Ruža Tomašić - Konzervativci/flickr

Ruža Tomašić - Konzervativci/flickr

Quali le conseguenze delle europee sulla politica interna croata? Polemiche sulle posizioni filo-ustascia espresse dalla riconfermata deputata europea Ruža Tomašić e divisioni in seno a Živi zid, "cugini" croati del M5S

10/06/2019 -  Giovanni Vale

«Ruža, l’ustascia». Lo scorso 31 maggio, il settimanale Novosti è uscito in edicola con questo titolo, rivelando in un articolo alcuni dettagli del passato di Ruža Tomašić, l’eurodeputata croata più votata alle scorse elezioni europee (quasi 70mila preferenze). Secondo il periodico, voce della minoranza serba nel paese, durante gli anni Settanta e Ottanta, ovvero quando viveva ancora in Canada, Ruža Tomašić ha più volte indossato in pubblico un’uniforme ustascia e ha scritto e recitato alcune poesie inneggianti ad Ante Pavelić, il leader dello Stato indipendente di Croazia (NDH), alleato dei nazifascisti durante la Seconda guerra mondiale.

Ruža Tomašić, "non mi vergogno" del sostegno agli ustascia

Tomašić non ha mai nascosto le sue posizioni ultranazionaliste, anzi, è proprio su di queste che ha costruito negli anni la sua carriera politica alla destra dell’HDZ, il partito conservatore al governo in Croazia. Dopo aver rotto la coalizione con quest’ultimo (alle europee del 2014 erano ancora associati), Tomašić è riuscita ad essere comunque eletta, imponendosi addirittura come la candidata con il maggior numero di preferenze in tutta la Croazia. Le rivelazioni di Novosti non sorprendono dunque ma rimangono interessanti per almeno due motivi. Da un lato, per la reazione della stessa interessata e dall’altro per i commenti che hanno scatenato (o meno) nel panorama politico croato.

Contattata dal settimanale, Tomašić non ha negato l’accaduto. "Non me ne vergogno, così stavano le cose quando stavo crescendo", ha dichiarato la deputata europea nata nel 1958 e quindi più che ventenne all’età dei fatti. Tomašić ha spiegato di essersi iscritta nel 1976 al Movimento di liberazione croato (l’HOP, fondato dallo stesso Ante Pavelić una volta fuggito in Argentina) e di aver firmato alcune poesie con l’obiettivo di guadagnare popolarità e poter un giorno assumere la direzione dell’HOP. L’ex poliziotta ha poi negato di aver vestito l’uniforme fascista dopo il 1981, ma Novosti ha trovato una foto incriminante risalente al 1985, quando la politica croata aveva 27 anni.

Più interessanti ancora che i dettagli del sostegno di Ruža Tomašić alla causa ustascia, sono le sue posizioni attuali sull’argomento, ora che siede da ormai sei anni all’emiciclo di Strasburgo. Nei suoi successivi commenti alla stampa, Tomašić ha sostanzialmente relativizzato il ruolo e i crimini di Pavelić e del movimento ustascia durante la Seconda guerra mondiale, facendo lo slalom tra dichiarazioni sdrucciolevoli. "Il movimento ustascia è una cosa, lo Stato indipendente di Croazia è un’altra", ha detto Tomašić. "[Pavelić] non fu obbligato ad introdurre le leggi razziali, ma ok. Non fu obbligato ad aprire dei campi (di sterminio, ndr.), ma erano anni di guerra. Bisogna vivere in quel periodo", ha aggiunto l’eurodeputata. Nel lager ustascia di Jasenovac morirono almeno 83mila persone.

Le dichiarazioni di Tomašić - e in particolare quel "non condanno gli ustascia regolari che combatterono per il loro paese" - hanno fatto molto discutere in Croazia. Ma non tutti i politici sono intervenuti sull’argomento. Se una pronta denuncia è arrivata da parte di diversi esponenti dell’opposizione così come dal rappresentante della minoranza serba Milorad Pupovac (e anche dall’estero, dal Centro Simon Wiesenthal), sia il Primo ministro Andrej Plenković che la capo di Stato Kolinda Grabar-Kitarović hanno preferito non commentare la vicenda. Il risultato delle elezioni, in effetti, con il fronte ultra-conservatore guidato da Tomašić all’8,43%, ha mostrato all’HDZ quanto vale in Croazia il voto dell’estrema destra. Insomma, condannare apertamente gli elementi fondanti di quella destra potrebbe voler dire per l’HDZ inimicarsi una parte consistente del suo elettorato potenziale.

Dopo il successo, si dividono gli alleati croati del M5S

Ruža Tomašić non è l’unica ad attraversare un movimentato periodo post-elettorale. Živi zid, la «barriera umana» alleata del Movimento 5 Stelle alle europee, vive una crisi ancor peggiore. Il partito, nato nel 2011 come movimento anti-sfratti e sviluppatosi negli anni come un fronte populista ed euroscettico, è riuscito per la prima volta ad ottenere un seggio al parlamento europeo dopo aver incassato il 5,66% dei voti alle elezioni di fine maggio. Ma proprio il successo pare aver incrinato la compagine.

A chi spetta infatti il seggio a Strasburgo? Il capolista, nonché leader del movimento, Ivan Vilibor Sinčić ha ottenuto oltre il 30% delle preferenze, ma ancora prima del voto Sinčić ha fatto sapere di non voler lasciare la Croazia. Branimir Bunjac è arrivato secondo con il 13% dei voti. Come Sinčić, anche Bunjac siede attualmente al Sabor, occupando uno dei tre seggi che il partito controlla dal 2016 (il terzo è Ivan Pernar). Bunjac non ha escluso la sua volontà di entrare al parlamento europeo, così come non l’ha fatto il terzo classificato alle europee, Tihomir Lukanić (9,7%).

All’indomani del voto, un conflitto interno è scoppiato in seno a Živi zid, al punto che due dei tre parlamentari hanno deciso di lasciare il partito. Ivan Pernar e Branimir Bunjac denunciano la «dittatura interna» ed in particolare il ruolo preponderante della moglie di Ivan Vilibor Sinčić, Vladimira Palfi, vicepresidente del partito. Secondo Sinčić, l’accordo iniziale era quello di far ruotare 5 membri secondari del partito al seggio europeo, ma data la contrarietà di Bunjac e Pernar, Sinčić avrebbe deciso di andare lui stesso a Strasburgo, fino alle prossime elezioni legislative in Croazia.

Non è certo che questa sarà la strada che seguirà Živi zid. Per il momento, però, il partito si ritrova spaccato in due.

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