Novak Đoković, da icona nazionale a nemico dello stato
Dopo aver a più riprese sostenuto le proteste studentesche in Serbia, dimostrando al mondo intero da che parte stava pompando a Wimbledon, Novak Đoković è stato accusato dalla leadership politica e dai tabloid serbi di voler “distruggere lo stato e creare il caos nel paese”
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Novak Đoković - © Shutterstock
(Originariamente pubblicato da Radar )
Un uomo dall’aspetto minaccioso, nascosto dietro agli occhiali da sole, con un cappello e una giacca con la scritta “USAID” e le bandiere di Croazia, Gran Bretagna e Albania, porge i soldi in mano a Novak Đoković, e quest’ultimo sorride. Becero, ma soprattutto assurdo: Đoković ha davvero bisogno di soldi?! Questo meme, diffuso sui social, è stato pubblicato da un account chiamato “Gli studenti per la Serbia”.
Dopo essersi schierato con gli studenti in protesta, il miglior tennista di tutti i tempi è diventato bersaglio di idiozie come quella di cui sopra, messe in atto soprattutto dai media allineati e interi eserciti di bot controllati dal regime.
Già nel dicembre 2021, dopo la decisione del tennista di sostenere le proteste contro Rio Tinto, l’atteggiamento delle autorità nei confronti di Đoković ha cominciato a cambiare, diventando sempre più freddo. Poi nel maggio 2023 è stato chiuso il centro tennistico “Novak”, di cui Đoković aveva parlato con grande entusiasmo solo poche settimane prima. È un segreto di pulcinella che le ragioni della chiusura sono riconducibili a ragioni di carattere politico.
Vento in poppa agli studenti, spina nel fianco per il regime
Il 18 dicembre 2024, nella sua prima reazione alla tragedia di Novi Sad e all’ondata di proteste studentesche, Đoković ha scritto sui social: “Da persona che crede profondamente nella forza dei giovani e nel loro desiderio di un futuro migliore, penso sia importante che la loro voce venga ascoltata. La Serbia ha un potenziale enorme e i giovani istruiti sono la sua più grande forza. Abbiamo tutti bisogno di comprensione e rispetto. Sono al vostro fianco”.
Un messaggio di sostegno che, pur essendo stato giudicato tiepido da alcuni, ha portato vento in poppa agli studenti, al contempo rappresentando una spina nel fianco per il governo. Una spina così fastidiosa che ad alcuni media filogovernativi è stato intimato di non parlare di Đoković per un po’.
Così mentre Novak giocava nel torneo di Brisbane, le pagine sportive di numerosi portali serbi erano vuote. Era come se non avesse nemmeno giocato. Ignorare chi la pensa diversamente è una tattica a cui il regime ritorna di tanto in tanto, l’ennesima prova del suo carattere autoritario.
Poi è arrivato gennaio e con esso l’Australian Open. Con un fuso orario di dieci ore, tutti noi che in quel momento eravamo a Melbourne, appena svegliati, prendevamo in mano il telefono con ansia, per vedere cosa stava succedendo a casa, chi è stato aggredito, picchiato, investito. Novak non si distingue da questo punto di vista, però la sua voce arriva molto più lontano.
“Per Sonja”, ha scritto sull’obiettivo della telecamera, esprimendo così il suo sostegno alla studentessa Sonja Ponjavić, ricoverata in ospedale dopo essere stata investita sul marciapiede durante uno dei blocchi stradali a Belgrado.
“Sono rimasto scioccato, come tutti, quando ho visto il video. Semplicemente non riesco a capire come oggi possano accadere queste cose. Non so cosa spinga una persona a fare una cosa del genere, cioè a investire un’altra persona, per di più una giovane donna, una studentessa”.
Via libera agli attacchi
A quel punto i tabloid hanno ottenuto il via libera per scagliarsi contro Novak, accusandolo di essere dalla “parte del caos” e “al fianco degli hooligan”, e di voler “distruggere la Serbia”. Tuttavia, Đoković è tornato a parlare delle proteste durante il torneo.
“Seguo quanto sta accadendo attraverso i social, non posso far finta di niente. Ovviamente, pur trovandomi in Australia, sono sconvolto da vicende come quella accaduta l’altro giorno che ha visto coinvolta Sonja. Purtroppo, non è l’unico caso di violenza contro gli studenti e i giovani. È una grande sconfitta per noi come società, per la società serba in generale. Il mio sostegno va sempre ai giovani, agli studenti e a tutti quelli a cui appartiene il futuro del nostro paese”.
Una volta sganciati i cerberi, Đoković è diventato bersaglio di insulti e commenti volgari su diversi portali e social. La campagna denigratoria non si è mai fermata, con commenti concordati in precedenza che hanno portato a situazioni assurde e tragicomiche.
“Impedite a quello stronzo di giocare sotto la bandiera serba, sta distruggendo il suo paese. Gioca pure sotto la bandiera americana!!!”, recita un post pubblicato su Facebook da un certo Dragiša, il cui profilo si apre con un’immagine che mostra Novak Đoković festeggiare un punto conquistato. Per Dragiša, in privato, Đoković è un’icona, in pubblico, invece, un mercenario al soldo degli stranieri.
Durante la grande manifestazione di protesta tenutasi lo scorso 15 marzo a Belgrado, Đoković ha condiviso un video girato nelle strade della capitale serba, accompagnandolo con le parole: “Storia, magnifica!”
In un messaggio di congratulazioni per la medaglia d’oro olimpica, il presidente serbo Aleksandar Vučić aveva esaltato “lo spirito indomito e il patriottismo” di Đoković, sottolineando come i valori coltivati dal tennista rappresentassero “un esempio per tutti”.
Solo sette mesi dopo, Vučić ha accusato Đoković di essere uno dei pochi atleti che si schierano sempre “contro di noi”. Linguaggio ripreso dai tabloid, seppur con toni molto più accesi, così sulle pagine di Informer abbiamo potuto leggere come “Novak e Jelena hanno sostenuto gli hooligan, persone che, al pari di Kurti e degli ustascia, vogliono distruggere la Serbia”.
Sembra davvero assurdo definire “vergognoso” il comportamento di una persona, come Đoković, che tante volte ha sventolato con orgoglio la bandiera serba, contribuendo a migliorare la reputazione della Serbia a livello internazionale.
"Pompare" a Londra
Si vocifera con sempre maggiore insistenza che Đoković intenda trasferirsi ad Atene con la famiglia. Dove c’è fumo… I media internazionali speculano sui motivi del presunto trasferimento, collegandoli all’atteggiamento della leadership di Belgrado nei confronti di Đoković. Come dargli torto?
A Wimbledon, il torneo di tennis più prestigioso al mondo, Đoković ha festeggiato le sue vittorie “pompando”, condividendo così lo slogan della mobilitazione studentesca in Serbia.
“È una questione tra me e i miei figli. Ci sono due canzoni che ascoltiamo in questo periodo. Abbiamo parlato di come quella coreografia potesse adattarsi ad ogni vittoria a Wimbledon. È così che festeggerò anche in futuro a Wimbledon. Un parallelismo simbolico! La prima è una canzone straniera, una hit ‘dance’ intitolata Pump it up, la seconda invece è Baci sve sa sebe [Spogliati di tutto], quando ad un certo punto dice ‘pumpaj, pumpaj, zašto si stao?’ [pompa, pompa, perché ti sei fermato?]”.
Dopo una vittoria, Novak ha cantato il ritornello davanti alle telecamere: Pump it up!
“So chi sono, l’integrità è un concetto che difendo con tutto il mio essere, è molto importante assumere un atteggiamento nella vita. Questo è il mio carattere”, ha dichiarato il tennista.
Zorana Mihajlović, già ministra del governo di Belgrado, ha affermato che Novak si è schierato coi violenti che vogliono un Kosovo indipendente. Così l’ex ministra si è unita alla caccia all’uomo lanciata da chi accusa Đoković di essere un traditore.
Il presidente Vučić, invece, sta cercando di bilanciare, almeno così sembra.
“Certo, tifo Đoković con tutto il cuore. È un’icona della Serbia. Può sparlare di me quanto vuole, sostenere [i miei] oppositori politici, ma sarebbe sciocco e stupido se io parlassi male di lui”, ha dichiarato Vučić.
Sembra che i media controllati da Vučić e l’esercito dei suoi bot siano proprio sciocchi.
Così Novak Đoković, il più grande ambasciatore della Serbia nel mondo, è diventato “un problema” per quelle stesse persone che, fino a qualche anno fa, hanno riversato su di lui un fiume di elogi. Oggi gli riversano addosso varie etichette che, considerati i tempi in cui viviamo, potrebbero essere intese come medaglie.
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