Bata Živojinović e Boris Dvornik in una scena del film Most

Bata Živojinović e Boris Dvornik in una scena del film Most

È certamente una canzone particolare, sicuramente una delle più note al mondo. Bella ciao è stata cantata da numerosi musicisti e non, da Manu Chao a Goran Bregović, da Tom Waits a don Andrea Gallo al termine di una messa. "È il simbolo della resistenza e della lotta per i diritti umani in tutto il mondo"

14/02/2020 -  Ahmed Burić Sarajevo

Come ci insegna la storia, prima si accumula una certa quantità di energia, poi si riuniscono persone che, seppur magari per motivi diversi, mirano a uno stesso obiettivo e cominciano a organizzare manifestazioni di massa, poi ad un certo punto accade un evento simbolico che segna quell’epoca. Un evento che poi resta o solo nella memoria oppure le idee che lo hanno ispirato vengono mantenute vive.

Recentemente, una canzone ha riportato al centro dell’attenzione pubblica un vecchio dibattito, quello sulla condivisione, ovvero su una percezione condivisa di un territorio o di un momento storico. No, non si tratta di nostalgia, anche se chi insiste sui legami tra quella canzone e la tradizione della sinistra verrà sempre accusato di essere nostalgico. Si tratta innanzitutto di un sentimento, quel sentimento che ci invade quando ad esempio sentiamo o vediamo una cosa che ci appartiene in quanto parte integrante della nostra eredità culturale e di una percezione del mondo come spazio in cui convivere.

Provai per la prima volta quel sentimento molto tempo fa, più precisamente nel 1969, anno in cui il genio del western partigiano Hajrudin Šiba Krvavac realizzò “Most” [Il ponte], il suo film meno ideologico, con il maggior numero di scene d’azione, realizzato seguendo esclusivamente le regole del mestiere, probabilmente la sua opera migliore. Certo, ”Valter brani Sarajevo” [Valter difende Sarajevo] è considerato il più noto film di Hajrudin Krvavac, grazie alla leggenda che lo accompagna, ma anche per diversi altri motivi. Tuttavia, “Most” è un thriller feroce, che emana un’atmosfera e un’emozione che non si riscontrano spesso nemmeno nelle opere dei più grandi cineasti. In una scena del film, uno dei protagonisti, un partigiano italiano di nome Zavattoni – interpretato da Boris Dvornik, leggenda del cinema jugoslavo, di origine dalmata – canta “Bella Ciao” , ed è, a mio avviso, finora la migliore e la più sincera esecuzione di questa canzone.

Alla metà degli anni Ottanta, quando la società jugoslava attraversava una crisi dei valori socialisti, “Bella Ciao” venne riattualizzata dalla leggendaria punk band di Pola KUD Idijoti . Durante le guerre di dissoluzione jugoslava e negli anni immediatamente successivi la canzone scomparve di nuovo, poi alla fine degli anni Novanta riconquistò popolarità a livello globale grazie all’interpretazione di Manu Chao . Anche il grande mago dell’imprenditoria musicale Goran Bregović aveva approfittato della rinnovata popolarità di “Bella Ciao” , e un’altra interpretazione molto apprezzata è quella del coro femminile sloveno “Kombinat” . Recentemente anche Tom Waits, su spinta di un suo amico di vecchia data, il chitarrista Marc Ribot , ha inciso “Bella Ciao”, un’interpretazione in cui le parole “goodbye beautiful” assumono il loro pieno significato accompagnate da un video che mostra i poliziotti statunitensi che controllano ogni centimetro del paese governato da Donald Trump.

Così una canzone popolare nata nel XIX secolo nei campi agricoli ottenuti – come ci hanno insegnato a scuola – grazie agli interventi di sistemazione agraria lungo il Delta del Po, e poi più volte riadattata è diventata il simbolo della resistenza e della lotta per i diritti umani in tutto il mondo.

In Italia “Bella Ciao” è tornata nuovamente alla ribalta nel 2012, quando Don Andrea Gallo, un’altra figura diventata ormai leggendaria, l’ha intonata dopo la santa messa celebrata in una chiesa a Genova. In Croazia e in Bosnia Erzegovina una cosa simile è inimmaginabile. Solo alcuni francescani bosniaci forse sarebbero capaci di compiere un gesto così forte.

Poi l’anno scorso, alla fine del primo tanto atteso Gay Pride di Sarajevo, riuniti davanti alla sede del parlamento della Bosnia Erzegovina, abbiamo cantato tutti insieme “Bella Ciao” , guidati dal noto compositore e interprete di sevdah Damir Imamović, che ha riproposto questo celebre canto popolare in una veste nuova.

Tutte le esecuzioni successive di “Bella Ciao”, compreso il video che mostra 6000 persone sotto gli ombrelli che, durante una manifestazione di protesta organizzata dal movimento delle Sardine nella piazza centrale di Modena, cantano “Bella Ciao”, sono parte integrante di uno stesso sentimento, stimolato dall’idea che nessuno dei cosiddetti “partiti di sinistra” – né il Partito socialdemocratico della Bosnia Erzegovina né quello croato, e nemmeno il migliore e più efficace di tutti i partiti di sinistra sloveni – sia in grado di aprire la strada verso una società più giusta o almeno di dare vita a una protesta contro l’attuale stato di cose.

Potrebbe farlo solo un coro che riunisse tutte le persone che in “Bella Ciao” riconoscono un invito a battersi per una vita migliore, più dignitosa e più moderna. Ovviamente, è ingenuo aspettarsi che la situazione cambi solo perché alcuni di noi si sono – come si dice in Bosnia Erzegovina – lasciati trasportare dalla musica, ma alcuni fatti accaduti durante la cerimonia di inaugurazione di Fiume Capitale europea della cultura 2020 dimostrano definitivamente che vi è tutta una serie di organizzazioni di destra, associazioni dei veterani di guerra, enti ecclesiastici e altre associazioni conservatrici a cui la canzone “Bella Ciao” dà fastidio.

Durante la cerimonia di inaugurazione è andato in scena uno spettacolo intitolato “Opera industriale” – un omaggio alla città di Fiume, ai suoi lavoratori e alla sua tradizione industriale e liberale – nel corso del quale è stata eseguita anche “Bella Ciao” . Un’esecuzione che ha spinto molti esponenti di destra ad accusare tutti quelli che non vedono nulla di problematico nell’esibire i simboli del passato nell’ambito di una manifestazione culturale di voler tornare al periodo del “comunismo” e dell’”occupazione”. Come se la Croazia fosse stata inclusa nell’ex Jugoslavia come un territorio occupato, anziché liberato.

Alla cerimonia di inaugurazione, che può essere considerata una grande vittoria della diversità, non hanno partecipato né la presidente uscente Kolinda Grabar-Kitarović né il premier croato Andrej Plenković. Ma in fin dei conti poco importa. Nel corso del 2020 Fiume sarà – ce lo auspichiamo – un centro dove si incontreranno diverse persone e idee e si cercherà di superare le divisioni sorte durante la Seconda guerra mondiale, divisioni che persistono da troppo a lungo.

Quindi, basta prendere esempio da Fiume, per rendersi conto che il futuro può essere costruito solo unendo le differenze in una polifonia. Ogni monomania è destinata a sfociare nel totalitarismo.

E “Bella Ciao” è qui per ricordarci quanto sia importante avere una tradizione e, al contempo, essere in grado di abbandonare quella parte della tradizione che ci impone un’unica, “la nostra”, percezione della realtà.

Una mattina mi son alzato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao ciao ciao…


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