I moldavi stanno mostrando grande solidarietà nei confronti dei rifugiati ucraini, che stanno arrivando nel loro paese a decine di migliaia. Ma è diffusa la paura di essere i prossimi sulla lista di Putin. Reportage
(Pubblicato originariamente da Le Courrier des Balkans il 28 febbraio 2022)
La Moldavia non è in guerra, ma c'è già aria di mobilitazione generale in questo piccolo paese vicino all'Ucraina. Il centro Covid allestito presso il centro fieristico della capitale Chișinău è stato trasformato in un centro di triage e assistenza per i rifugiati ucraini. A rendere manifesto che la pandemia è stata scacciata via dalla guerra.
È qui che è arrivata la trentenne Yaroslava con i suoi due bambini, il marito tedesco e quattro valigie. Il 25 febbraio alle 7 di sera, ha lasciato in fretta e furia la sua casa a Vinnytsia, 250 km a sud-ovest di Kiev, per raggiungere il confine moldavo. I nervi tesi, non dormiva da due giorni e lei e la sua famiglia hanno dovuto attraversare il confine a piedi dopo aver camminato per chilometri. "È stato difficile arrivare al confine con i bambini... Poi i moldavi ci hanno aiutato, non so come ringraziarli”. Yaroslava ha dovuto lasciare i suoi genitori in Ucraina: "Mia madre ha il cancro, non poteva venire con noi. Mio padre ha detto che non andrà da nessuna parte, resterà a casa. Nella sua sfortuna, Yaroslava è fortunata, sa dove andare, suo marito ha una casa per loro in Germania. È lì che vogliono andare.
Come Yaroslava, quasi 30.000 ucraini erano già arrivati in Moldavia la mattina del 26 febbraio, due giorni dopo l'inizio dell'invasione russa. Ventiquattro ore dopo, questa cifra era salita a quasi 70.000, facendo intendere un futuro afflusso massiccio di ucraini in questo paese di tre milioni di abitanti. Il primo problema: dove ospitarli? Il centro fieristico non può ospitare più di 500 persone.
Fortunatamente la mobilitazione dei moldavi è stata immediata: decine di loro hanno dimostrato solidarietà consegnando ai volontari presso il Centro fieristico i propri numeri di telefono con l’indicazione del numero di persone che potevano ospitare nelle loro case. I volontari poi trascrivono queste informazioni su fogli A4 e li attaccano a un muro, che si sta riempiendo rapidamente di questi annunci. Le offerte si moltiplicano anche sui social network. Le autorità moldave hanno inoltre istituito un numero verde per evitare che i volontari si rechino tutti presso il Centro fieristico. quest’ultimo è già pieno di gente, tra volontari, persone che vengono a offrire il loro aiuto o a fare donazioni, rifugiati ucraini che cercano di riposare nonostante l'ansia di ciò che li aspetta e i loro bambini che giocano nei corridoi per passare il tempo.
Nell'edificio adiacente, anch'esso allestito per la pandemia di Covid-19, Nicoletta, 19 anni, e decine di giovani volontari si occupano della logistica, coordinati da due dirigenti dell'associazione giovanile del comune di Chișinău. Scaricano le auto, i furgoni e i pick-up che arrivano uno dopo l'altro. Con energia e un po' di confusione, smistano e distribuiscono questi aiuti inviati dai cittadini moldavi: qui il pane, là frutta e verdura, qui lattine, là vestiti per bambini, qui pannolini, là giocattoli, qui materiale per dormire, là scarpe... Nicoletta è arrivata ieri mattina, ha passato la notte nel Centro. Tutti stanno lavorando duramente per trasformare l'energia dello shock emotivo in azione. "In Moldavia tutti abbiamo un cugino o un amico ucraino", confida Alexandra, 41 anni, per spiegare questo impressionante slancio di solidarietà. È facile, quindi, identificarsi con coloro che arrivano.
Quanti abitanti avrà in più la pacifica capitale moldava nei prossimi mesi? Oggi ne ha 700.000, ma il flusso di auto con targhe "UA" che arrivano dai posti di frontiera nel nord e nel sud del paese è ininterrotto. Sulla strada che porta a Palanca e Tudora, all'estremità sud-orientale del paese, a meridione della provincia secessionista della Transnistria, il traffico è particolarmente intenso. In entrambe le direzioni, altrettanti moldavi scendono infatti con le loro auto verso il confine per raccogliere gli ucraini che lo hanno attraversato a piedi.
Le persone sono spesso esauste, dopo ore passate al freddo: a Palanca ci vogliono sei ore per attraversare a piedi il confine e 24 ore per le auto. I moldavi hanno allestito un grande tavolo con bevande calde e cibo, e forniscono anche alcune coperte. Tra chi passa il confine molte donne con bambini perché gli uomini tra i 18 e i 60 anni non possono lasciare il paese, perché sono stati mobilitati per combattere. Diana, 23 anni, è appena arrivata da Odessa con sua madre e sua zia, lasciando il padre a casa. L'esercito russo non è ancora entrato in questa città di un milione di abitanti sul Mar Nero, a 30 km da Palanca, ma ha bombardato il porto della "Marsiglia d'Ucraina", la terza città del paese. Hanno amici in Moldavia che li accolgono e ospiteranno.
Non sono solo gli ucraini a fuggire dall'invasione dell'esercito russo. Maram, Nour e Ahmed sono tre giovani tunisini, studenti di medicina al secondo anno a Odessa. Erano abituati a vedere gli ucraini "forti", abituati alla minaccia russa che incombe dal 2014. "Quando abbiamo visto la paura sui loro volti, abbiamo capito che eravamo nei guai", ammette Nour, 22 anni. Sentendo i primi bombardamenti il 24, i tre amici sono stati presi dal panico e hanno fatto i bagagli. "Abbiamo subito cercato di prelevare denaro, c'erano code ai bancomat. I supermercati si sono svuotati rapidamente. I prezzi del pane e di alcuni prodotti sono saliti alle stelle. Fortunatamente, Maram aveva delle riserve di cibo", continua Nour.
Dopo aver passato due notti in una cantina, "due giorni che sono sembrati un'eternità", i tre studenti hanno deciso il 26 febbraio di lasciare Odessa. Hanno preso un taxi alle 10 del mattino, ma hanno dovuto camminare per gli ultimi cinque chilometri fino alla frontiera: la fila di auto al posto di frontiera era lunga e da allora si è allungata ancora di più. Ci sono volute sei ore per raggiungere il lato moldavo del confine. Da allora sono riusciti a mangiare un po' e finalmente ora cominciano a rilassarsi, anche se la strada per Tunisi è ancora lunga. Stanno aspettando una ventina di altri compagni tunisini che studiavano con loro. Non sanno dove dormiranno stanotte. Se non è pieno, potranno passare la notte in una tenda nel campo di accoglienza allestito dalle autorità moldave a Palanca, che gli elettricisti stanno finendo di collegare alla rete elettrica del villaggio.
Il 24 febbraio, Dima, negoziante ucraino di 34 anni, ha sentito la stessa esplosione di Maram, Nour e Ahmed. "I miei figli hanno iniziato a tremare e a piangere, così abbiamo fatto i bagagli e siamo andati via”. Ha lasciato il suo paese poco prima che le guardie di frontiera ricevessero l'ordine di non lasciar più passare uomini in età da combattimento. "Sono un cristiano, non sono pronto a uccidere altre persone. Si può aiutare in altri modi".
Si è stabilito a Chișinău con la moglie e i figli, facendo ogni giorno un viaggio di andata e ritorno per accompagnare i rifugiati in difficoltà. Si meraviglia dell'ospitalità dei moldavi: "Non ce lo aspettavamo. In generale, la gente non è necessariamente accogliente nei confronti dei rifugiati. È una lezione che dobbiamo imparare dai cittadini moldavi". "È terribile, ma sono ancora un briciolo ottimista. Con l'aiuto dell'Europa, avremo delle armi e i nostri uomini sono più motivati che mai. Siamo così stanchi del regime di Putin, di questa nuvola nera sulle nostre teste, vogliamo essere liberi. Alcune persone a Odessa si preparano ad accogliere i russi, la propaganda di Putin ha purtroppo funzionato su di loro. È pazzesco, ma sul gruppo WhatsApp dei residenti del mio palazzo, c'è gente che balla in questo momento su canzoni sovietiche".
Fragile Moldavia
Nik, ingegnere informatico ucraino di 40 anni, è arrivato da Odessa con sua moglie il 23 febbraio. Come Dima, non gli sarebbe stato permesso di lasciare il suo paese 24 ore dopo. "È terribile, non so cosa succederà. Non voglio analizzare ciò che sta accadendo, solo non voglio essere morto”. È venuto alla frontiera per aspettare suo padre, che cercherà di attraversare, senza garanzie perché ha 58 anni. "È disabile, quindi forse lo lasceranno uscire. Non so..." Cercherà poi un alloggio in Romania perché, per lui, "la Moldavia non è molto più sicura dell'Ucraina".
In un momento in cui nessuno sa dove Vladimir Putin si fermerà, la Moldavia è davvero il paese più vulnerabile a un'invasione russa fuori dall'Ucraina. Sebbene abbia sancito il suo status di neutralità geopolitica nella sua costituzione e non abbia mai chiesto di aderire alla NATO, la Moldavia è membro del Partenariato orientale dell'UE con l'Ucraina e la Georgia. Inoltre la sua presidente Maia Sandu è una convinta europeista che ha studiato ad Harvard (USA), ed è il suo Partito di Azione e Solidarietà (PAS) ad avere la maggioranza assoluta in Parlamento e controllare il governo. Nella logica di Putin, questo può essere visto come un'inaccettabile "deriva occidentale" per questa ex Repubblica Sovietica, e un "errore storico da correggere" allo stesso modo dell'Ucraina.
In realtà il Cremlino controlla già la Transnistria, una regione secessionista protetta dalla Russia dal 1992, dove sono di stanza 1500 soldati russi, ufficialmente in una missione di "peacekeeping", in realtà per mantenere il conflitto congelato e mantenere la Transnistria come un utile pedone geopolitico e un buco nero economico. Alcuni moldavi, come Vlad, 36 anni, sono convinti che se l'esercito russo prenderà Odessa, "andranno immediatamente a collegarsi con la Transnistria".
Il 26 febbraio era sabato e Ion, moldavo, è andato al cinema con il figlio di 15 anni di cui era il compleanno. Ma ha portato con sé il proprio passaporto, "non si sa mai". "Tutti quelli che conosco hanno già un piede fuori, pronti a lasciare il paese se i russi vengono qui", dice. Come lui, un milione di cittadini moldavi hanno il passaporto rumeno e quindi dell'UE, e possono viaggiare e lavorare in Europa. "Qui nessuno combatterà per questo paese, non abbiamo un esercito, non ci sarà resistenza", dice. Gli abitanti e le autorità moldave sono quindi concentrate su Odessa, con questa stressante domanda che tiene molti di loro svegli di notte: "Dopo gli ucraini, siamo i prossimi sulla lista?
Dossier
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