. Per ambientalisti e ricercatori, però, si tratta di un’occasione mancata per un cambio di passo.
Un mare che avanza
Per decenni, molti dei sedimenti che alimentano le spiagge del mar Nero sono stati trattenuti dalle dighe costruite sui sui fiumi, Danubio e Dnepr in primis. Una volta raggiunto il bacino, il loro cammino è ostacolato da moli, porti e ogni altro tipo di opere ingegneristiche.
Oggi la natura presenta il conto, reso più salato dal sollevamento del livello del mare indotto dal cambiamento climatico (15 centimetri circa negli ultimi 50 anni) e dalla subsidenza, ovvero lo sprofondamento del suolo, nei delta fluviali.
800 chilometri delle coste del mar Nero (un quinto del totale) subiscono un arretramento superiore al metro l’anno. Le zone più colpite sono i delta fluviali e le coste basse della sponda nord, dall’area di Odessa alcuni litorali di Crimea e Russia, passando per il Delta del Danubio e la Romania, paese tra i più esposti in assoluto.
Romania vulnerabile
Il 43% del litorale romeno è classificato come ad “alta” sensibilità all’erosione, mentre il 37% è già in arretramento. Se i fenomeni più estremi – fino a 8 metri l’anno, con punte di 20 – si registrano nel Delta, gli impatti più gravi si concentrano nella fascia centrale e meridionale.
Qui vivono oltre mezzo milione di persone, e hanno sede importanti porti come Midia, Mangalia e soprattutto Costanza, il più grande del Mar Nero, la cui importanza è cresciuta ulteriormente dopo la parziale chiusura di Odessa.
La costa meridionale è anche il cuore del turismo romeno: oltre otto milioni di visitatori si riversano sulle spiagge di Mamaia, Eforie o Saturn-Mangalia, in spiagge che ogni anno si sono fatte più esigue. A Costanza, anche la scogliera su cui si affaccia uno dei simboli della città – il celebre casinò Art Nouveau – mostrava cedimenti prima dei recenti interventi di consolidamento.
Già dagli anni ’60, durante il regime comunista, l’erosione era un problema pressante, che si cercò di contenere con l’ingegneria pesante: muri, barriere trasversali, frangiflutti e scogliere artificiali. Le barriere, però, non solo deturpavano il paesaggio, ma interrompevano ulteriormente la circolazione dei sedimenti, aggravando l’erosione nei tratti non protetti.
Negli anni ’90, dopo la caduta del regime, il problema fu di fatto ignorato. Fu solo con l’avvicinamento all’Unione Europea che la Romania cominciò a guardare di nuovo alla questione, con un cambio di paradigma.
La promessa delle soluzioni naturali
All’inizio degli anni 2000, con il sostegno di partner internazionali – tra cui l’Agenzia giapponese per la cooperazione internazionale – le autorità romene hanno ripreso ad affrontare il problema dell’erosione costiera, arrivando nel 2012 alla stesura di un “Master Plan” pensato per intervenire in modo organico lungo l’intero litorale.
In linea con le politiche europee, il documento valorizzava le soluzioni basate sulla natura : strategie che lavorano “con, e non contro, i processi naturali”, privilegiando interventi “morbidi” come il ripascimento con sabbie compatibili, da distribuire attraverso le correnti, o la vegetazione per rafforzare le dune. Le opere rigide erano previste solo come ultima risorsa.
La prima fase del progetto, avviata con fondi europei, ha interessato cinque tratti tra Mamaia ed Eforie. Con un investimento di 170 milioni di euro, le spiagge sono state ampliate di 60 ettari tramite ripascimento e barriere sommerse. Nonostante alcune controversie sugli appalti, gli interventi in linea di massima hanno rispettato l’impostazione del Master Plan.
Una svolta mancata
Con la seconda fase , finanziata nel periodo 2014-2020 (ora prossimo alla conclusione), il progetto ha preso bruscamente un’altra piega. Con oltre 30 nuove barriere trasversali, chilometri di scogliere artificiali e più di 220 ettari di spiagge ricostruite, gli interventi appaiono quanto di più lontano dalle "nature-based solutions". Anche il budget è lievitato fino a 840 milioni di euro, il triplo delle previsioni iniziali.
Anche a causa della pandemia, i lavori hanno subito ritardi, che hanno obbligato a spalmare i cantieri in “tappe” e rinviarli al programma UE 2021–2027, perdendo alcune centinaia di milioni di euro del vecchio ciclo di finanziamento.
Le caratteristiche del “nuovo corso” sono evidenti anche ai non addetti ai lavori. A Mamaia – la più celebre località balneare del paese, un tempo rinomata per le sue sabbie dorate – il piano prevedeva un ampliamento della spiaggia tra i 50 e i 110 metri. In alcuni tratti, tuttavia, si è arrivati a quasi 300.
Più a sud, a Costinești, dove dolci colline digradano verso la spiaggia – quasi un idillio, non fosse per una fascia di alberghi cresciuti disordinatamente negli anni – il Master Plan raccomandava di non intervenire, anche per non alterare le correnti in un’area Natura 2000 sulle scogliere a sud dell’abitato. Ciononostante, nel corso del 2024, sono stati costruiti pennelli di cemento lunghi decine di metri, che si spingono fin quasi a lambire il relitto dell’Evangelia, austero simbolo di questo tratto di costa.
Una pioggia di critiche
Per molti studiosi, l’approccio adottato nella seconda fase del progetto appare più orientato al passato che al futuro. “Stanno rifacendo gli stessi errori di cinquant’anni fa”, commenta Tătui, esperto di dinamiche costiere all’università di Bucarest. “Costruendo tutte queste barriere interrompono le correnti intrappolando i sedimenti. Quel che è peggio – aggiunge – è che molte delle imprese coinvolte, con sede in Europa occidentale, nei loro paesi di origine non utilizzano più queste pratiche da anni”.
Un gruppo di ricercatori dell’Università Ovidius di Costanza ha la percezione del nuovo volto della costa da parte dei visitatori e degli operatori turistici dopo l’ampliamento della spiaggia di Mamaia.
I risultati sono disastrosi: oltre il 65% degli intervistati si dichiarava insoddisfatto, tanto a causa dell’aspetto estetico (la località era nota per la sabbia sottile e dorata, ma la nuova sabbia è grossolana, scura e piena di aguzzi frammenti di conchiglie) che per l’agibilità.
Il nuovo fondale infatti diventa profondo molto rapidamente, con una percezione della sicurezza diminuita soprattutto da parte delle famiglie con bambini. In tanti tra gli albergatori temevano che l’aspetto modificato della spiaggia potesse spingere i turisti a orientarsi verso altre destinazioni.
Il tema è arrivato alla ribalta nazionale nel 2022, quando la trasmissione televisiva România, te iubesc ha dedicato una lunga inchiesta all’argomento.
Tra i residenti e i frequentatori abituali delle località costiere, nel frattempo, si è diffusa l’idea che l’eccessivo ampliamento delle spiagge potesse essere funzionale a legalizzare costruzioni esistenti troppo vicine al mare, o a facilitare nuove edificazioni.
La risposta ufficiale: “Non si poteva fare diversamente”
L’Agenzia delle Acque Rumene, interpellata da OBCT insieme al giornale romeno indipendente PressOne, respinge al mittente tutte le critiche, a cominciare dalle accuse di “tradimento”: Il Master Plan andava inteso “come un quadro strategico, non un progetto esecutivo”.
Dietro la scelta del radicale cambio di rotta ci sarebbe la necessità di “bilanciare diversi fattori”. Tra i primi, si legge tra le righe, la natura stessa del finanziamento europeo. Questo infatti “termina una volta concluso il progetto, [dopodiché] i costi e la logistica operativa saranno interamente a carico dello Stato rumeno”.
Per questo motivo – proseguono – “non possiamo abbracciare certi concetti che, per quanto corretti, ci imporrebbero di affidarci a tecnologie non disponibili e a finanziamenti ingenti, per i quali non abbiamo alcuna garanzia, soprattutto perché ci riferiamo a un orizzonte temporale così lungo, che rende impossibile qualsiasi previsione finanziaria e logistica sull’evoluzione della nostra capacità istituzionale”. Le strutture rigide sarebbero quindi “una garanzia di protezione a lungo termine, anche senza manutenzione”.
Quanto agli impatti ambientali, l’agenzia afferma che la compensazione è stata presa in considerazione e che “gli effetti delle dighe sono localizzati” e non alterano significativamente le correnti su larga scala, assicurando comunque che “le soluzioni definitive sono state decise durante la fase di progettazione tecnica, coinvolgendo anche esperti e studiosi locali”.
Le "nature based solutions", in realtà, puntano per definizione a essere sostenibili e durature, mentre quelle più muscolari (almeno quelle del passato) hanno dimostrato di non esserlo. È vero che la maggior parte delle opere realizzate con questi criteri sono state realizzate da troppo poco tempo per esserne del tutto sicuri. Una cosa, ormai, è certa: a scoprirlo non sarà la Romania.
Romania la costa addomesticata
I 250 chilometri di coste romene sul mar Nero sono in rapidissima trasformazione. L’erosione costiera incalza su gran parte del litorale: è massima a nord, dove gli effetti della scarsità di sedimenti trattenuti dalle dighe e del sollevamento del mare si sommano ai processi naturali, ma è un problema economico di primaria importanza nelle spiagge del centro e del sud del paese, frequentate da milioni di turisti ogni anno e sede di porti industriali come quello di Costanza. Un colossale progetto di difesa, finanziato dai fondi di Coesione europei, sta trasformando drasticamente il paesaggio costiero rendendolo sempre più artificiale. Vai alla galleria fotografica di Marco Ranocchiari e Mattia Capelli
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto Cohesion4Climate, cofinanziato dall’Unione Europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
Tag: Cohesion for Climate
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