Il tramonto delle piccole sale cinematografiche romene
La Romania ha il minor numero di sale pro capite in Europa. Delle oltre 400 sale presenti dopo il comunismo, la maggior parte è stata chiusa o riconvertita. I moderni multiplex nei centri commerciali non compensano la perdita dei cinema di quartiere, luoghi di cultura e identità

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Plaza Romania Shopping Mall, Bucharest @ Radu Bercan/Shutterstock
Nel 2024, la Romania contava, secondo i dati dell’Annuario Statistico della Cinematografia, 108 cinema attivi. Sono pochi o sono tanti?
Un articolo pubblicato da Thrillist nel novembre dell’anno scorso, diventato piuttosto virale su internet, cercava di rispondere alla domanda "In cosa è peggiore ogni Paese europeo?". Se l’Italia “primeggiava” per l’evasione fiscale e la Francia, ad esempio, per la scarsa conoscenza della lingua inglese, la Romania si distingueva per avere il numero più basso di cinema pro capite: solo 3,8 sale per milione di abitanti.
“Riuscite a immaginare com’era il giorno dell’uscita di Guardiani della Galassia?”, scriveva Thrillist. “Le file dovevano essere lunghe centinaia di metri, e nessuno voleva sedersi in prima fila.”
L’ironia è che, osservando le statistiche degli ultimi anni senza considerare la realtà locale e storica, la situazione potrebbe persino non sembrare così drammatica. Anzi, il numero di cinema è rimasto piuttosto stabile o addirittura in lieve crescita.
Per afferrare davvero il senso di questo fenomeno, bisogna fare un salto indietro nel tempo — molto più indietro del 2009. Va riconosciuto che la Romania, nonostante il comunismo, la censura e una storia tutt’altro che indulgente, ha saputo coltivare un panorama culturale vivace. Nel 1990, appena dopo la caduta del regime, il Paese poteva ancora contare su 430 sale cinematografiche.
La rivoluzione del 1989 ha spalancato le porte alla libertà di espressione e al mondo occidentale, ma ha anche lasciato dietro di sé una scia di disordine: l’amministrazione post-comunista si è ritrovata a riorganizzare da capo interi settori, tra cui quello culturale.
A prendere in mano le redini delle sale cinematografiche fu la RADEF – Regia Autonoma per la Distribuzione e l’Esibizione dei Film, nota come RomaniaFilm. Ma il sogno di una rinascita culturale si scontrò presto con la realtà: gestione inefficiente, fondi scarsi e totale disinteresse politico. Risultato? Anno dopo anno, quei cinema — un tempo cuore pulsante delle comunità — hanno iniziato a cadere a pezzi. La cultura è scivolata rapidamente in secondo piano; in un mondo radicalmente cambiato, le priorità erano la sopravvivenza e l’adattamento, non certo la salvaguardia del patrimonio culturale.
Il lento declino dei cinematografi romeni ha raggiunto il suo punto di svolta nel 2008, con l’approvazione della legge 303, che ha trasferito la gestione delle sale dalla RADEF alle autorità locali — ovvero ai municipi e ai consigli di contea. Da lì in poi, il destino di ogni cinema è dipeso dalla volontà politica e dalla sensibilità culturale dei singoli territori. Alcune amministrazioni hanno scelto di investire nella loro conservazione, trasformando questi spazi in luoghi d’incontro o piccoli teatri di comunità. Nei casi più fortunati, le sale hanno trovato una seconda vita. Ma non sempre è andata così. Molti edifici sono stati convertiti in sale bingo, luoghi di culto, club, discoteche o negozi. Altri, più tristemente, sono stati lasciati chiusi, murati o dimenticati, condannati a un lento disfacimento tra infiltrazioni, polvere e silenzio.
Oggi, passeggiando per le strade di Bucarest, ci troviamo circondati da tracce ancora tangibili della storia. Alcune di queste vecchie sale cinematografiche sono ancora in piedi, resistono al tempo, ma portano addosso i segni dell’abbandono. Sono frammenti di memoria urbana che parlano, ma senza più voce.
L’ascesa dell’interesse immobiliare per edifici situati in pieno centro, spesso di grande valore architettonico, ha accelerato il declino. A ciò si è aggiunta l’invasione delle TV via cavo, delle videocassette, dei DVD, dei film piratati, e infine dei centri commerciali: ogni nuova comodità ha sottratto pubblico alle vecchie sale, una proiezione alla volta.
Eppure, come dicevamo all’inizio, i numeri raccontano un paradosso: negli ultimi 10-15 anni le sale sono aumentate. Si, ma si tratta dei moderni multiplex nei mall — templi del consumo dove regnano blockbuster, comfort e popcorn al caramello. Un’esperienza patinata, lontana anni luce dal fascino ruvido dei vecchi cinema di quartiere.
“Lo sai cosa sono, in realtà, questi centri commerciali, cosidetti Mall?”, mi racconta l’architetta Ileana Apostol. “Sono i vecchi circoli della fame. Così si chiamavano, ai tempi di Ceaușescu, quei grandi edifici con la cupola, pensati come centri per la distribuzione razionata del cibo, in un periodo in cui trovare da mangiare era una vera impresa. “Non era per fare del bene,” precisa, “ma per controllare l’accesso agli alimenti.” Molti di quegli edifici, mai terminati durante il regime comunista, sono stati riconvertiti anni dopo diventando quello che sono adesso i Mall. Luoghi nati per gestire la scarsità, trasformati ora in templi del consumo.
Hanno semplicemente cambiato faccia, ma conservano — in modo sottile — la stessa logica di consumo e dipendenza.
Il vero problema non è quindi che manchino le sale cinema. Il dramma è che un pezzo importante della nostra storia stia lentamente scomparendo davanti ai nostri occhi. Che ne facciamo di questi spazi pieni di memoria e bellezza? E, soprattutto, che ne è delle persone nelle piccole città, dove magari c’è un Mall, ma nessun cinema vero — nessun luogo dove vedere un film d’autore, un documentario, un titolo da festival?
“Ogni volta che cerchiamo sale per il festival One World Romania,” racconta il regista Alexandru Solomon in un’intervista a Euronews , “le opzioni a Bucarest sono sorprendentemente poche. A parte i multiplex, ci sono solo tre o quattro sale centrali dove si possono proiettare film d’arte o pellicole europee meno commerciali.”
Per Solomon, il problema è anche culturale: “Bisogna leggere per formarsi un gusto, un appetito per certe cose. Vale lo stesso per il cinema: se non hai occasione di vederlo, come puoi dire che il cinema d’autore — che a volte può sembrare pretenzioso — non è qualcosa di cui hai bisogno? Molti lo evitano convinti che sia noioso o difficile”, aggiunge, “ma non è così.”
Non tutti vogliono (o possono) vivere il cinema soltanto nei grandi centri commerciali. I vecchi cinema di quartiere avevano una funzione, un’identità. Alcuni la conservano ancora. Un gruppo di attivisti romeni ha lottato a lungo per salvare il cinema Favorit, del quartiere Dru ul Taberei di Bucarest. Purtroppo non ce l’hanno fatta, ma infine l’attuale sindaco del distretto è riuscito ad avviare un progetto per la costruzione di un centro culturale al posto delle rovine del vecchio Favorit.
"È un peccato che i cinema statali siano stati aboliti o riconvertiti", mi dice Bogdan Movileanu, da anni impegnato presso l’Archivio Nazionale del Film Romeno. "Ma la vita è anche adattamento, quindi bisogna considerare anche gli aspetti positivi".
Certo, anche la struttura stessa e la storia di un luogo hanno il loro valore. “Seduto in sala”, racconta Bogdan, “a volte penso a come uno spazio venga occupato nel tempo da persone che, pur non conoscendosi, sviluppano comunque un legame. Il cinema ha un’esistenza fisica particolare, una sua personalità che si alimenta con le emozioni di chi lo attraversa. Tra le sue mura, qualcuno ha riso o ha pianto. In fondo, la connessione tra architettura, cinematografia e spettatori è più importante di quanto sembri”.
Avendo moderato lo scorso anno oltre 50 incontri con il pubblico al termine delle proiezioni al cinema Eforie di Bucarest, Bogdan ha potuto osservare quanto siano diversi gli atteggiamenti delle persone davanti al grande schermo. È giunto alla conclusione che, indipendentemente dallo schermo su cui viene proiettato un film, lo schermo più determinante resta quello della nostra mente e dei nostri limiti di comprensione.
Come diceva il caro Bob Dylan, “The times they are a-changin’”. I tempi cambiano sempre, e noi con loro.
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