I colossi della Silicon Valley stanno incassando il 70 per cento degli utili generati dal cloud computing in Europa. Malgrado i problemi sollevati dal GDPR dell’Unione europea (Regolamento generale sulla protezione dei dati), parte di questo denaro continua ad affluire da sostanziosi contratti pubblici

13/05/2022 -  José Luis Marín

(Originariamente pubblicato da El Orden Mundial , nell’ambito del progetto PANELFIT  )

Un‘iniziativa congiunta tra pubblico e privato concepita per eliminare la dipendenza tecnologica dell’Unione europea: alla metà del 2020, oltre venti aziende tedesche e francesi hanno annunciato la creazione di Gaia-X, una società federativa paneuropea incaricata di costruire, in Europa e in modo indipendente dai tentacoli delle Big Tech degli Usa, infrastrutture per il cloud computing. La piattaforma ha ricevuto quasi subito il sostegno della Presidente della Commissione europea,  Ursula von der Leyen , che ha anche confermato che il settore del cloud computing avrebbe ricevuto finanziamenti dal fondo per la ripresa NextGenerationEU.

Dopo quasi due anni, il progetto sembra essersi arenato e in verità ha prodotto soltanto una manciata di innovazioni rilevanti. Ciononostante è un esempio dei tentativi più recenti da parte dell’Ue di dare il via alla propria sovranità tecnologica: per la tecnologia cloud migliaia di imprese, enti e governi fanno ancora troppo affidamento sui colossi tecnologici quali Amazon, Google o Microsoft.

Negli ultimi anni l’Europa si è scontrata con le superpotenze tecnologiche nordamericane – le Big Tech sono state obbligate a pagare multe per centinaia di milioni per aver infranto il GDPR   e per violazioni della legge sulla concorrenza – ma per la Silicon Valley l’Europa rappresenta ancora un mercato redditizio, tanto che nel 2020 Amazon vi ha registrato un fatturato record . Microsoft – che ha il suo quartier generale in Irlanda benché trasferisca buona parte dei suoi utili alle Bermuda – ha registrato introiti per circa €260 miliardi in Europa .

Il mercato del settore pubblico

Perfino in un periodo in cui i rapporti tra gli enti europei di regolamentazione e i colossi tecnologici si stanno facendo sempre più gelidi, una fetta rilevante dei loro utili continua a provenire da contratti del settore pubblico e da gare d’appalto pagate da autorità e istituzioni dell’Ue. Secondo i dati pubblicati dall’Official Journal della Ue e consultati da EOM per questo articolo, dal 2016 a oggi Amazon e Microsoft hanno raccolto circa 207 milioni di euro complessivi da sei contratti pubblici con la Commissione europea e altre istituzioni europee, in molti casi con scarse o nessuna possibilità di partecipare a gare d’appalto.

Microsoft è stata la principale beneficiaria del sistema di gare d’appalto dell’Ue, con cinque contratti del valore di circa 148 milioni di euro. Amazon è entrata nella mischia nel 2020, sebbene con un solo contratto a suo nome, il cui valore si aggira sui 58 milioni di euro. I dati meno recento disponibili nella versione digitale di Official Journal risalgono soltanto al 2016, anche se i rapporti tra le istituzioni europee e i giganti del settore tecnologico risalgono a molto prima: nel 2011, Computer Weekly riferì che la società di Bill Gates aveva sottoscritto sei contratti con la Commissione risalenti al 1993, quando non c’era alcuna concorrenza da parte di altre aziende. Nel caso di Amazon, uno studio condotto dall’unione sindacale UNI Europa ha mostrato che la presenza di società tecnologiche che ricevono contratti pubblici è cresciuta al passo con le maggiori esigenze delle istituzioni europee: tra il 2018 e il 2021, la multinazionale di Jeff Bezos ha firmato contratti pubblici europei per poco meno di 1,3 miliardi di euro, perlopiù nel Regno Unito. 

Cloud computing, il trampolino di lancio per la nuova strategia di Big Tech

Lo studio di UNI Europa ha evidenziato anche che Amazon ha dominato le gare d’appalto per il cloud computing tramite la sua sussidiaria, Amazon Web Services, che ha ottenuto il 90 per cento dei contratti pubblici in Europa per questa tecnologia. Il cloud computing in verità è diventato uno dei capisaldi del software hi-tech americano in Europa : le aziende americane soddisfano la metà del mercato globale e considerano l’Europa una miniera d’oro per questa tecnologia.

Secondo uno studio condotto da Synergy Research Group , la richiesta europea di servizi sul cloud si è quadruplicata dal 2017, generando utili trimestrali di 7,3 miliardi di euro. Se le aziende europee hanno aumentato anch’esse le loro entrate, nessuna però ha beneficiato dell’esplosione della domanda di cloud computing quanto i colossi tecnologici nordamericani, che detengono una percentuale sempre maggiore del mercato del Vecchio continente.

Secondo questi dati, negli ultimi quattro anni la quota di mercato delle aziende europee attive nel cloud computing è scesa di più del 10 per cento, passando da 27 a 16 punti percentuali. L’azienda europea con la quota di mercato più grande è Deutsche Telekom, con solo il 2 per cento circa del mercato, mentre Amazon, Google e Microsoft insieme arrivano quasi al 70 per cento.

La dipendenza tecnologica è un rischio per la privacy degli europei 

L’inquietante oligopolio delle Big Tech nel settore del cloud non è l’unico motivo di preoccupazione per le istituzioni europee, sempre più dipendenti sul versante tecnologico. Anche senza i nuovi contratti, i numerosi accordi che di recente sono stati firmati con le aziende nordamericane del settore tecnologico sono già adesso oggetto di indagine da parte del Garante europeo della protezione dei dati (European Data Protection Supervisor, EDPS ). Nel 2018, in coincidenza con l’introduzione

del GDPR, l’ente di tutela dati dell’Ue ha predisposto una guida per le istituzioni dell’Ue che usano il cloud computing . Da allora, l’EDPS ha lanciato spesso un allarme in relazione ai contratti pubblici.

Nell’aprile 2019, per esempio, l’EDPS ha avviato un’indagine sui contratti della Commissione europea firmati con Microsoft, e dalle prime conclusioni si è constatato che potrebbero aver aggirato il GDPR. 

Ciò è stato confermato da un decreto della Corte penale dell’Unione europea del luglio 2020 che ha abrogato lo Scudo per la Privacy, il meccanismo legale usato per trasferire i dati tra Ue e Usa, a causa di mancanza di garanzie. In base al nuovo decreto, l’ente di regolamentazione ha imposto alle istituzioni europee di informare attivamente gli utenti in caso di trasferimento dati a paesi di parti terze e, nel maggio 2021, ha annunciato che due indagini erano in corso sui contratti della Commissione – uno per il software e l’altro per i servizi su cloud – con Amazon e Microsoft.

Anche così, le nuove normative dell’EDPS hanno confermato ancora la cronica dipendenza dell’Ue sul versante tecnologico , con alcune “istituzioni europee che usano sempre più servizi software e cloud dei grandi del settore”, specialmente le più importanti aziende statunitensi. La realtà è ben nota ai colossi della Silicon Valley: mentre i progetti europei come Gaia-X sono in fase nascente e alle prese con piccoli problemi di messa a punto, Big Tech è ancora la forza dominante nei contratti pubblici europei nel settore tecnologico .

 
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Questo articolo è stato prodotto nell'ambito del progetto Panelfit, cofinanziato dal programma Horizon 2020 della Commissione europea (grant agreement n. 788039). La Commissione non ha partecipato alla stesura del testo e non è responsabile per il suo contenuto. L’articolo rientra nella produzione giornalistica indipendente di EDJNet.


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