Smartphone con logo di Twitter © Sattalat Phukkum/Shutterstock

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Di recente Twitter ha contrassegnato alcuni media serbi come “mezzi di informazione affiliati al governo”. Il governo e il presidente Vučić invece di aprire un dibattito sulla decisione del social media hanno intrapreso l'ennesima campagna denigratoria contro i media non allineati

30/08/2021 -  Vukašin Obradović Belgrado

Lo scorso 17 agosto Twitter ha deciso di contrassegnare alcuni media serbi come “mezzi di informazione affiliati al governo”, tra cui la Radio televisione della Serbia (RTS), alcune emittenti a copertura nazionale (Pink, Prva, B92, Hepi), l’agenzia di stampa Tanjug e i quotidiani Kurir, Informer, Politika e Srpski telegraf. Una decisione che ha suscitato forti reazioni dei media in questione e della leadership al potere.

Marko Albunović, direttore ad interim del quotidiano Politika, ha affermato che questa testata “non si vergogna della sua collaborazione con il governo serbo”, precisando che “Politika collabora con lo stato ormai da 117 anni, e continuerà a farlo in futuro, così come collabora con tutte le istituzioni, il settore non governativo, i partiti di opposizione, i rappresentanti del corpo diplomatico, le comunità religiose”.

La decisione di Twitter ha spinto la Radio televisione della Serbia – come si legge sul portale dell'emittente – a “ripensare la propria presenza su questo social media, ma anche a invitare l’Unione europea di radiodiffusione (UER) e altre organizzazioni di cui RTS fa parte a esprimersi in merito. […] Indipendentemente dalla decisione di RTS di non usare più nessuno dei suoi account [su Twitter], essendo stata etichettata e soggetta a pressioni politiche, crediamo sia necessario che l’UER reagisca per evitare che i suoi membri vengano sottoposti a qualsiasi tipo di pressione da parte delle grandi aziende”. Sul sito di RTS si afferma inoltre che è inaccettabile che Twitter si permetta di accompagnare i tweet di RTS con qualsiasi segnalazione o etichetta senza previa autorizzazione da parte dell’emittente.

I tabloid di regime hanno reagito con parole ancora più dure. Secondo Informer , etichettando alcuni media come collaboratori del governo, Twitter cerca di ridurre la visibilità delle notizie pubblicate da questi media, dando così priorità ai media (presumibilmente) legati all’opposizione, in particolare a Dragan Đilas. “È ovvio che alle grandi potenze non piace chi non è contro le autorità serbe, la Serbia e il presidente serbo, motivo per cui si stanno sforzando di ridurre al minimo la visibilità delle notizie che parlano del progresso e della potenza della Serbia. È l’ennesima prova del fatto che i media vicini a Đilas sono sostenuti e finanziati da potenze mondiali che non vogliono bene alla Serbia”, si legge sul portale di Informer.

Milan Lađević, caporedattore del quotidiano Srpski telegraf, ha dichiarato che Twitter sta bollando pubblicamente i media serbi che non sono finanziati dai paesi occidentali, e quindi seguono una politica redazionale immune dalle ingerenze occidentali. “Molti dei cosiddetti media indipendenti ormai da anni ricevono soldi dal governo americano, ma anche dai paesi come Gran Bretagna, Norvegia, Germania. Perché questi media non vengono etichettati? Perché non viene segnalato con chi collabora CNN o un media come Radio Slobodna Evropa?”, ha chiesto polemicamente Lađević.

Rispondendo alle accuse mosse dalla leadership di Belgrado, secondo cui la decisione di Twitter di segnalare alcune testate serbe come affiliate al governo rappresenterebbe un tentativo di censura, i rappresentanti di Twitter hanno affermato che è importante che gli utenti sappiano quali media sono controllati dal governo non solo finanziariamente, ma anche attraverso le interferenze nelle scelte editoriali. Twitter ha inoltre spiegato che il suo principale obiettivo è quello di “contrassegnare i media che non sono immuni da ingerenze politiche e pressioni governative”, aggiungendo di aver intrapreso questa campagna dopo aver consultato “diversi soggetti interessati, compresi gli accademici e ricercatori, la società civile, i governi, varie organizzazioni e gli utenti di Twitter”.

Snježana Milivojević, docente presso la Facoltà di Scienze Politiche di Belgrado, ha definito "assurde" le reazioni della leadership serba alla decisione di Twitter di segnalare alcuni media controllati dal governo, precisando che non si tratta di una congiura contro la Serbia, bensì di una campagna internazionale lanciata un anno e mezzo fa.

“Non si tratta di un’operazione contro la Serbia, né di una congiura internazionale, né tanto meno della lunga mano americana. Questa campagna è iniziata un anno e mezzo fa e attualmente coinvolge venti paesi. L’idea di base è quella di individuare le persone e i media che esprimono posizioni vicine a quelle del governo del loro paese”, ha spiegato Snježana Milivojević.

Milivojević ha ricordato che i primi a finire sotto la lente di Twitter sono stati i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, poi l’iniziativa è stata estesa ad altri paesi sviluppati, tra cui Canada, Italia e Giappone, e infine ai paesi i cui governi sono sospettati di condurre campagne di propaganda sui social media.

“Suppongo che la Serbia sia stata inclusa in questa lista perché circa un anno e mezzo fa una rete dei cosiddetti bot legati al Partito progressista serbo (SNS), ovvero al governo, ha creato il caos su Twitter che ha poi deciso di cancellare questi account”, ha affermato Snježana Milivojević, mettendo in guardia sul fatto che “la Serbia è finita nella lista dei paesi dove le campagne coordinate di disinformazione vengono utilizzate per alimentare la sfiducia nel dibattito pubblico e, in ultima analisi, per distruggere la democrazia”.

Tuttavia, tali osservazioni sono rimaste in secondo piano, adombrate dalla campagna mediatica lanciata dall’élite al potere che ha sfruttato l’intera vicenda come pretesto per attaccare i media indipendenti.

Rispondendo alle domande dei giornalisti, il presidente Vučić ha dichiarato che l’etichetta assegnata da Twitter ai media che collaborano con il governo serbo è “un complimento”. “L’unica cosa che non capisco è perché ne siate rimasti sconvolti. Con chi dovrebbero collaborare? Con tycoon, ladri e criminali? È del tutto normale che collaborino con il governo. Viene usato il termine ‘collaborare’ e infatti noi non finanziamo la maggior parte di questi media”, ha affermato Vučić. Il presidente si è poi complimentato con tutti i media “etichettati” da Twitter, aggiungendo che queste testate promuovono “aspirazioni e idee libertarie”.

Invece di aprire una discussione sulla decisione di Twitter di segnalare alcuni media serbi come affiliati al governo e di chiarire se e in che modo il governo influenzi l’operato di questi media – in particolare del servizio pubblico, finanziato dai contribuenti –, la leadership al potere ha intrapreso l’ennesima campagna denigratoria contro “i mercenari al soldo degli stranieri e i nemici interni”, scagliandosi contro i media che non sono finiti nella lista nera di Twitter.

Quindi, il presidente serbo, mettendo in moto la sua macchina propagandistica, ha sfruttato la decisione di Twitter per attaccare, per l’ennesima volta, i media indipendenti e professionali. Così facendo, Vučić ha probabilmente rafforzato la propria immagine agli occhi del suo elettorato tradizionale. Quanto ai media definiti da Twitter come “collaboratori del governo serbo”, la loro reazione a questa definizione la dice lunga sui motivi per cui sono finiti nella famigerata lista dei media controllati dal potere.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del Media Freedom Rapid Response (MFRR), cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.

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