È morta Liri Belishova, donna del Novecento albanese

24 aprile 2018

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Si è spenta a novantadue anni, nella sua casa di Tirana, Liri Belishova, volto femminile della Resistenza comunista albanese

Liri Belishova

Nata a Belishova, nella regione di Mallakastra, Liri partecipò giovanissima alla guerra di Liberazione nazionale (prima contro gli italiani, dall’8 Settembre 1943 contro i tedeschi), perdendo un occhio in battaglia all’età di diciassette anni. Nel 1947, al culmine del primo conflitto interno al Partito comunista albanese, suo marito Nako Spiru venne emarginato dalla “corrente filojugoslava” e si tolse la vita in circostanze misteriose. Nonostante questa tragedia famigliare, dopo la rottura con la Jugoslavia di Tito, maturata nel giugno 1948, Liri scelse nuovamente la vita pubblica. Membro stabile del Politbureau, dal 1951 al 1954 venne inviata dal Partito del Lavoro a Mosca per frequentare  l’Istituto di Studi marxisti-leninisti (nel 1953 poté assistere in prima persona ai funerali di Stalin: il “grande padre” che Enver Hoxha non rinnegherà mai).

Com'è noto, la destalinizzazione imposta da Krusciov al comunismo internazionale non venne digerita da Tirana, che nel nome dell’ortodossia stalinista ruppe ogni relazione con l’Unione Sovietica e siglò un’improbabile alleanza con la Cina di Mao Zedong. È in quel frangente che la colta Liri cadde in disgrazia: formalmente accusata di filo-sovietismo, ma sostanzialmente troppo ingombrante per una dittatura prossima alla chiusura totale, per un dittatore che si conservò al potere eliminando uno ad uno i suoi ex compagni d’arme, a cominciare dai più carismatici. L’esilio di Liri durò 31 anni, cominciò nel 1960 e finì nel 1991. Le poesie e gli scritti di sua figlia Drita Çomo, anch’ella perseguitata dal regime e morta giovane, sono oggi umana testimonianza della vita dei "nemici del popolo" nell’Albania di Enver Hoxha.

Nel giugno 2015 ho avuto l’onore di incontrarla di persona. Probabilmente intenerita da un giovane straniero interessato alla storia del suo paese, nel paio d’ore passate insieme Liri accettò di rompere il suo consueto riserbo – “In Albania il passato è vissuto con inquietudine, ogni volta che apro bocca titolano ‘la vecchia ha parlato’, attribuendomi frasi non mie…”. Avendoli ascoltati di persona, posso testimoniarlo: nei racconti di Liri – dai sogni della sua giovinezza alla brutalità della guerra, dall’impegno politico vissuto in prima fila alla solitudine del confino – riecheggiavano l’Albania e il Novecento europeo. Senza mai mettersi al centro dei suoi ricordi, ma senza mai negare le proprie “responsabilità” – parola da lei stessa ripetuta con un’insistenza che mi colpì – Liri concepiva la sua drammatica parabola esistenziale all’interno di una Storia più grande di lei, su cui, novantenne, non rinunciava ad interrogarsi. Nelle commosse ore della sua scomparsa, ricordo e condivido le parole con cui mi aveva congedato.

“Voi avete la fortuna della giovinezza, avete tempo per fare meglio. Come si commentano i cambiamenti dell’est Europa in Italia? Ci sono ancora illusioni sul socialismo o no? Oggi c’è il capitalismo. Ma cosa ci sarà in futuro? Questo è il problema degli intellettuali, per il popolo c’è solo la vita quotidiana, di cui chi governa deve avere cura. Il grande tema di Marx, la vita dei lavoratori e del popolo, non è dimenticato. Oggi le persone vivono meglio di trent’anni fa, questo si deve dire. La Storia non va veloce, le cose cambiano lentamente. Bisogna andare avanti, ma senza rivoluzioni e guerre. Perché se la rivoluzione vince con la forza, poi la forza governerà. La vita è fatta di enormi contraddizioni. Per essere stata comunista io sento responsabilità, ma non vergogna. In gioventù il comunismo è stato un bellissimo sogno. E io non posso immaginare una generazione di giovani senza sogni. Auguro a te e alla tua generazione di non essere stupidi come noi, che ci siamo traditi. Non rinunciate mai alla cultura e alla critica, i beni più preziosi”.


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