A otto anni dalla sua inaugurazione, il Patto di Stabilità - a cui spesso ci si riferisce come al nuovo Piano Marshall - entra nella sua fase conclusiva

14/11/2007 -  Risto Karajkov

Gli ultimi preparativi per l'istituzione del Consiglio Regionale per la Cooperazione (RCC) - un nuovo organismo che inizierà ad operare nel 2008 - destinano il Patto di Stabilità per il sud-est Europa a passare alla storia.

Con la sua creazione ci si proponeva di dare vita a "un'iniziativa di ampia portata per la prevenzione del conflitto", che migliorasse gli interventi - spesso frammentari e solo reattivi - intrapresi fino ad allora dalla comunità internazionale nella ex-Jugoslavia. La premessa era che la regione condividesse una serie di problematiche comuni che era inutile cercare di affrontare con iniziative differenziate paese per paese. La questione poteva essere affrontata solo attraverso un approccio regionale.

Il Patto di Stabilità non è stata la prima iniziativa di questo tipo. Lo hanno preceduto esperienze come il SEECP (Processo di cooperazione nel Sud Est Europa ), l'iniziativa statunitense SECI (Iniziativa di cooperazione nel Sud Est Europa) e la Royaumont Initiative (intrapresa dall'Unione Europea) poi trasformatasi nella strategia denominata Approccio Regionale ai Balcani.

Il Patto di Stabilità è stato il tentativo di far spiccare un salto di qualità a tutti questi sforzi. Alcuni lo hanno descritto come "la più complessa e rischiosa impresa del ventesimo secolo". Più di 40 paesi e organizzazioni internazionali firmarono l'accordo che ne stabiliva la nascita.

I beneficiari del Patto comprendevano i Balcani nel senso più ampio: ex- Jugoslavia (eccetto la Slovenia), più Albania, Romania, Bulgaria e Moldavia (entrata più tardi ). La Serbia si unì solo dopo la caduta di Milošević.

Inaugurato pochi giorni dopo la fine della guerra in Kosovo, ricevette un riscontro senza precedenti in termini di sostenitori dell'iniziativa. Tutti i paesi dei Balcani, oltre ai mambri dell'UE; gli stati non europei del G8, Russia, Canada e Giappone; tutte le principali organizzazioni internazionali.

Con così tanti attori coinvolti, l'equilibrio da raggiungere appariva molto delicato. La NATO voleva e si aspettava un ruolo di primo piano in ambito di sicurezza ma, secondo le parole degli analisti, "a causa delle riserve manifestate da parte della Russia e di alcuni governi europei, il ruolo della NATO venne così minimizzato da non corrispondere all'importanza che l'organizzazione riveste oggi nella regione."

La Germania giocò il ruolo di protagonista fra i promotori del Patto, e Joschka Fischer ottenne molti riconoscimenti per questo. Secondo alcuni commentatori, fu un'abile mossa per distogliere l'attenzione dalle critiche mosse al suo appoggio ai bombardamenti NATO. In realtà la Germania premeva a favore della realizzazione del progetto già da prima che fosse deciso l'intervento dell'Alleanza Nord-Atlantica.

L'esito del Patto tende oggi ad essere valutato positivamente, ma non è stato sempre così. L'opinione generalmente condivisa è che l'accordo non sia stato all'altezza delle aspettative suscitate in un primo momento, fra cui quella di far rivivere i prodigi del Piano Marshall.

"C'era la forte speranza che la comunità internazionale sarebbe stata in grado di generare un afflusso di aiuti capace di trasformare la regione. Così, appena realizzato che i bulldozer e le altre macchine da costruzione non arrivavano, si diffuse la delusione per la percezione che il Patto di Stabilità non avesse mantenuto le promesse." Si legge in un commento del diplomatico NATO Stewart Henderson.

C'è un consenso piuttosto unanime sul fatto che il Patto venne percepito come un fallimento negli anni immediatamente seguenti alla sua fondazione soprattutto perché le aspettative iniziali erano state troppo elevate. Un rapporto redatto in quel periodo dalla Camera dei Lord britannici, con cui si destinavano fondi ai Balcani, sosteneva che "il Patto di Stabilità è stato presentato in modo da generare aspettative esagerate rispetto a quanto riuscirà a raggiungere effettivamente". Con le parole di Claire Short, ex segretario per lo sviluppo internazionale, "le grandiose promesse fatte al momento della firma del Patto hanno causato preoccupazione perché sono state viste da molti come troppo ambiziose":

Sulla stessa linea interviene la testimonianza di Chris Patten in merito allo stesso rapporto " è ingiusto accusare i fondatori del patto per il gap registrato fra le promesse iniziali e ciò che il Patto è stato effettivamente in grado di ottenere".

La stessa opinione è diffusa anche oggi. "Quando fu lanciato nel 1999 - dice Erhard Busek, coordinatore del Patto - " alcuni pensarono che sarebbe stato un altro Piano Marshall. Divenne chiaro molto presto che la comunità internazionale non disponeva dei fondi necessari da iniettare nei Balcani e che comunque la regione non sarebbe stata pronta ad assorbire una tale cifra".

"La retorica dei leader mondiali alla conferenza di Sarajevo del 1999 ha sollevato aspettative che il Patto non poteva essere in grado di soddisfare. Il risultato è stato la delusione quasi immediata", dice Gerald Knaus, direttore dell'influente European Stability Iniziative (ESI).

"Il Patto di Stabilità non ha distribuito fondi ma è riuscito a convincere gli attori della regione che la volontà politica di riforma e l'impegno nella cooperazione regionale possono fare la differenza. Quando esiste tale volontà, gli investimenti arrivano. E questo è precisamente ciò che sta succedendo ora" sostiene Busek.

"Abbiamo svolto un'accurata valutazione del Patto nel 2001 e la nostra raccomandazione è stata quella di reindirizzare l'attenzione verso questioni specifiche, fra le quali in particolare la cooperazione energetica. Alcune persone all'epoca non apprezzarono le critiche mosse. Ad ogni modo, concentrarsi su progetti concreti si dimostrò una strategia molto più efficace rispetto al promettere la luna come si era fatto fino a quel momento" sottolinea Knaus.

Secondo lui, questa ridefinizione ha trasformato il Patto in una storia di successo. "Sono stati prodotti benefici tangibili e si è approfondita la cooperazione regionale, progressi che si possono apprezzare se confrontiamo i Balcani con altre zone uscite di recente da un conflitto armato, dal Caucaso meridionale al Medio Oriente", aggiunge Knaus.

Pochi anni dopo la firma del Patto, quando era ormai chiaro che non sarebbe stato in grado di garantire ai Balcani ciò che il Piano Marshal aveva fatto per l'Europa, molti iniziarono a dubitare dell'utilità di una sua continuazione. Ma nonostante questo il Patto ha resistito fino ad oggi.

L'aiuto estero sotto molti aspetti ha fallito. Il Patto però ha saputo ristrutturarsi e reinventarsi, secondo le parole del suo coordinatore, proprio come un "buon broker".


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