Proteste in Bulgaria, cade il governo Zhelyazkov
Dopo settimane di proteste di piazza con decine di migliaia di manifestanti, il governo Zhelyazkov ha annunciato ieri le proprie dimissioni. Classe media e “Generazione Z” chiedono un modello politico nuovo e vincono per ora la battaglia: il futuro politico del paese torna però in una profonda incertezza

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Proteste di massa a Sofia © Rosen Ivanov Iliev/Shutterstock
Non ha aspettato il voto di sfiducia, previsto per il primo pomeriggio di ieri: ancor prima che iniziasse la seduta in parlamento, il premier bulgaro Rosen Zhelyazkov ha convocato i media ed ha annunciato le dimissioni del suo governo.
I numeri in aula gli avrebbero probabilmente garantito di superare il voto di sfiducia chiesto dalle opposizioni, con in testa il movimento riformista “Continuiamo il cambiamento”, ma la pressione della piazza si era ormai fatta insostenibile.
Mercoledì sera, soltanto nel centro di Sofia, al grido “Dimissioni” si erano raccolte almeno 150 mila persone, più altre migliaia in tutte le principali città bulgare: probabilmente le più grandi dimostrazioni politiche in Bulgaria fin dal lontano 1990, quando si manifestava per far cadere il regime comunista.
A staccare la spina, più che Zhelyazkov, buon gregario di partito, è stato il suo patrono politico Boyko Borisov, leader del movimento di centro-destra GERB, padre padrone della politica bulgara negli ultimi 15 anni e principale oggetto dell’indignazione di piazza insieme al controverso tycoon Delyan Peevski, sanzionato per corruzione dai governi di Washington e Londra.
“Ho sempre ascoltato il popolo. Abbiamo creato questo governo per rispondere ad una situazione molto complicata”, ha dichiarato Borisov dopo l’annuncio delle dimissioni. “Sono io ad aver chiesto di mettere fine all’esecutivo, per evitare che GERB venisse travolta”, ha aggiunto poi, ringraziando gli alleati della variegata coalizione che ha governato la Bulgaria negli ultimi undici mesi.
Secondo Borisov, il governo Zhelyazkov, che ha gestito gli ultimi passi dell’attesa adesione dell’euro – prevista il 1 gennaio 2026 – “non ha commesso nessun errore”. Non devono però pensarla allo stesso modo le decine di migliaia di cittadini bulgari che da settimane hanno deciso di scendere in piazza contro l’esecutivo, sino a provocarne ieri una fine prematura e ingloriosa.
Il malcontento si era inizialmente focalizzato sulle misure economiche previste per la legge di bilancio 2026, che comprendevano un aumento delle imposte sugli utili delle aziende e soglie di contribuzione più alte per i lavoratori, insieme a nuove procedure centralizzate per la gestione dei flussi di cassa.
Dopo l’annuncio di queste misure, a scendere in piazza in modo immediato e quasi istintivo è stata la classe media cittadina e filo-europea, che si è sentita direttamente colpita dalle misure previste. Col passare dei giorni e delle settimane, la protesta di piazza – lanciata da “Continuiamo il cambiamento”, ma raccolta da masse di cittadini in modo autonomo – si è però presto radicalizzata, rivelando malumori e frustrazioni dalle radici profonde.
L’obiettivo dichiarato dei manifestanti è passato in fretta dalla revisione della legge del bilancio alla richiesta di dimissioni. Corruzione diffusa, amministrazione inefficiente, sistema politico bloccato e familista: queste le note dolenti che il governo Zhelyazkov rappresenta per una larga fascia della popolazione, soprattutto nella classe media. Storture che non possono essere sanate con qualche aggiustamento di facciata, ma che richiedono una revisione dell’intero sistema politico.
Negli ultimi anni, la Bulgaria ha conosciuto un trend economico positivo: nel 2024 il PIL è cresciuto del 3,4%, e per il periodo 2025-27 si prevede un aumento stabile intorno al 3%. La crescita dell’economia è stata però accompagnata da un forte aumento dei prezzi e della spesa pubblica: tutte questioni che hanno acutizzato le tensioni sociali ed economiche tra i vari settori della società bulgara.
Le manifestazioni hanno visto anche la presenza massiccia di giovani (la cosiddetta “Generazione Z”), che per la prima volta cerca propri spazi e una propria voce sul palcoscenico pubblico. Giovani non appesantiti dall’eredità della lunga transizione, e che chiedono un nuovo modello di partecipazione politica e gestione del potere.
Dopo l’imponente manifestazione del 1 dicembre, segnata in coda da scontri violenti tra frange minoritarie della protesta, l’esecutivo aveva già fatto marcia indietro sulla politica economica. Era però ormai tardi: con le nuove e ancora più imponenti (e pacifiche) dimostrazioni dell’11 dicembre, il destino del governo era segnato.
“Questa è una vittoria per tutti i cittadini bulgari. Da qui in avanti, ci aspetta però il compito più difficile, fare della Bulgaria un paese che garantisca gli interessi si tutti, e non solo di uno”, ha dichiarato ieri Asen Vasilev, leader di “Continuiamo il cambiamento”, con evidente riferimento a Peevski, sbeffeggiato senza remore e con pungente ironia dalla piazza.
Caduto il governo, le difficoltà e le incognite restano però tutte. Il governo Zhelyazkov, mettendo insieme GERB e socialisti, coi voti decisivi del piccolo movimento populista “C’è un popolo così” e il supporto esterno del “Movimento per le Libertà e i Diritti – Nuovo inizio” di Peevski, aveva brevemente interrotto il lungo periodo di caos politico in cui la Bulgaria naviga da anni.
Ora gli esausti elettori saranno di nuovo chiamati alle urne per le ennesime elezioni anticipate: addirittura le ottave a partire dal 2021. E ancora una volta, è difficile fare previsioni sui possibili sbocchi della crisi.
Il blocco riformista porterà con sé in campagna elettorale l’energia e la spinta della piazza: varie volte ha dimostrato di essere in grado di bloccare i giochi politici nel paese. Finora però, non è stato in grado di proporre un’alternativa di governo solida e credibile.
Borisov e Peevski escono feriti dallo scontro, ma sembra prematuro decretarne la fine politica, vista la loro capacità di mobilitare le proprie risorse politiche, soprattutto in campagna elettorale, quando la presa sulle strutture istituzionali ed economiche diventa centrale.
Come già visto più volte, a sparigliare le carte potrebbe essere un nuovo progetto politico di cui si parla insistentemente ormai da anni, e che ruota intorno alla figura del presidente Rumen Radev.
Il capo dello stato, eletto con l’appoggio dei socialisti al suo primo mandato ma resosi sempre più indipendente durante il secondo, scalpita da tempo per scendere in campo, e potrebbe approfittare della situazione complicata per fare l’atteso passo, con buone possibilità di raccogliere parte dell’ampia fascia di elettorato che oggi non si sente rappresentata e non va a votare.
Nel frattempo, la Bulgaria si appresta ad adottare la moneta unica senza un governo in carica: forse lo scenario peggiore per quelli che – preoccupati da possibili speculazioni al cambio di valuta – chiedevano una presenza forte delle istituzioni per monitorare le dinamiche dei prezzi e rassicurare la metà della popolazione che, nei sondaggi, continua a dichiararsi scettica nei confronti dell’euro.
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