Lo scorso 10 aprile l'ennesima consultazione referendaria in Slovenia e l'ennesima batosta per il governo in carica di Borut Pahor. Che però tira avanti imperterrito "sulla strada delle riforme". Ma l'attuale maggioranza sembra essere, in una Slovenia dove la crisi economica imperversa, in totale stallo

22/04/2011 -  Stefano Lusa

Oramai Borut Pahor è all’angolo. Nelle ultime settimane ha incassato bordate che avrebbero steso pugili di grande caratura, ma lui continua a reggersi in piedi senza dare segni di cedimento. Non si capisce se è un duro o se ha oramai perso il senso della realtà. Sta di fatto che da tempo illustri analisti ripetono che è la persona sbagliata nel posto sbagliato, ma lui non pare per nulla intenzionato ad abbandonare il ponte del comando. Ma andiamo con ordine.

Il referendum

Domenica 10 aprile in Slovenia va in scena il referendum abrogativo della legge sul lavoro occasionale. Sindacati e studenti sono in rivolta, l’opposizione li spalleggia. Alla vigilia sembrano in leggero vantaggio quelli che vogliono bocciare la legge, ma gli analisti precisano che l’esito è ancora incerto.

Quando cominciano ad arrivare i primi risultati, a soli pochi minuti dalla chiusura delle urne, appare chiaro che per il governo è una catastrofe. Alla fine l’ottanta percento dei votanti dice no alla legge. Un esito addirittura peggiore di quello della consultazione sulla riforma della radiotelevisione pubblica. La sostanziale differenza però è che questa volta la percentuale di coloro che si sono recati a votare è stata molto più alta.

Al capolinea

Appare subito chiaro che il governo è al capolinea. Gli indici di gradimento lo vedono da tempo ben al di sotto del 30%. Nessun esecutivo in Slovenia aveva mai avuto un rating così basso. L’opposizione, i sindacati e persino i partiti di governo incalzano. Prima dell’estate si profilano altri referendum che l’esecutivo sembra destinato a perdere.

Probabilmente il cinque giugno i cittadini saranno chiamati alle urne per abrogare tre leggi: quella che limita l’accesso agli archivi dei servizi segreti della Slovenia socialista, la nuova norma per la lotta contro il lavoro nero e soprattutto la riforma del sistema previdenziale.

Quest’ultimo provvedimento è stato fieramente osteggiato dal Partito dei pensionati (Desus), che nonostante fosse al governo non l’ha votato e che anzi ha più volte minacciato di abbandonare l’esecutivo. La formazione politica d’altronde è da sempre stata vista, dal resto dei partiti di centrosinistra, come un male necessario per poter avere in parlamento la maggioranza.

Il Desus si defila

Considerata la disfatta al referendum sul lavoro occasionale e la oramai conclamata crisi dell’esecutivo il Desus ha scelto di giocare d’anticipo. Prima ha annunciato che rinunciava al ministro per il Lavoro, Ivan Svetlik, che formalmente era nella loro quota. In realtà Svetlik né era membro del Desus né si è preoccupato di difendere gli interessi del partito di cui sarebbe stato esponente nel governo. Il premier Pahor ha subito ribadito la sua massima fiducia nel ministro e soprattutto nella bontà della riforma previdenziale.

Così se ne è andata un'altra esponete del Desus: la ministra delle Autonomie locali Duša Trobec Bučan, lamentando di non aver avuto il necessario sostegno per poter guidare con successo il dicastero. La Trobec era stata fortemente voluta nel governo dal Desus, mentre gli altri partner di coalizione non si erano dimostrati per nulla entusiasti della scelta. Era stata nominata solo tre mesi fa quando è stata chiamata a sostituire il suo predecessore che era stato costretto a dimettersi perché beccato dalla polizia a guidare in stato di ebrezza. Aveva appena finito di brindare al nuovo anno in una festa con i suoi collaboratori ed è stato fermato, mentre circolava in autostrada sulla corsia d'emergenza con una ruota a terra della sua macchina di servizio.

A breve distanza dall'uscita di scena della Trobec il Desus ha annunciato che abbandonerà l'esecutivo. Il suo presidente non si è presentato all'ultimo vertice di maggioranza e l'ultimo ministro che gli è rimasto dovrebbe andarsene ai primi di maggio.

Senza il Desus Pahor non ha più la maggioranza in parlamento, ma non c'è ancora una crisi di governo vera e propria. In Slovenia infatti esiste l'istituto della sfiducia costruttiva, quindi per togliere di mezzo Pahor bisogna eleggere un altro premier, mentre anche la via delle elezioni anticipate appare alquanto tortuosa.

Dimissioni?

Da più parti sono arrivati inviti a Pahor a dimettersi, ma lui imperterrito vuole continuare sulla «strada delle riforme». La prima, la più importante, è quella previdenziale. Vuole far capire ai cittadini che al referendum ne andrà del futuro della Slovenia, della sua stabilità finanziaria e che pertanto quello non dovrà essere l'ennesimo voto contro il governo. Dovesse andar male poi si vedrà se è giunto il tempo di dimettersi.

Al momento appare alquanto improbabile che i cittadini siano disposti a seguire il suo ragionamento. Per salvare la riforma, Gregor Golobič, il leader di Zares, ha proposto che i tre presidenti dei partiti di governo lascino l’esecutivo, ma né Pahor né la presidentessa della Democrazia liberale, Karatina Kresal, sembrano disposti ad assecondarlo. Il leader dei popolari, Radovan Žerjal, un partito di opposizione che aveva sostenuto la riforma previdenziale, tra il serio ed il faceto ha proposto a Pahor di promettere ai cittadini che si sarebbe dimesso se la riforma non dovesse venir bocciata.

Sta di fatto, che l'attuale maggioranza si trova in una vera e propria posizione di stallo. La crisi economica imperversa, la disoccupazione è in aumento, il governo non ha reagito per tempo ed i provvedimenti presi sono sembrati più di stampo neoliberista che socialdemocratico. Ad aggravare la situazione è anche la legislazione alquanto liberale in materia di referendum. Praticamente ogni provvedimento ed ogni riforma può essere bloccata dalle opposizioni o dai cittadini con le iniziative referendarie.

I più disorientati in questo momento sono gli elettori di centrosinistra, delusi dai due anni e mezzo di gestione Pahor e dagli scandali in cui sono stati implicati i leader dell'ala liberale della coalizione. Sia la Democrazia liberale, sia Zares, rischiano infatti in ipotetiche elezioni di non superare la soglia per entrare in parlamento, almeno stando ai sondaggi. Gli unici che gongolano sono i democratici di Janez Janša, che da tempo hanno annunciato che alle prossime elezioni puntano ad ottenere la maggioranza assoluta. Per la Slovenia quindi alle prossime elezioni si potrebbe profilare sia un grosso astensionismo sia uno scenario ungherese.


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