Il Montenegro è scosso da accuse e contraccuse tra il premier Djukanović e l'ex ministro dell'interno Jovićević. Gli scandali si susseguono, dal contrabbando di sigarette - indagato anche dalla magistratura italiana - al trafficking

19/12/2003 -  Tanja Bošković Podgorica

Il premier montenegrino, Milo Djukanović, ha accennato lunedì sera nell'intervista rilasciata alla TV statale, che in Italia presto potrebbe iniziare un processo contro di lui. Commentando la constatazione del giornalista riferita al fatto che i due businessman montenegrini - Barović e Vujošević che sono sotto mandato di cattura dell'Interpol italiano - in pubblico vengono spesso collegati con lui, Djukanović ha dichiarato: "In questa storia non ci sono solo persone che si collegano con me, ma ci sono anche io. E pur non essendo ancora confermato, alcuni media italiani scrivono di questo argomento con sicurezza".

Egli ha ribadito che negli anni novanta il Montenegro era esposto alle sanzioni internazionali e condannato alla morte degli scambi commerciali, e quindi in qualche modo era necessario sopravvivere.

"Operavamo in accordo con le leggi montenegrine e le leggi della Jugoslavia. Se ci fossimo trovati di nuovo nella stessa situazione, avrei fatto la stessa cosa, perché ritengo che sia legittimo scegliere di provare a sopravvivere", ha spiegato il premier. Aggiungendo poi che il Montenegro non può essere responsabile della destinazione delle sigarette dopo il transito, Djukanović ha confermato che ogni centesimo guadagnato in questi affari finiva nella casse dello stato, negando in questo modo l'esistenza di conti segreti privati.

Riguardo alle indagini su Veselin Barović e Branko Vujošević, Djukanović ha spiegato che ci sono due modi di vedere la loro responsabilità.
"Qualcuno si doveva occupare di questi affari in Montenegro. Allora, se ne occupavano il signor Barović e il signor Vujošević. Da una parte loro sono responsabili tanto quanto lo era lo stato montenegrino, ed io non penso che il Montenegro fosse responsabile. Dall'altra parte, eventualmente sarebbero responsabili se avessero fatto qualcosa fuori dal mandato che avevano nell'ambito di questi affari", ha detto Djukanović.

Nel seguito dell'intervista il premier ha parlato anche dello scandalo legato trafficking, malgrado la sua dichiarazione della settimana scorsa di non voler più rispondere alle accuse sul suo coinvolgimento in questa vicenda. La dichiarazione va inquadrata nello scontro avvenuto sui media tra il premier e l'ex ministro della polizia, Andrija Jovićević, che il dicembre dello scorso anno è stato rimosso dalla lista dei ministri, proposta per il nuovo governo. Il mandato allora era stato affidato a Djukanović, e questo è stato il segno che tra i due ex amici le cose non filavano più lisce come prima. Alcuni rappresentanti della comunità internazionale hanno considerato questa mossa come l'eliminazione politica dell'ex ministro, dovuta al suo comportamento troppo professionale nella lotta contro il traffico di esseri umani.

Il primo scontro pubblico tra l'ex ministro e il premier è avvenuto più tardi, nell'aprile di quest'anno, quando lo scandalo ha visto seriamente coinvolte le più alte autorità statali. A quel tempo Jovićević aveva indicato Djukanović come l'ostacolo maggiore nella lotta contro questa e altre forme di crimini.
"Abbiamo iniziato la lotta contro il trafficking, però non ci è stato permesso continuare, perché non esisteva l'appoggio politico per una attività del genere", ha detto allora Jovićević all'agenzia Mina.

Queste parole hanno avuto una forte eco. Djukanović portava già il peso delle accuse, sia in casa che a livello internazionale, di coinvolgimento in affari sospetti legati al contrabbando delle sigarette. Questa volta gli venivano mosse ulteriori accuse sul versante del trafficking, riguardanti il fatto che invece di difendere la vittima - la cittadina moldava S.C - avrebbe fornito il sostegno a persone dell'amministrazione statale, responsabili del suo sfruttamento.

Il fatto che dopo quattro mesi di silenzio, Jovićević abbia iniziato a parlare proprio alla vigilia delle elezioni presidenziali, mentre si speculava sul fatto che lui stesso fosse uno dei candidati dell'opposizione, ha incoraggiato le autorità di governo a presentare il caso come un'ambizione dell'ex ministro. Alcuni media vicini al governo scrivevano che l'ex ministro fosse l'artefice dello scandalo del trafficking e colui che aveva intenzione di abbattere il governo. Si dice che Jovićević abbia pagato 100.000 € ad un giornalista italiano per mettere sotto silenzio un altro potenziale scandalo. Jovićević ha risposto a queste accuse spiegando che lo scandalo riguardava il premier ed era collegato con l'Iraq e le importazioni di armi dal Montenegro. Questa storia è stata interrotta dalla dichiarazione dell'ambasciatore americano a Belgrado, che ha ribadito la mancanza di prove su questa questione.

L'ultima volta che Jovićević ha accusato il premier è stato un paio di settimane fa, dopo un'altra campagna orchestrata dai media che lo presentava in veste di cospiratore.

Tuttavia l'ex ministro ha deciso di attaccare nel momento in cui il Governo si appresta a formare la commissione che dovrebbe valutare il ruolo della polizia nel caso di trafficking della ragazza S.C.
Il Governo ha spiegato come la commissione sia la diretta conseguenza del rapporto dell'OSCE e del Consiglio europeo riguardo il caso S.C., secondo il quale nessuno - la polizia, la giurisprudenza, gli alti ufficiali, il settore civile, ecc., ha svolto bene la propria parte di lavoro. Così le autorità insistono sul fatto che la paura dei risultati delle indagini della commissione, avrebbe spinto Jovićević a reagire di nuovo.

"Il Governo montenegrino ha annunciato la formazione della commissione, la quale potrebbe concludere che tutto il caso del trafficking di esseri umani è stato costruito dalla parte di polizia appoggiata dall'opposizione politica", considera invece Jovićević, insistendo di essere stato l'iniziatore della "Sciabola" montenegrina, della quale il caso S.C. era soltanto una delle varie storie.
La storia è stata negata dagli alti funzionari e dallo stesso premier, il quale ha affermato che tutto ciò che ha detto Jovićević è una risaputa menzogna. E questa volta il premier ha menzionato la storia del supposto traffico d'armi con l'Iraq, parlando di una lettera inviata a Saddam Hussein che avrebbe scritto Jovićević e che gli avrebbe sottoposto di firmarla, volendo poi usare la stessa lettera per compromettere la sua immagine in Occidente.

Djukanović presenta Jovićević come un collaboratore per niente leale e come un cospiratore pericolosamente ambizioso che faceva lobbing nei circoli dei partiti politici "per poter essere il candidato premier". In sostanza, come un uomo pronto a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo.

Jovićević è stato per un lungo periodo, il più leale tra i collaboratori di Djukanović e il suo uomo di fiducia. È diventato ministro della polizia in un periodo delicato, quando il Montenegro ancora lottava con Milošević. Questa volta Djukanović si ricorda che molti non furono d'accordo con la sua decisione di nominare ministro un uomo senza una lunga esperienza come Jovićević. Tuttavia Djukanović insistette, ed ora - così come afferma il premier - si è pentito di quella scelta.

L'ultimo numero del settimanale montenegrino "Monitor" analizza i difetti delle dichiarazioni del premier e dell'ex ministro, venute allo scoperto nell'ultimo scontro.

"Djukanović, dichiara che dall'ex ministro si aspettava che si occupasse delle cosiddette costruzioni secondo le quali il premier era uno degli attori dello scandalo S.C. Ma Djukanović non era in grado di chiedere una cosa del genere a Jovićević. Questo perché il caso non era più di competenza della polizia, ma della magistratura".

Dall'altra parte si chiedono a "Monitor" - "come può oggi Jovićević affermare che il premier fosse direttamente coinvolto nel caso, se il suo nome - come dice il premier - è uscito fuori soltanto durante il processo in tribunale col quale appunto la polizia non c'entrava niente? Sarà il caso che lui spieghi - se nella fase pre processuale aveva a disposizione informazioni su questa cosa, e dove sono finite".

Lunedì sera Djukanović ha rivelato di aver dato l'ok a Jovićević per andare fino in fondo allo scandalo del trafficking. Poi ha cambiato idea quando qualcuno degli avocati del processo gli ha detto che nella fase istruttoria compariva anche il suo nome. Il problema, però, è che il tribunale aveva deciso che il caso dovesse rimanere segreto e per la fuga di informazioni sul caso aveva previsto la pena di un anno in carcere. Questo vuole dire che nell'ultima intervista Djukanović ha accusato uno degli avocati di aver violato il segreto e quindi di aver commesso un reato.

Tutti gli avocati coinvolti nel processo hanno reagito negando di aver informato il premier.
Insomma, in questo vortice di accuse e contraccuse, il problema è che entrambi, Djukanović e Jovićević, chiedono di essere creduti sulla parola. Il procuratore statale non reagisce, e tutto il Montenegro è diventato vittima di uno scandalo del quale non si vede la fine.


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