Paola Rosà 11 ottobre 2021

Dodici organizzazioni, compreso OBCT, hanno partecipato dal 6 all'8 ottobre a una ricognizione sul campo per verificare la situazione della libertà di stampa in Turchia: mentre il governo si è rifiutato di partecipare agli incontri, dall'opposizione e da altre istituzioni e gruppi della società civile arriva un grido d'allarme. Qui di seguito le prime conclusioni della missione, che porteranno a breve alla stesura di una relazione più corposa.

La crisi della libertà di stampa in Turchia è aggravata dall’aumento della censura digitale, è questa la conclusione di una missione congiunta di organizzazioni internazionali che si occupano di giornalismo e di diritti umani, che si è svolta nel paese dal 6 all’8 ottobre.

Il governo ha annunciato di voler presentare una legge di contrasto alla “disinformazione” che non farà altro che criminalizzare ulteriormente la libertà di espressione e il giornalismo online indipendente. Sebbene non sia ancora disponibile una bozza ufficiale del disegno di legge, incontri con giornalisti e parlamentari hanno confermato che è probabile introdurrà sanzioni penali - e condanne alla reclusione - per coloro che diffondono “disinformazione” online. Una legge simile consoliderebbe il controllo governativo su uno degli ultimi spazi liberi in Turchia e, congiuntamente alla legge dello scorso anno sui social media, aumenterebbe la pressione sui gestori per farli diventare complici della censura turca di regime.

Mentre funzionari del governo dichiarano che la legge sarebbe ispirata a misure adottate in altri paesi tra cui la Germania, il paragone è errato: la legge tedesca NetzDG non disciplina - né tantomeno criminalizza - la “disinformazione”. Inoltre, sebbene diversi gruppi a difesa della libertà di stampa abbiano criticato la legge tedesca che regola i social media, l’indipendenza del sistema giudiziario tedesco garantisce la possibilità di ricorrere in caso di violazione di diritti. Al contrario, i tribunali turchi non sono indipendenti e non garantiscono protezione in caso di abusi da parte di leggi di questo tipo.

Al tempo stesso, la missione ha rilevato un aumento allarmante degli sforzi governativi di screditare i media indipendenti che ricevono fondi dall’estero. Questo processo è culminato recentemente in un disegno di legge presentato da un parlamentare dell’MHP che propone la registrazione obbligatoria per le organizzazioni e gli individui che ricevono fondi da, o sono “influenzati” da, società estere. A prescindere dall’approvazione di questo disegno di legge, se ne deduce chiaramente come il governo abbia tra le sue priorità l’intenzione di mettere pressione sulle organizzazioni finanziate dall’estero. Si tratta di una prospettiva allarmante in un contesto in cui gli ultimi media indipendenti in Turchia sono già demonizzati e devono affrontare pressioni economiche in un mercato già fortemente caratterizzato dal controllo statale.

I delegati della missione hanno discusso le diverse proposte di legge con parlamentari dell’opposizione sia della Commissione d’inchiesta sui diritti umani sia della Commissione per le piattaforme digitali del Parlamento turco. I presidenti delle due Commissioni, esponenti del partito di governo, l’AKP, non hanno accettato la richiesta di un incontro.

Guidata dall’International Press Institute, IPI e dal suo Comitato Nazionale in Turchia, la missione comprendeva rappresentanti di Article 19, del Committee to Protect Journalists (CPJ), di PEN - UK, PEN - Norvegia, ECPMF, Human Rights Watch, OBCT, Pen International, Reporters Without Borders e SEEMO.

Dal 4 all’8 ottobre i partecipanti alla missione si sono incontrati ad Ankara, Istanbul e online con direttori, giornalisti, gruppi della società civile, parlamentari di diversi partiti, membri di diversi organi di controllo governativi, diplomatici di 23 paesi, funzionari della UE, rappresentanti di aziende high-tech internazionali e della Corte Costituzionale turca.

Gli incontri hanno confermato un ulteriore peggioramento della situazione in Turchia per la stampa indipendente che resta nel paese in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari previste per il 2023. Oltre alle minacce crescenti di censura nel mondo digitale, i giornalisti continuano a subire processi arbitrari e un vero e proprio accanimento giudiziario sulla base dell legge anti-terrorismo e della legge sulla diffamazione, tra le altre. Lo stato di diritto nel paese è in costante erosione. Il sistema giudiziario è altamente politicizzato e incapace - con la parziale eccezione della Corte Costituzionale - di proteggere i diritti fondamentali. Praticamente tutti gli intervistati hanno sottolineato come la mancanza di indipendenza del potere giudiziario sia all’origine dei problemi della libertà di stampa in Turchia. Nonostante un paio di anni fa sia stata annunciata in pompa magna una riforma del sistema giudiziario, sono stati fatti pochi passi avanti.

In un incontro con la Corte Costituzionale Turca, che nonostante il clima generale continua ad avere un ruolo fondamentale nella protezione dei diritti umani, la missione ha sottolineato la necessità di velocizzare i processi relativi alla libertà di stampa. Gli inviati hanno osservato come spesso le sentenze della Corte Costituzionale, anche se favorevoli per i giornalisti, arrivino troppo tardi per le vittime. In alcuni casi la Corte non si è ancora pronunciata nonostante siano in corso gravi violazioni dei diritti, ad esempio in casi di detenzione di giornalisti. Un altro elemento centrale della discussione è stato il rifiuto da parte dei tribunali nazionali di applicare le decisioni della Corte Costituzionale.

Gli incontri hanno poi confermato che il controllo da parte del potere politico su tutte le istituzioni statali le istituzioni statali si estenda ben oltre i tribunali, includendo organi di regolamentazione come l’Alto Consiglio per la radio e la televisione RTÜK. İlhan Taşci, componente dell’Alto Consiglio nominato dal partito di opposizione CHP, ha detto alla delegazione che le emittenti televisive indipendenti si trovano ad affrontare un numero crescente di sanzioni arbitrarie e divieti di trasmettere, mentre i media filogovernativi non ricevono mai sanzioni nonostante reclami pubblici. La missione ha chiesto un incontro ufficiale con il presidente dell’Alto Consiglio, nominato dall’AKP, ma non ha ricevuto risposte.

La delegazione si è anche detta preoccupata del numero crescente di attacchi fisici ai giornalisti, e della conseguente impunità per gli autori. I componenti della Commissione d’inchiesta sui diritti umani sono stati invitati a esaminare la questione coinvolgendo tutti i partiti.

Sotto il profilo della questione globale della maggiore sorveglianza dei giornalisti da parte dei governi, la delegazione ha anche espresso la sua preoccupazione per l’apparente assenza di supervisione parlamentare sull’uso delle tecnologie di sorveglianza in Turchia, ai danni anche di giornalisti.

In incontri con la delegazione dell’Unione Europea e con rappresentanti di 23 ambasciate straniere, i delegati - pur apprezzando gli sforzi fatti finora - hanno ribadito l’invito a sollecitare una maggiore solidarietà pubblica con i giornalisti sotto attacco e a manifestare critiche più decise nei confronti del controllo turco sullo spazio digitale tramite i social media e le leggi sulla “disinformazione”.

Per la prima volta, la missione internazionale si è vista negare ogni incontro con rappresentanti del governo. Sono rimaste senza risposta le richieste di incontro rivolte al ministro della Giustizia e a quello dei Trasporti e delle Infrastrutture, nonché all’ufficio stampa dell’ufficio presidenziale. Il Consiglio di Stato ha risposto rifiutando esplicitamente l’invito. La cosa ha impedito di poter avere con rappresentanti del governo uno scambio su questioni tanto cruciali e quindi impedisce ai delegati di poter includere la prospettiva governativa nella relazione finale che sarà pubblicata fra qualche settimana.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del Media Freedom Rapid Response (MFRR), cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.