Giorgio Andrian, funzionario del Regional Bureau for Science in Europe (UNESCO-ROSTE) tratta la questione della diga sul Tara e le linee di intervento delle organizzazioni internazionali a protezione dell'ambiente.

19/01/2005 -  Anonymous User

Grazie per averci invitato ai lavori come uno degli elementi della tanto citata Comunità Internazionale. Lavoro come consulente in un ufficio regionale delle Nazioni Unite che lavora sul sud-est Europa per usare un termine "politically correct", evitando quello più scomodo per molti di "Balcani".

Per quanto riguarda l'intervento internazionale ci si pone continuamente questa domanda: "does it make a difference?", in altre parole, l'UNESCO ha dei programmi che prevedono la designazione e la certificazione di protezione per alcuni territori, la domanda che noi ci poniamo è: "quale differenza fa questa designazione?" è una domanda importante soprattutto per un territorio come quello del Tara che gode di una doppia designazione, come può l'UNESCO aiutare a partire dal locale, passare dal nazionale ed arrivare all'internazionale?

All'interno delle stesse Agenzie Internazionali è attivo uno sforzo per cambiare il "main stream" dominante, si può parlare di un nuovo ruolo dell'UNESCO per lo sviluppo territoriale, per reinterpretare questi grandi programmi di protezione che nascono trent'anni fa con una grande visione, che tuttavia per larga parte è ancora condivisa da molti altri soggetti istituzionali e non.

A giugno di quest'anno mi sono recato in visita al fiume Tara, in compagnia del direttore del Parco Nazionale del Durmitor. Lo scenario ambientale è stupendo e lì l'acqua può veramente unire più che dividere. Proprio per questo, ancora trent'anni fa l'UNESCO propose di proteggere il Tara, nel 1977 prima in Europa viene designata la Riserva ecologica del bacino del fiume Tara. Dopo un processo di studio, si arriva a capire che l'intero bacino, non solo il fiume, era molto importante come riserva ecologica, prima ancora di venire riconosciuto come patrimonio dell'Umanità, già negli anni '70 dopo il lancio del progetto "Uomo e Biosfera" dell'UNESCO succede tutto questo. Il Tara diventa a questo punto una questione mondiale, i siti riconosciti dall'UNESCO cominciano a contare a livello mondiale.

Conseguentemente il Parco Nazionale del Durmitor di istituzione precedente alla dichiarazione dell'UNESCO ed inserito nel più ampio bacino del fiume, in qualche modo dovrebbe articolarsi con la designazione internazionale, interrogarsi sulle novità che questa nomina portava con sé, questa è una domanda tuttora aperta, che comprende anche il ruolo che dovrebbero ricoprire le organizzazioni internazionali nella promozione dello sviluppo locale sostenibile.

Nel contesto del programma "World Heritage", nel 1980 l'UNESCO, su segnalazione del governo, decide che una parte del Parco del Durmitor è degna di essere inserita nel programma stesso secondo i tre criteri stabiliti dalla World Conservation Union. Tutto questo ha un significato geopolitico particolare: i Paesi che chiedono la protezione internazionale delle loro bellezze badano non solo al significato ecologico di tale richiesta, ma anche a quello politico connesso con l'affermazione della propria presenza nel club dell'UNESCO.

Alla tavola rotonda tenutasi il 13 ottobre, io dissi ai ministri presenti che la "double nomination" corrisponde alla "double responsability", che a loro sta la scelta secondo i criteri che hanno deciso di adottare e che però in due momenti successivi avevano accettato una nomina internazionale dal significato ben preciso: i confini contano, quelli del Parco del Durmitor nella Repubblica del Montenegro certificato dall'UNESCO, racchiudono un'area che è patrimonio dell'Umanità secondo la convenzione del 1972 e i firmatari della convenzione si impegnano a difendere questi territori contro danni diretti ed indiretti ex articolo 6; la diga con un bacino di invaso che arriva a 5 chilometri, come asserito dal ministro, non rientra certamente nel territorio protetto, ma è impossibile pensare che non abbia alcun effetto su di esso. Questo è il cuore della riserva che fu estesa con molta lungimiranza negli anni '70 fino ad arrivare al confine con la Repubblica Srpska, a questo punto il bacino di invaso della progettata diga di Buk Bijela rientra tutto nel territorio della riserva.

Il "Man and Biosphere" non è tuttavia un programma che si basa su una convenzione "legally binding" perciò i responsabili politici del progetto non sono perseguibili per legge se l'invaso è compreso in un territorio di riserva: questo diventa un affare interno, la cui gestione dipende dall'articolazione del rapporto tra gli stati membri e la Comunità Internazionale, nel caso dell'UNESCO c'è qualche difficoltà in più in quanto sono riconosciute solamente Sarajevo e Belgrado come capitali di due member states e questo complica la trattazione delle questioni in Montenegro, perché esse devono passare necessariamente per la componente serba che non sempre si interessa alle questioni montenegrine.

Le questioni ambientali evidentemente non sono solamente ecologiche, ma anche squisitamente politiche. La differenza tra i programmi UNESCO è questa: uno si basa su una convenzione che deve essere rispettata, in caso contrario il sito viene messo in una "lista rossa" sotto osservazione e se gli abusi continuano, il sito viene tolto dalla lista, questa possibilità è stata vista dai Montenegrini come un modo per attirare l'attenzione mondiale su una questione locale, in tal caso la nomination può funzionare perché i due strumenti possono servire per articolare un discorso territoriale passando per le capitali nazionali, per poi approdare a Parigi.

Adesso però vi sono grandi aspettative nei confronti dell'UNESCO, che però non può e non vuole interferire negli affari interni e non ha neanche uno staff di esperti da inviare per trattare la questione, per fare ciò si dovrebbe appoggiare alla WCU, però può cercare di collegare i valori naturali e quelli culturali in queste zone, monitorando non solo la "core area" di competenza ma anche lo sviluppo umano intorno all'area di riserva stessa, perché esso sia sostenibile, di qui passa la reinterpretazione del MaB e la trattazione della questione del Tara, che, connesso alla costruzione della diga del Buk Bijela, risale al 1957, dopo che ci si è accorti della ricchezza di acqua e della potenzialità connessa al suo sfruttamento.

La cooperazione transfrontaliera, l'accountability, la trasparenza saranno linee guida future di questi processi, con lo "stakeholders involvement", coinvolgendo cioè le conoscenze delle comunità locali, che però non sempre sono in linea con la conservazione ambientale, il progetto della diga, per esempio, raccoglie consensi in molti comuni, perché porterebbe lavoro, elettricità, strade ecc. è quindi necessario prestare attenzione alla gestione di questi elementi nel processo.

Il metodo è quasi innovativo per le Nazioni Unite, l'organizzazione si confronta in loco e si confronta con le esigenze locali, per poi chiedersi se le soluzioni funzionano oppure no, ritornando alla domanda dell'inizio: "fa qualche differenza?" questa è una domanda ancora aperta. Nei Balcani oggi operano molte Agenzie che hanno adottato il metodo della divisione del lavoro in "équipe partnership", ogni organizzazione tratta una determinata area protetta: il WWF lavora per le Alpi Dinariche, la FAO lavora per la riforestazione attorno alle aree protette in Bosnia ed in Serbia, la Cooperazione Svizzera si occupa del lago Skadar tra l'Albania ed il Montenegro e UNESCO con UNDP e Consiglio d'Europa si occupa della zona settentrionale del Montenegro e quindi anche del Tara. Una delle sfide è cercare di rispondere tutti assieme alla domanda dell'inizio.


Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!