In centro a Lubiana, in piena emergenza Coronavirus (© Erik Cox Photography/Shutterstock)

In centro a Lubiana, in piena emergenza Coronavirus (© Erik Cox Photography/Shutterstock)

Negli ultimi anni le compagini che hanno governato la Slovenia hanno avuto come unico collante lo scopo di evitare che Janez Janša tornasse al governo. Ma quest'ultimo ci è riuscito ugualmente proprio quando stava partendo l'emergenza sanitaria

14/04/2020 -  Stefano Lusa Capodistria

1200 persone contagiate, una cinquantina di morti, prevalentemente anziani con patologie pregresse, un centinaio di persone attualmente ricoverate in ospedale, meno di 40 in terapia intensiva. Questi i numeri del Coronavirus in Slovenia a una quarantina di giorni dal caso zero. Nel paese, dopo una prima impennata, i numeri si sono stabilizzati e non c’è stata la temuta crescita esponenziale.

Era il 4 marzo quando un uomo rientrato da un tour motociclistico in Marocco si è presentato al Policlinico di Lubiana con i chiari segni della malattia. Da quel momento è scattata l’emergenza. A dare un contributo significativo alla diffusione del virus le tradizionali vacanze invernali delle scuole di fine febbraio, durante le quali molti sloveni hanno preso d’assalto le più note località sciistiche di Veneto e Trentino, diffondendo il contagio con focolai soprattutto nelle case di riposo.

Ben presto ci si è accorti che non esisteva un piano specifico per affrontare l’emergenza, che il sistema sanitario rischiava di non reggere all’impatto, che il numero di posti in terapia intensiva era limitato e che i magazzini non erano pieni dei presidi medici che sarebbero stati indispensabili, come ad esempio le mascherine.

Le autorità, inizialmente, hanno cercato di arginare il contagio facendo test a tappeto su tutte le persone entrate in contatto con i contagiati, ma dopo poco più di una settimana hanno dovuto alzare bandiera bianca e proclamare ufficialmente l’epidemia. Il virus oramai si era diffuso, il problema a quel punto era quello di evitare che si propagasse in maniera incontrollata.

Scuole, ristoranti e alberghi chiusi, saracinesche abbassate dei negozi ad eccezione di quelli di alimentari e delle farmacie; divieto di assembramento; circolazione limitata al solo comune di residenza; smart working diffuso. Attività produttive non interrotte, anche se qualche grossa azienda ha deciso di fermare la produzione. Intanto è stato varato un maxipacchetto di interventi per aiutare i cittadini e l’economia, con contributi per la mobilità, sussidi a lavoratori, studenti e pensionati. Resta da vedere come verranno messe in pratica queste iniziative e che benefici produrranno. Da questa settimana alcune attività ripartiranno, ma con moderazione; e se qualcosa dovesse andare storto ci potrebbe essere un nuovo giro di vite.

Sullo sfondo dell’emergenza sanitaria in Slovenia è andato però in scena il solito psicodramma politico. Ancora una volta la debole coalizione di centrosinistra, guidata da Marjan Šarec, l’ennesimo volto nuovo della politica slovena, era in fibrillazione. Erano oramai mesi era che il governo e la sinistra, che aveva garantito alla coalizione l’appoggio esterno, erano ai ferri corti. Alla fine, la compagine marxista, convinta che non avrebbe ottenuto nulla dall’esecutivo, ha deciso di staccare la spina. A quel punto l’esecutivo non aveva più i voti per governare, ma nemmeno l’opposizione non aveva i numeri necessari per sfiduciarlo. In Slovenia per far cadere un governo bisogna nominarne un altro.

A tagliare il nodo gordiano ci ha pensato lo stesso Šarec che, convinto di poter forzare le ennesime elezioni anticipate, si è dimesso. I sondaggi sembravano dargli ragione. Il suo gradimento era in crescita ed anche i consensi per il suo partito personale. Peggio andava, invece ai suoi alleati e specie a quelle formazioni, che come la sua, avevano pescato voti in quel grosso bacino di elettori liberali, che una volta dissolta la Democrazia Liberale che fu di Janez Drnovšek, si sono trovati orfani di un partito con un programma politico consistente.

L’unico risultato, però, è stato quello di rimettere in gioco, Janez Janša. Il leader democratico era stato relegato ai margini della vita politica slovena. Negli ultimi anni si sono susseguite, infatti, una serie di coalizioni che avevano come unico collante lo scopo di evitare che tornasse al governo. Tutte, come quella di Šarec, si sono sciolte come neve al sole, ma ci avevano messo un po' più di tempo per andare in crisi evitando così di fare il miracolo di resuscitare Janša.

18 mesi fa i Democratici avevano ottenuto la maggioranza relativa, ma Janša non aveva nemmeno tentato di formare il governo, visto che nessuno aveva la ben che minima intenzione di allearsi con lui. Ora tutto è cambiato.

Un po’ per evitare di sparire dalla scena politica, un po’ lusingati dalle poltrone, un po’ convinti dall’iniziale retorica meno aggressiva del solito è così nata la nuova coalizione. Oltre ai democristiani di Nuova Slovenia ci sono anche due ex alleati di Šarec: i liberali del Partito del Centromoderno e il Partito dei Pensionati, che tradizionalmente fa il tergicristallo tra centrodestra e centrosinistra senza mai abbandonare le poltrone ministeriali.

L’avvicendamento tra vecchio e nuovo esecutivo è andato in scena proprio mentre in Slovenia stava partendo l’emergenza sanitaria. Negli ultimi giorni del Governo Šarec, Janša non aveva mancato di invocare subito rigorose chiusure, che sono giunte solo poche ore prima di consegnare il paese nelle mani della nuova squadra.

Come da tradizione alcuni hanno visto l'arrivo di Janša come quello di un salvatore. L'unico leader capace di prendere in mano le redini del paese in un momento di crisi. Un uomo forte, in grado di adottare decisioni rapide, che aveva già dimostrato il suo valore e la sua efficienza al tempo della “guerra” d’indipendenza. Probabilmente proprio per tracciare una linea di continuità tra quella crisi e quanto sta accadendo oggi, l’esecutivo ha tirato fuori dal cilindro Jelko Kacin a cui è stata affidata la comunicazione con la stampa. Aveva svolto un ruolo simile durante lo scontro con l’Armata federale jugoslava. In effetti, comunque, sono bastati pochi giorni, al nuovo governo, per adottare una serie di decise misure restrittive.

Per i detrattori di Janša, invece, è tornato al potere il “principe delle tenebre”, l’alleato di Orban, colui che vorrebbe disciplinare i media, l’uomo che con la scusa del virus starebbe mettendo in atto quelli che sarebbero i suoi sogni autoritari. La polemica, come accaduto anche nel periodo in cui era a capo degli altri due governi che ha guidato, ha subito travalicato i confini nazionali ed è rimbalzata sulla stampa internazionale.


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