
Romania, orso bruno - © Ondrej Prosicky/Shutterstock
In Romania il piano nazionale di conservazione dell’orso bruno, finanziato con fondi UE, procede tra ritardi, polemiche e un censimento contestato. Intanto il paese europeo con la più ampia popolazione di plantigradi fatica a bilanciare conservazione e sicurezza
In senso reale o figurato, in Transilvania è quasi impossibile, prima o poi, non imbattersi nell’orso. Lo evocano le insegne dei negozi, le etichette sulle bottiglie e i souvenir, persino i graffiti sui muri. Nonché gli escursionisti - per non parlare di chi in montagna ci lavora - che l’orso lo incontrano davvero. Quasi sempre va bene, a volte malissimo.
La Romania è il paese europeo con la maggiore popolazione di orsi e uno di quelli dove il rapporto con l’animale, tra alti e bassi, è più radicato. Oggi però la coesistenza tra i due plantigradi (anche gli esseri umani lo sono) si fa più problematica.
Mentre disboscamento illegale e cambiamento climatico spingono gli animali vicino ai centri abitati, dove trovano abbondanti rifiuti di cui cibarsi, le montagne si popolano di escursionisti, aumentando le possibilità di incontro, e a volte l’orso diventa la meta stessa del viaggio di turisti imprudenti. Il risultato: 26 vittime dal 2000 (l’estate scorsa una ragazza appena diciannovenne, mentre questa primavera uno stimato membro del soccorso alpino è finito in coma), allevatori e pastori esasperati, fiorire di teorie del complotto con polarizzazione delle opinioni sempre più spinta.
Negli anni la politica romena si è barcamenata tra tensioni opposte: da un lato la conservazione, imposta anche dalle direttive europee, dall’altro le voci che chiedono un approccio più muscolare. Il programma nazionale di conservazione dell’orso bruno, finanziato dai fondi di coesione europei, tenta insieme di ridurre il conflitto e preservare la specie. Ma è arrivato in ritardo, e i primi risultati - tra i quali un censimento ancora in corso ma che vedrebbe il numero di esemplari stimato addirittura raddoppiare - sono pesantemente contestati da attivisti e parte del mondo accademico.
Le giravolte della politica
Con l’avvicinamento e poi l’ingresso nell’Unione europea, la Romania ha progressivamente aderito alle convenzioni che considerano l’orso bruno specie strettamente protetta. Come nella maggior parte dei paesi membri dove è presente l’animale, in realtà, l’abbattimento in deroga di una certa quota di esemplari era stato sempre ammesso, ma, nel 2016, si era arrivati allo stop totale alla caccia.
Nel 2024, con le polemiche sempre più accese e gli incidenti che non accennavano a diminuire, Bucarest ha fatto dietrofront, ripristinando l’autorizzazione ad abbattere 426 esemplari in misura “preventiva”.
La perenne oscillazione tra conservazione e pugno di ferro emerge anche dalla convinzione, più volte ribadita dai funzionari governativi, che la popolazione “ottimale” nel paese sia di appena quattromila orsi, molto al di sotto di quella attuale. Un obiettivo difficilmente conciliabile con lo status di protezione dell’animale.
Tra le alterne vicende, intanto, il paese cercava di adeguarsi alla Direttiva Habitat che oltre alla salvaguardia della specie richiede un monitoraggio accurato della popolazione, e un piano di gestione organico per la mitigazione del conflitto.
Nel 2018 è stato quindi lanciato il Piano d’azione nazionale di conservazione dell’orso bruno, finanziato con 11 milioni di euro dai fondi di Coesione europei. Doveva essere pronto alla fine del 2023, ma non è ancora stato ultimato, per ragioni che il governo imputa a lungaggini burocratiche, problemi tecnici e alla pandemia. I finanziamenti sono stati così redistribuiti per il periodo 2021-2027.
Censimento: un “record” contestato
Il censimento della popolazione su base genetica è una delle misure centrali del piano.
I campionamenti per isolare il DNA dei diversi esemplari a partire da tracce come peli e feci sono iniziati nel 2023, e sono ancora in corso. Nell’aprile di quest’anno, il ministro Mircea Fechet ha divulgato i risultati preliminari. Con esiti sorprendenti: gli orsi sarebbero tra 10.419 e 12.770, il doppio di tutte le stime finora accettate a livello nazionale e internazionale.
Il dato, ovviamente, ha rinvigorito le richieste di riaprire la caccia in grande stile, ma ha anche sollevato forti perplessità tra accademici e attivisti, soprattutto perché la metodologia utilizzata non è ancora stata resa pubblica.
Le ragioni del dissenso sono prima di tutto tecniche: poiché è impossibile ritrovare tracce genetiche di tutti gli orsi, normalmente il conteggio viene fatto su base statistica, in base al rapporto tra nuovi esemplari individuati e quelli che invece compaiono in più campionamenti. Normalmente “all’inizio di uno studio genetico la maggior parte dei campioni proviene da nuovi individui, mentre con l’aumentare del numero di campioni il tasso di scoperta di nuovi individui diminuisce”, scrive il WWF Romania in un infuocato comunicato stampa.
Per arrivare alle stime fornite dal governo, la probabilità di trovare individui nuovi dovrebbe invece aumentare continuamente. “O le leggi della matematica sono cambiate - conclude sarcastica l'associazione - o ci troviamo di fronte a una novità mondiale, che cambia non solo la filosofia della gestione degli orsi, ma la scienza stessa”.
Inoltre - aggiunge Ruben Iosif, ricercatore che si occupa del monitoraggio dei grandi carnivori per la Fondazione Conservation Carpathia (la più grande ong dedita alla conservazione nelle montagne romene), il fatto che lo studio si protragga da tre anni può portare a sovrastimare la popolazione, perché non tiene conto degli esemplari morti nel frattempo. “Dicono che il fattore mortalità è stato considerato, ma solo la mortalità ufficiale, cioè gli orsi abbattuti, non quella naturale e quella illegale”, dovuta al bracconaggio.
Il ministero dell’Ambiente non si è scomposto. “La metodologia completa sarà resa pubblica alla conclusione del progetto”, ha assicurato a OBCT, “e i risultati finali saranno presentati in una conferenza aperta ad accademici, esperti internazionali e ong”.
Le altre misure
Il piano prevede molte altre azioni, tra cui l’installazione (già effettuata) di 1.140 recinzioni elettrificate, mentre è aperto un bando per selezionare centinaia di edifici che saranno protetti allo stesso modo.
È inoltre in corso uno studio per una nuova zonazione del territorio che distinguerà tra zone “chiave” per la conservazione, strettamente protette, e altre dove gli interventi per gestire i conflitti (compresi abbattimenti e “trasferimenti”) saranno più facili, con varie gradazioni intermedie.
Previste anche attività di comunicazione al pubblico per incentivare un comportamento corretto, la formazione di personale autorizzato alla gestione, e un sistema di segnaletica per interrompere la dannosissima moda di molti automobilisti di lasciare cibo sul bordo di alcune strade nella speranza di avvicinare i plantigradi.
Infine, un nuovo “santuario” nei pressi di Timisul de Sus, ospiterà esemplari ritenuti pericolosi. Da quando è stato annunciato nel 2018, in realtà, non se ne è saputo quasi più nulla. “Sarà completato entro fine progetto”, si è limitato a confermare il ministero.
Tra ritardi e mancanza di collaborazione con le realtà locali e associazioni però, in molti sono scettici. “Il piano è ormai vecchio, e non c’è nessuna vera strategia per la biodiversità. Quella che avevamo è scaduta nel 2020 e nessuno se ne è più occupato. Noi [le associazioni] eravamo informate su obiettivi e attività, ma poi non c’è stata più nessuna comunicazione", commenta Christian-Remus Papp, responsabile nazionale per fauna selvatica al WWF Romania. Per Ruben Iosif è l’intero discorso a poggiare su narrazioni a volte sbagliate, come quella secondo cui - indipendente dai numeri ancora vaghi del censimento - gli orsi sarebbero ormai troppi.
“La loro densità non è correlata direttamente né con il numero né con la gravità degli incidenti”. È invece importante, prosegue, concentrarsi sugli individui problematici e abituati alla presenza umana, che possono e devono essere rimossi. Per Iosif, abbattimenti con l’obiettivo di abbassare il numero, oltre al danno ecologico, potrebbero essere controproducenti, soprattutto se saranno delegati a cacciatori in cerca di trofei. “Si addentreranno tra le montagne per scovare gli esemplari più ambiti o resteranno intorno al villaggio per rimuovere gli esemplari davvero pericolosi?”, si chiede lo studioso.
Un panorama variegato
In attesa che le misure del Piano si ripercuotano sul territorio, a livello locale la società non rimane a guardare. Nel paese, è vero, abbondano comportamenti scorretti che finiscono per abituare gli orsi alla presenza umana, dalla gestione dei rifiuti poco attenta all’abitudine a foraggiare gli animali per renderli più facilmente osservabili dai turisti.
Le iniziative di coesistenza di successo, però, non mancano. Come Băile Tușnad, piccolo comune di lingua ungherese, dove grazie a un progetto innovativo che ha saputo coniugare ricerca scientifica e il coinvolgimento attivo degli abitanti, sono stati realizzate mappe virtuali di rischio basate sul comportamento effettivo degli orsi e installate barriere elettrificate e cassonetti anti-orso in posizioni strategiche che in quattro anni hanno quasi azzerato il conflitto.
Conservation Carpathia, invece, ha acquisito alcune foreste e pascoli montani per gestirli in un’ottica di conservazione, e instaurato rapporti costruttivi non solo con gli allevatori, che possono rivolgersi a loro per avere supporto, ma anche con i cacciatori.
Legato più all’aspetto etico che a quello conservazionistico, “Libearty”, fondato dall’attivista Cristina Lapis, è il più grande “santuario” al mondo per orsi - salvati dalla cattività o “problematici” - diventato negli anni anche un’attrazione turistica sicura e sostenibile.
La strada per la coesistenza è accidentata e mai priva di rischi. Ma in un paese dove il rapporto con l’orso è così stretto, in molti sono convinti che valga la pena di percorrerla.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Cohesion4Climate" cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
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