
Studenti protestano a Istanbul - © Sadik Gulec/Shutterstock
Dopo l’arresto di Ekrem İmamoğlu è stato il movimento studentesco a trainare il movimento di protesta in Turchia. I rappresentanti di un comitato di studenti impegnati nel coordinare le manifestazioni raccontano a OBCT - in forma anonima e senza filtri - la loro esperienza e le loro speranze
Qual è l'orientamento politico della maggior parte degli studenti? Come descrivereste il manifestante tipico?
Giovane, giovanissimo, turco o curdo poco importa. Tendenzialmente impegnato in politica, all'interno dell'università o come tesserato di un partito, ideologicamente schierato a sinistra.
Disdegna l'attuale sistema di potere e ha poca fiducia nei confronti dell'opposizione. Non ha niente da perdere, per questo ha idee e atteggiamenti che possono essere considerati radicali. Non è certo raro imbattersi in manifestanti che per la prima volta si misurano con la politica e la piazza.
Partiamo dall'evento che ha preceduto l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu. Qual è stata la vostra reazione alla revoca del diploma di laurea?
Per quanto ci riguarda l'annullamento della laurea non ha alcuna base legale, si è trattato di un atto politico, non vale neppure la pena discuterne.
La notizia si è sparsa subito nei gruppi studenteschi di cui facciamo parte. Chi non ne era a conoscenza è stato informato immediatamente. L’arresto di İmamoğlu è avvenuto il giorno successivo, non pensavamo che il governo si sarebbe spinto a tanto. Eravamo già in strada, a quel punto rimanerci era un obbligo, l’indignazione era alle stelle.
Che cosa è successo il 19 marzo nella piazza di fronte all'Università di Istanbul (İÜ)?
È Piazza Beyazıt, un luogo di ritrovo dall'alto valore simbolico nella memoria storica della sinistra turca, Nâzim Hikmet stesso la menziona in una poesia. Qui si è scesi in strada dopo il colpo di stato del 1960, dopo quello del 1971, sempre qui ci si è scontrati con gruppi di nazionalisti di destra nella seconda metà degli anni Settanta, si sono tenuti scioperi a fianco del movimento operaio e raduni in occasione del Primo Maggio.
Purtroppo dagli anni Ottanta in poi studenti e lavoratori si sono gradualmente allontanati dalla politica, per questo continuare quella tradizione di resistenza rappresenta per noi una piccola vittoria.
Quel giorno - in maniera improvvisata e sull'onda delle emozioni - più gruppi di studenti si sono ritrovati nella piazza e hanno sfondato il cordone di polizia , simbolicamente l'attuale movimento di protesta è nato proprio in quel momento.
Solo nei giorni successivi ci si è spostati a Saraçhane, di fronte alla municipalità di Istanbul. Da allora le manifestazioni hanno assunto una forma diversa, meno spontanea, più strutturata in quanto gestita dal Partito Popolare Repubblicano (CHP).
Ma siamo stati noi giovani la scintilla, è stato il movimento studentesco ad aver indicato la via, ad aver dato coraggio all’opposizione.
In parallelo alle manifestazioni si è assistito alla chiamata di un boicottaggio economico e delle lezioni, che cosa potete dire al riguardo?
Boicottare aziende filo-governative ci è parso da subito un metodo di lotta alternativo. È anche il più sicuro, ogni cittadino turco può infatti partecipare senza il rischio di ritorsione da parte della magistratura. Il pessimo stato dell’economia è il vero tallone d’Achille del governo. Boicottare aziende vicine ai centri di potere è una delle forme di lotta più efficaci, il fastidio delle autorità ne è una chiara conferma.
Il boicottaggio didattico si è rivelato un successo. Migliaia di studenti hanno abbandonato le aule delle università, in certi casi sostenuti anche dai docenti. Boğazici, İTÜ, İÜ, Galatasaray, Marmara, Mimar Sinan e Yeditepe a Istanbul, ÖDTÜ e Hacettepe ad Ankara, Ege a Izmir: queste sono solo alcune delle facoltà che si sono unite alla causa, ne potremmo citare altre.
La partecipazione alle proteste sembra però in calo, secondo voi quali sono le cause? Qual è il futuro del movimento?
Il governo - dopo aver assistito alla reazione della piazza - ha pensato di prolungare le vacanze di fine Ramadan, estendendole fino al 6 marzo. In occasione della fine del Ramadan in Turchia è tradizione ritornare nel proprio paese natale per visitare la famiglia. Di fatto per 9 giorni il paese è andato in letargo, scuole e università sono rimaste chiuse e i principali centri urbani si sono svuotati, a quel punto l'intensità delle proteste è calata, non poteva essere altrimenti.
Ma non è questa la principale arma con la quale il governo sta cercando di opporsi al movimento studentesco bensì la sorveglianza e l'intimidazione digitale. Condividere il proprio pensiero su piattaforme quali X o Instagram è potenzialmente pericoloso, ci si può ritrovare convocati in una stazione di polizia.
Lo stesso avviene per chi viene identificato alle proteste, spesso si rischiano sanzioni amministrative o penali, centinaia di studenti sono stati arrestati, per questo c’è chi scende in strada a volto coperto. Eravamo già abituati a questi metodi, rallentamenti e blocchi ai social media avvengono sempre dopo eventi in cui si scatena la rabbia popolare, basti pensare a quanto successo dopo il terremoto del 2023 nel sud-est del paese.
È difficile prevedere che cosa accadrà nei prossimi mesi. Di certo ci aspettiamo un Primo Maggio con una forte partecipazione popolare, è una data simbolica per ovvi motivi, speriamo sia un punto di svolta. Ci auguriamo di vedere al nostro fianco lavoratori, sindacati, partiti e gente comune. La nostra è una chiamata a uno sciopero generale, dobbiamo riempire le piazze del paese.
Sulla stampa nazionale e non si sente spesso menzionare il cosiddetto "spirito di Gezi"? Cosa ne pensate a riguardo?
C'è chi considera un fallimento quell'esperienza, noi rifiutiamo categoricamente questo giudizio. In fondo il parco di Gezi è rimasto al suo posto in Piazza Taksim e gli alberi non sono stati abbattuti.
Si è trattato di una sollevazione popolare spontanea, che ha coinvolto diversi segmenti della popolazione turca, quello di cui avremmo bisogno oggi. Nonostante la maggior parte di noi fosse troppo giovane per avervi partecipato, quegli eventi rimangono una fonte di ispirazione. Ci nutriamo dello spirito di Gezi e cerchiamo allo stesso tempo di capire cosa non ha funzionato.
In segno di solidarietà ci sono stati capannelli di protesta organizzati da studenti turchi iscritti agli atenei italiani, in particolare a Padova e a Roma, e anche in altre città europee. Avete un messaggio per loro?
Ne siamo consapevoli. Li ringraziamo e chiediamo loro di sostenerci il più possibile, e il miglior modo per farlo è scendere in strada. La democrazia non si può difendere solo a parole, riconquistare lo spazio pubblico è necessario per tenere testa alle autorità e per spezzare l’imbarazzante silenzio dei governi occidentali su quanto sta accadendo in Turchia.
(con la collaborazione di Leone Buiatti)
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