Mare Adriatico, culla incustodita di biodiversità

Il mare Adriatico-Ionico protegge solo il 3,4% delle sue acque contro una media europea del 10,8%: esperti chiedono azioni coordinate tra i dieci Paesi del bacino per contrastare pesca intensiva e turismo di massa

03/09/2025, Marta Abbà

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Costa adriatica nell'area di Trieste - Foto M. Abbà

Nei quasi 500 mila km² della macro-regione Adriatico-Ionica solo il 3,4% dell’area marina totale è protetta. Frutto dello “sforzo” di tutti i dieci Paesi che vi appartengono (Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Grecia, Italia, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Slovenia e San Marino), questa copertura è un terzo di quella media dei mari europei (10,8%) ed è estremamente limitata rispetto agli standard internazionali.

Questo record negativo anche all’interno dello stesso Mediterraneo, esattamente nell’area considerata la “culla” di tante specie uniche che lo popolano, preoccupa e soprattutto interroga tutti i Paesi coinvolti. Uno per uno, ma anche tutti assieme, perché non esistono solo aree marine protette nazionali.

Tre minacce certe, tre rimedi possibili

A tirare le somme della fragilità non protetta del bacino adriatico sono i due ricercatori sloveni Andrej Sovinc e Anja Kržič di NaravaNarave d.o.o, i quali hanno provato a identificare anche le tre principali minacce e le tre priorità di azione.

Strenuo sostenitore delle “no-take zone", dove è vietata qualsiasi attività che possa alterare l’ambiente, Sovinc punta il dito principalmente sulla pesca intensiva e sul trasporto marino, ma anche sul turismo. Cita come esempio il tratto di mare dall’Istria a Trieste dove “stiamo distruggendo a gran ritmo le risorse naturali marine estraendo dal mare biodiversità”.

Esprimendo preoccupazione rispetto ai futuri effetti dell’attuale boom turistico che emergeranno, Sovinc è convinto che “Paesi come Italia, Grecia, Croazia, e ora probabilmente anche Montenegro, che stanno dichiarando le zone economiche esclusive (EEZ), potrebbero e dovrebbero trasformarle in zone esclusive anche dal punto di vista ambientale”.

La vede come una buona occasione per guadagnare qualche chilometro quadrato in più di superficie marina protetta ma non esclude le responsabilità dei restanti Paesi parte della Strategia dell’UE per la Regione Adriatico-Ionica (EUSAIR).

“È necessario estendere le aree per proteggere alcune specie di grande valore per la biodiversità ma tuttora minacciate dalle attività umane – aggiunge – e agire nella direzione indicata dalla Convenzione della Diversità Biologica (CBD) dell’Unione Europea anche per quel che riguarda il mare”.

Alleanze adriatiche per non lasciare “buchi”

Per stimare l’efficacia di una iniziativa di protezione di aree marine, Sovinc ritiene meglio focalizzarsi sulle singole azioni e la loro coerenza con i singoli contesti dove vengono attuate, “al di là della loro natura nazionale o sovranazionale”.

Memore dell’ottimo risultato ottenuto con l’area marina protetta della Fossa di Pomo, tra Italia e Croazia, Sauro Pari è invece convinto che le aree marine protette sovranazionali siano fondamentali e che lo saranno sempre di più.

Da fondatore e presidente di Fondazione Cetacea , Pari spera in un futuro ampliamento di tale iniziativa “l’area più difficile da proteggere è proprio quella fuori dai confini nazionali, dove tutti vanno e possono pescare. Solo le aree marine protette sovranazionali potrebbero mettere un freno all’iper sfruttamento delle risorse ittiche, oggi giunto a livelli industriali frutto di un mercato ormai deviato”.

Anche dal punto di vista scientifico, un approccio sovranazionale aiuterebbe. Quando in passato lo si è scelto, Pari ne ha tratto importanti risultati, come per esempio sul “progetto dedicato all’inquinamento del rumore in mare: è importantissimo usare gli stessi parametri e poter fare un’analisi unica sulle due coste di competenza – racconta – il progetto sta proseguendo e grazie all’uniformità di dati speriamo di dimostrare che l’inquinamento sonoro ha radici comuni e servono normative uguali”.

Bellezza fragile e trascurata

Di fronte a un mare Adriatico in balia di over-pesca, over-navigazione e over-turismo, lo sguardo del ricercatore e docente di zoologia dell’Università di Bari Cataldo Pierri si posa sulla disparità tra aree marine protette sulle sponde orientali e occidentali.

“Dall’altra parte ci sono oltre 30 aree marine protette, in Italia sono quattro e in un contesto estremamente sfruttato dalle flotte pescherecce e al centro di progetti eolici offshore importanti – spiega Pierri – questo sottolinea la profonda inconsapevolezza ecologica del funzionamento del mare che esiste soprattutto nel nostro Paese. La nostra è un’ecologia della bellezza: proteggiamo il mare solo nei posti belli per i subacquei”.

Per sua sfortuna l’Adriatico ne ha meno di altri, soprattutto a causa della sua conformazione che lo rende però “una delle zone più produttive dell’intero Mediterraneo”. Pierri enumera diverse ragioni che lo rendono speciale e allo stesso tempo fragile: la presenza di correnti che girano in senso anti-orario e le acque ricche di nutrienti, per esempio. Peccato per la bassa profondità che accentua gli effetti del suo sfruttamento e dell’innalzamento delle temperature legato alla crisi climatica.

“Ogni suo punto è sfruttabile per qualsiasi tipo di attività di pesca e risente maggiormente di variazioni climatiche, mostrando una ridotta capacità di adattamento da parte delle specie native a vantaggio di quelle alloctone” sottolinea Pierri.

E poi torna sulle aree marine protette perché questa situazione marina pressoché unica al mondo favorisce gli spostamenti delle specie e “se vogliamo preservarle dobbiamo proteggere tutte le aree che frequentano durante il loro ciclo biologico, che siano pesciolini, tartarughe, delfini o squali. Altrimenti si creano progetti monchi”.

Uniti si protegge: la sfida di SAMESEA

Garantire la protezione dell’Adriatico significherebbe garantire la protezione della biodiversità in tutto il Mediterraneo. Visto che da ogni sponda la maggior parte degli esperti concorda, arriverà forse il momento in cui questa omogeneità di opinioni si tradurrà in uno spontaneo aumento di chilometri quadrati protetti condivisi.

Per ora ci pensano alcuni progetti Interreg IPA Adrion come SAMESEA mirati a favorire la collaborazione tra i professionisti del settore mare tra le due sponde per raggiungere una gestione più sostenibile delle specie marine sentinella e delle attività umane che impattano sulle loro vite. Si punta tutto sull’approccio transnazionale: che siano studi, linee guida e strategie, li si condivide in fase di creazione perché lo possano diventare anche in quella di attuazione.

 

 

Questa pubblicazione è stata realizzata nell’ambito del progetto Cohesion4Climate, cofinanziato dall’Unione Europea. Si avvale inoltre delle attività di ricerca sostenute dal progetto Il contributo delle Comunità di Pratica per l’integrazione europea dei Balcani, cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano.