Foto di scena del documentario Dopo Srebrenica (Gughi Fassino)

Un approfondimento sulla comunicazione giornalistica dei conflitti nei Balcani. Il fotogiornalismo, il racconto giornalistico e il documentario, tra realtà e rappresentazione. I casi di Claus Bjorn Larsen, Gill Peress, Paolo Rumiz e Andrea Rossini

05/06/2009 -  Anonymous User

Di Viviana Bosello

Ci sono diversi strumenti e differenti modi con cui fare informazione giornalistica. I giornalisti che si sono occupati di informare sui diversi conflitti nei Balcani, e sui contesti che si sono venuti a creare in seguito, hanno contribuito a disegnare le rappresentazioni che l'opinione pubblica ne ha.

Questo contributo approfondisce potenzialità e limiti del fotogiornalismo, del racconto giornalistico e del documentario nel raccontare la complessità dei conflitti e dei contesti balcanici. Per farlo l'autrice si sofferma su alcuni dei lavori di Claus Bjorn Larsen, Gill Peress, Paolo Rumiz e Andrea Rossini.

L'idea di fondo è che la rappresentazione che viene proposta da queste diverse forme di comunicazione giornalistica non è la realtà pura, vera, chiara, poiché chi sta dietro agli strumenti giornalistici inevitabilmente interpreta la realtà in due momenti: quando prova a capirla o catturarla e quando prova a comunicarla ad altri. Quindi ciò che sta tra la "realtà" e la "rappresentazione" proposta al pubblico è una forma di manipolazione più o meno consapevole, più o meno responsabile.

Ci sono due questioni a cui il giornalista può prestare attenzione. In primo luogo, nel momento in cui comunica la propria rappresentazione della realtà corre il rischio di semplificare la complessità del reale fino al punto di contribuire a consolidare stereotipi diffusi nell'immaginario collettivo; in questo caso il giornalista fa contro-informazione. In secondo luogo la rappresentazione del giornalista è veicolata da strumenti diversi: fotografia, racconto, documentario. Ciascuno di questi strumenti è legato diversamente al linguaggio simbolico che evoca significati rilevanti per l'opinione pubblica. In questo senso l'abilità, la capacità e la responsabilità del giornalista stanno nella delicatezza e nell'attenzione data al linguaggio simbolico che sceglie.

Questo contributo è diviso in tre parti, nella prima si analizzano le foto di Claus Bjorn Larsen e Gill Peress; le grandi potenzialità artistiche della fotografia sono per certi versi un grande punto di forza, per altri di debolezza, tanto che la fotografia si rivela la forma giornalistica più rischiosa per l'informazione. La seconda parte del lavoro è focalizzata sul racconto giornalistico, e ad essere preso in esame è Maschere per un massacro di Paolo Rumiz. Il tentativo di Rumiz sembra quello di descrivere tutta la complessità del divenire dei conflitti balcanici, ciò si rivela uno sforzo titanico, "dietrista", e al contempo straordinariamente minuzioso ed illuminante. Infine la terza parte approfondisce Dopo Srebrenica, la memoria, il presente di Andrea Rossini. Questo modo di fare documentario si rivela uno stile giornalistico che non trasmette solo informazioni rilevanti, ma riesce anche a comunicare la vita quotidiana, le emozioni delle persone e la complessità sociale e politica senza spettacolarizzare. In altre parole comunica tutto ciò da cui oggi un sano modo di fare giornalismo non può prescindere, tanto più in questioni delicate come quelle dei Balcani.


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