© alphaspirit/shutterstcok

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Le elezioni per il presidente della Croazia si terranno il prossimo 22 dicembre e nel caso di un più che probabile ballottaggio la data è il 5 gennaio 2020. I favoriti sono la presidente uscente Grabar-Kitarović e l'ex premier ed ex capo dei socialdemocratici Zoran Milanović

19/11/2019 -  Giovanni Vale Zagabria

Si scaldano i motori della campagna elettorale in Croazia in vista delle presidenziali di fine dicembre. Giovedì scorso il primo ministro Andrej Plenković ha annunciato la data del primo turno che si terrà il prossimo 22 dicembre (mentre l’eventuale ballottaggio è fissato per il 5 gennaio 2020) e si è attirato fin da subito le critiche del principale candidato dell’opposizione ed ex premier Zoran Milanović, secondo cui le date scelte sono volte a scoraggiare la partecipazione al voto.

"È un furto e una disgrazia", ha dichiarato Milanović, rappresentante del Partito socialdemocratico (SDP) alla corsa per il posto di capo di Stato. "L’HDZ vuole ridurre il numero di persone che voteranno sia il 22 dicembre che il 5 gennaio", ha proseguito il candidato SDP, secondo cui alla prima data mancheranno "tutti quelli che l’HDZ ha obbligato ad emigrare in Irlanda e che ancora non saranno tornati (per Natale, ndr.)", mentre all’appuntamento di gennaio "100mila elettori saranno ancora in vacanza con le loro famiglie".

Insomma, stando a Milanović, il governo vuole "uccidere la campagna elettorale" e diminuire l’affluenza ad un eventuale secondo turno "nel tentativo di nascondere il vuoto del candidato dell’HDZ". Il riferimento, in questo caso, è a Kolinda Grabar-Kitarović, attuale capo di Stato e candidata dell’Unione democratica croata (HDZ, centrodestra). Inutile dirlo, le accuse dell’ex premier sono state respinte da Plenković: "Il candidato ha un sacco di problemi. Le presidenziali in Croazia si sono sempre tenute a fine dicembre", ha tagliato corto il Primo ministro.

Verso un classico HDZ vs SDP?

Ma se è vero che probabilmente non c’è molto da commentare sulla scelta delle date (nel 2014, ad esempio, si votò il 28 dicembre e poi l’11 gennaio 2015), è altrettanto vero che i sondaggi stanno delineando una battaglia piuttosto aperta tra i candidati, in particolare tra Grabar-Kitarović e Milanović, donde la sensibilità di quest’ultimo per le condizioni in cui si svolgerà il voto. Stando agli ultimi dati pubblicati dalla stampa croata, la presidente uscente viaggia al momento con il 29% dei voti, mentre lo sfidante SDP è fermo a quota 24%.

In mancanza di un 50%+1 al primo turno, i due si ritroverebbero dunque al ballottaggio dove il candidato uscente è tradizionalmente svantaggiato. Non è detto, però, che i candidati esterni ai due grandi partiti della politica croata - HDZ e SDP - non arrivino al secondo turno. Per il momento, il cantante Miroslav Škoro, che si sta imponendo come espressione della destra più conservatrice, otterrebbe il 17% dei voti, mentre l’ex giudice Mislav Kolakušić, che mira al voto di protesta e al campo progressista, si aggiudica il 14%.

Possono sembrare numeri distanti da quelli dei candidati HDZ e SDP, ma non lo sono se si considera la loro evoluzione negli ultimi mesi, in particolare per quanto riguarda Kolakušić. Ad ottobre, quest’ex giudice che ha costruito la sua campagna sui social network contava appena il 6% dei consensi. In un mese ha più che raddoppiato il proprio elettorato e Miroslav Škoro sembra voler fare la stessa cosa con la sua retorica nazionalista sempre più spinta ("No, la guerra non è finita", "Lo slogan Per la patria pronti è quello per cui è morto mio cugino, non mi si può dire che oggi dà fastidio").

Sono invece decisamente fuori dai giochi il candidato indipendente e progressista Dejan Kovač (2,6%), l’ex presidente della Commissione per i conflitti di interesse, la liberale Dalija Orešković (2,5%) o ancora il regista Dario Juričan (0,5%) che si era inizialmente candidato con il nome di Milan Bandić proponendo un ironico programma a favore della corruzione. Il sindaco di Zagabria è intervenuto per vie legali per “riprendersi” la propria identità e smontare una campagna che stava diventando decisamente virale.

Il presidente, “difensore” del popolo croato

Come spesso accade alla vigilia delle elezioni presidenziali in Croazia, la campagna elettorale manca di contenuti concreti, avendo il capo di Stato un ruolo perlopiù rappresentativo. Senza il potere di veto sulle leggi votate dal Sabor, il presidente croato ha un certo margine d’azione solo in termini di politica estera o di difesa, ma anche qui si tratta di iniziative sostanzialmente politiche, di messaggi o di possibili “spallate” all’esecutivo in carica. È un ambito nel quale è stata peraltro molto attiva la presidente uscente.

Kolinda Grabar-Kitarović ha fatto del suo ruolo di rappresentante della Croazia all’estero il cardine del suo primo mandato. La capo di Stato sarà infatti ricordata per le sue comparsate ai mondiali di Calcio del 2018 (grazie anche al risultato eccezionale realizzato dalla Croazia), per i suoi continui spostamenti - all’interno e all’esterno del paese - e in misura minore, per il suo ruolo nel promuovere l’”Iniziativa dei tre mari” che riunisce 12 paesi tra l’Adriatico, il Baltico e il Mar Nero.

L’intraprendenza di Grabar-Kitarović in politica estera è stata uno dei punti di scontro più frequenti con l’esecutivo di Andrej Plenković, avendo i due visioni diverse del ruolo della Croazia in Europa. Da un lato la presidente spingeva per  rapporti più stretti con il gruppo di Visegrad dimostrandosi a volte “fredda” sul progetto europeo, dall’altro il premier preferiva lavorare con Bruxelles e Berlino. Questa stessa contrapposizione si rifletteva poi nella politica interna, con la capo di Stato che criticava “da destra” l’esecutivo.

Eletto direttamente dagli elettori, il presidente croato è infatti visto come “un difensore del popolo”, una figura che protegge i cittadini, sorveglia l’azione del governo ed è - almeno in teoria - slegata dalle logiche dei partiti politici (tant’è che una volta entrato nella residenza di Pantovčak, il capo di Stato croato cancella formalmente la sua iscrizione dal partito di appartenenza). Quest’interpretazione della figura presidenziale lascia inevitabilmente spazio ad un comportamento spesso populista.

Dell’azione di Kolinda Grabar-Kitarović si ricorderà dunque la retorica patriottica, l’attento uso degli appuntamenti internazionali per promuovere la propria immagine, o ancora il temporaneo spostamento del proprio ufficio sulla costa, piuttosto che a Vukovar per essere “più vicina ai cittadini”. Delle iniziative che hanno prodotto poca sostanza politica, ma che hanno consolidato la caratura pubblica della presidente, in vista di un nuovo ruolo istituzionale (magari europeo, che non si è però realizzato) o di una riconferma a Pantovčak.

Di fronte ad un ruolo di questo tipo e a un primo mandato così denso di attività e viaggi, è legittimo chiedersi cosa possa fare di nuovo Grabar-Kitarović nei prossimi cinque anni, qualora dovesse vincere le elezioni. Questo quesito, ovvero la mancanza di un programma concreto, è il punto debole della candidatura non soltanto della capo di Stato uscente, ma in generale dei presidenti croati che cercano una riconferma. Era stata infatti una generale voglia di novità a far naufragare (al secondo turno) la ricandidatura di Josipović a inizio 2015.

Come allora, anche quest’anno le presidenziali croate saranno interessanti più per quanto anticiperanno delle elezioni parlamentari in arrivo piuttosto che per la scelta stessa del nuovo presidente. A fine 2020, infatti, il Sabor sarà rinnovato. Per Plenković si tratta del test definitivo, al quale in caso di sconfitta, difficilmente sopravviverebbe alla guida dell’HDZ, ormai apertamente contesa tra le fazioni più estremiste e quelle più moderate. Le elezioni di dicembre ci diranno insomma dove andrà verosimilmente la Croazia nei prossimi mesi e quale ruolo avrà il nazionalismo.


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