Turchia, in lotta per internet

5 febbraio 2014

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E' battaglia in Turchia sul progetto di emendare la discussa legge 5651, approvata nel 2007, che regola l'utilizzo della rete e sanziona i delitti commessi su internet. Una battaglia sfociata lo scorso 18 gennaio in disordini in piazza Taksim, ad Istanbul, con centinaia di manifestanti dispersi dalla polizia anche con cannoni d'acqua e lacrimogeni.

Secondo i critici, i nuovi emendamenti proposti a inizio gennaio dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) del premier Recep Tayyip Erdoğan rappresentano un chiaro tentativo di aumentare il potere di censura da parte dell'esecutivo.

Una volontà di controllo divenuta più forte dopo le proteste di Gezi Park, in cui l'utilizzo dei social media ha contribuito in modo sostanziale alla mobilitazione antigovernativa (tanto che lo stesso Erdoğan arrivò a definire Twitter “una minaccia”), e ai timori provocati dallo scandalo corruzione che sta scuotendo i piani alti del potere turco.

La 5651 ha provocato polemiche fin dalla sua approvazione, portando negli anni alla censura di centinaia di siti e provocando una sentenza di condanna da parte della Corte europea per i Diritti Umani. Il caso più clamoroso riguarda “YouTube”, oscurato per due anni a seguito della pubblicazione di video ritenuti offensivi nei confronti di Mustafa Kemal Atatürk.

Ora le modifiche proposte dal deputato AKP Zeynep Karahan Uslu ampliano notevolmente i motivi per cui un sito o parti di un sito possono essere bloccati anche senza il giudizio di una corte, tra cui le denunce di violazione della privacy.

L'emendamento proposto all'articolo 9 della 5651 farebbe infatti sì che, su richiesta di persone fisiche o giuridiche che ritengono violata la propria privacy su internet, il Direttorato per le Telecomunicazioni (TİB) possa bloccare un sito web senza una decisione del giudice. Tale blocco andrebbe effettuato entro quattro ore dalla denuncia (o secondo una seconda versione, entro 24 ore) mentre una corte dovrebbe poi pronunciarsi con decisione definitiva entro le successive 48 ore.

A preoccupare è anche la proposta di obbligare gli host a registrare le informazioni riguardanti le attività online degli utenti per almeno due anni e di renderle disponibili alle autorità su esplicita richiesta.

Per motivare le misure restrittive il governo turco ha spesso sottolineato la necessità di proteggere i cittadini e soprattutto i minori da contenuti “dannosi”, e di prevenire potenziali crimini commessi in rete. In Turchia ci sono oggi circa 35 milioni di utenti attivi di internet. Non è ancora certa la data in cui gli emendamenti verranno discussi nel parlamento di Ankara, ma tutto fa pensare che l'eventuale approvazione dovrebbe arrivare in tempi rapidi.

Secondo Yaman Akdeniz, professore di Diritto all'università Bilgi di Istanbul ed esperto di legislazione su internet in Turchia, il provvedimento rappresenta però in realtà “una risposta istintiva [del governo] alle proteste di Gezi Park, e all'uso estensivo delle piattaforme dei social media durante le proteste, ma anche una reazione alle recenti indagini su accuse di corruzione”, che hanno colpito membri influenti dell'esecutivo.

Per Akdeniz, “la nuova legge è pensata per bloccare la diffusione di video potenzialmente pericolosi e di documenti trapelati in relazione alle indagini in corso”.


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