Non si fermano in Serbia le proteste contro il premier e presidente in pectore Aleksandar Vučić. Migliaia di manifestanti ne chiedono le dimissioni, accusandolo di governo autoritario e brogli elettorali. Francesco Martino (OBCT) per il GR di Radio Capodistria [11 aprile 2017]
Sono scesi ieri in piazza per l'ottavo giorno consecutivo e promettono battaglia ad oltranza: migliaia di cittadini serbi continuano a protestare - a Belgrado e in altre città del paese - contro quella che definiscono “la dittatura” del premier e presidente in pectore Aleksandar Vučić.
La contestazione, esplosa subito dopo la travolgente vittoria di Vučić alle presidenziali dello scorso 2 aprile, assume ora un tono più radicale coi manifestanti che chiedono le dimissioni del governo, insieme a quelle dei membri della Commissione elettorale e alla direzione della tv pubblica.
Per chi contesta il premier, Vučić avrebbe instaurato un vero e proprio regime in Serbia, fatto di controllo asfissiante sui media e condito da brogli elettorali, tutti da provare, che sarebbero resi possibili dalla presenza di oltre 800mila nominativi fantasma nelle liste elettorali.
Domenica, nelle strade di Belgrado a studenti e cittadini si sono aggiunti anche sindacati di polizia e rappresentanti dell'esercito, che chiedono migliori condizioni di lavoro ed aumento dei salari, aggiungendo così temi economici e sociali ai motivi del malcontento.
Agli slogan politici, si sono affiancate richieste di decentralizzazione della macchina amministrativa, di nuove priorità economiche e sociali, della difesa dei livelli salariali e dell'accesso – libero e pubblico - a istruzione e sanità.
Lo stesso Vučić, inizialmente impassibile, comincia ora a mostrare segni di nervosismo: in un'intervista rilasciata domenica, ha accusato i manifestanti di essere al servizio “del vecchio regime” e di cercare di delegittimare e distruggere le istituzioni serbe.
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