Diritti riproduttivi, pressione crescente nell’Europa centrale e orientale
Quadri giuridici apparentemente moderni, sistemi sanitari disomogenei e gruppi della società civile che colmano la distanza tra di essi. Un panorama dell’accesso a cure e informazioni in materia di riproduzione nell’Europa centrale e orientale

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Manifestazione femminista a Cracovia, Polonia © Longfin Media / Shutterstock
Quando l’avvocatessa e attivista Justyna Wydrzyńska ha offerto pillole abortive ad una donna in difficoltà in Polonia, lo ha visto come un basilare atto di solidarietà.
“Aiutare qualcuno in difficoltà non dovrebbe mai essere un reato”, afferma. “Che si tratti di un piatto di zuppa, di una giacca calda o di pillole abortive, il principio è lo stesso”.
Il suo processo e la sua condanna nel 2023 sono diventati emblematici della rapida contrazione dei diritti riproduttivi nell’Europa centrale e orientale. Wydrzyńska è la prima attivista per i diritti umani in Europa a essere perseguita per aver fornito pillole abortive ad una donna nella sua nativa Polonia, dove sono state introdotte misure restrittive contro l’aborto.
Da Varsavia a Budapest e Chișinău, i governi invocano “valori tradizionali” e programmi “pro-famiglia” per rimodellare le politiche sanitarie in materia di riproduzione e sessualità. Le misure, inquadrate come sostegno alle famiglie, portano spesso a restrizioni in tema di aborto, contraccezione, educazione sessuale. Le persone più colpite tendono a essere le meno visibili: donne rom e viaggiatrici, giovani in zone rurali e donne senza reddito stabile o cittadinanza.
Ungheria: disparità di accesso dietro le politiche familiari
L’Ungheria promuove la nascita di figli attraverso generosi incentivi: esenzioni fiscali, prestiti agevolati e crediti per l’alloggio per le coppie sposate. Eppure, per molte donne, in particolare provenienti da comunità rom o a basso reddito, questi programmi fanno ben poco per migliorare l’accesso all’assistenza sanitaria.
All’Associazione EMMA, un’organizzazione con sede a Budapest che supporta le donne durante la gravidanza e la prima maternità, la presidente Julianna Kupcsok descrive un sistema formalmente universale, ma in pratica escludente.
“Il processo è estremamente complicato”, spiega. “Anche una donna della classe media può avere difficoltà a capire dove andare, quando, da chi e per quale test. Per le donne che vivono in povertà o in insediamenti remoti, diventa quasi impossibile”.
L’organizzazione di Kupcsok ha documentato casi in cui alle donne rom sono state negate informazioni sulle opzioni prenatali o hanno dovuto affrontare trattamenti sfavorevoli presso le cliniche. I volontari di EMMA cercano di colmare queste lacune attraverso il supporto tra pari e la consulenza informale.
“Il supporto tra donne è spesso l’unica forma di assistenza disponibile”, afferma Kupcsok. “Cerchiamo di rendere il sistema fruibile, ma non dovrebbe dipendere dal volontariato”.
Dal 2022, il governo impone alle donne che desiderano abortire di ascoltare il battito cardiaco del feto prima di ottenere l’autorizzazione. Giustificata ufficialmente come “rafforzamento della consapevolezza materna”, la misura è stata criticata dalle associazioni mediche come un ostacolo inutile e manipolativo.
Moldova: tra legislazione progressista e prassi conservatrice
Il quadro giuridico moldavo in materia di salute riproduttiva è relativamente liberale. L’aborto è consentito fino a 12 settimane e la contraccezione è formalmente coperta dall’assistenza sanitaria pubblica. In pratica, tuttavia, l’attuazione varia notevolmente tra i centri urbani e i distretti rurali.
Presso il Centro di formazione per la salute riproduttiva di Chișinău, la responsabile del progetto Catalina Comendant afferma che il problema non è la politica, ma la capacità professionale.
“Incontriamo ancora donne a cui non è mai stato offerto un metodo contraccettivo da un medico”, spiega. “I medici di famiglia spesso non sono formati o non sono a loro agio nell’iniziare queste discussioni. Il risultato è che l’accesso esiste sulla carta, ma rimane limitato nella pratica”.
La sua organizzazione collabora con il ministero della Salute per formare centinaia di medici e ostetriche in tema di pianificazione familiare e assistenza all’aborto sicuro. Durante la pandemia, il centro ha sperimentato un modello di telemedicina che consente alle donne di ricevere consulenza e farmaci per telefono, una novità assoluta per la Moldavia.
“Questo ha dimostrato che la decentralizzazione dei servizi funziona”, spiega Comendant. “Le donne hanno apprezzato il fatto di poter parlare in modo confidenziale, senza dover percorrere lunghe distanze”.
Nonostante questi progressi, l’enfasi del governo sull’inversione del declino demografico ha portato ad un approccio cauto al dibattito pubblico sulla contraccezione. Gruppi della società civile come il Centro di formazione per la salute riproduttiva rimangono essenziali per mantenere visibile la salute riproduttiva nella politica sanitaria nazionale.
Polonia: restrizioni attraverso la legge
Le restrizioni all’aborto in Polonia sono tra le più severe d’Europa. In seguito ad una sentenza della Corte costituzionale del 2020, l’interruzione di gravidanza è legale solo in caso di stupro, incesto o minaccia alla vita della donna. Anche in caso di emergenza, gli ospedali a volte si rifiutano di intervenire, citando l’incertezza giuridica.
Così quando Wydrzyńska, sopravvissuta ad una relazione violenta, ha ammesso di aver fornito una pillola abortiva ad un’altra donna polacca in difficoltà, è stata condannata ai lavori socialmente utili. Wydrzyńska, membro della Fondazione per le donne e la pianificazione familiare (FEDERA), ha descritto la sua condanna non come un caso isolato, ma come parte di un deterrente sistematico.
“Quello che mi è successo ha lo scopo di mettere a tacere gli altri”, afferma. “Dimostra a medici, attivisti e persone comuni che aiutare può avere conseguenze”.
FEDERA continua a gestire linee di assistenza e reti transfrontaliere che collegano le donne polacche con cliniche all’estero. Tuttavia, non tutte possono permettersi il viaggio. La fondazione riferisce che il numero di donne che cercano informazioni sull’aborto farmacologico è più che raddoppiato dal 2021.
“Ogni giorno, chiamano donne che non hanno nessun posto dove andare”, afferma Wydrzyńska. “Cerchiamo di assicurarci che abbiano ancora opzioni”.
Ucraina: continuità nel conflitto
In Ucraina, la guerra non ha bloccato l’accesso all’assistenza riproduttiva; in molte aree, ha imposto una trasformazione. Il Fondo delle Nazioni unite per la popolazione (UNFPA) e i partner locali gestiscono team ginecologici mobili che forniscono contraccezione, servizi prenatali e consulenza alle donne sfollate e alle sopravvissute alla violenza. L’UNFPA supporta 28 team mobili che lavorano in 23 regioni, assistendo le donne nei rifugi, nelle aree rurali e negli alloggi temporanei.
“Nel 2024 sono nati solo 176.700 bambini, con un calo del 35% rispetto al 2021, secondo il ministero della Giustizia ucraino”, afferma Jacqueline Mahon, rappresentante dell’UNFPA in Ucraina. “Si prevede che il tasso di fertilità scenderà a soli 0,9 figli per donna, ben al di sotto del livello di sostituzione di 2,1” [il numero medio di figli che ogni donna dovrebbe avere per sostituire se stessa e il proprio partner, garantendo che la popolazione rimanga costante nel tempo, ndr].
Molte donne hanno paura di partorire a causa di problemi di sicurezza o di traumi legati alla guerra.
“C’è molto dolore attorno al tema della pianificazione familiare”, afferma Inna Ukhabova, un’infermiera di Zaporizhya, una città del sud vicina alla linea del fronte.
“Molte donne non hanno rapporti sessuali in questo momento e alcune sono in lutto per la perdita dei loro mariti”, continua. “Dobbiamo essere molto cauti quando affrontiamo questo argomento, perché non è sempre il momento giusto per parlare di pianificazione familiare”.
Secondo l’UNFPA, dal 2022 oltre un milione di donne e ragazze, tra cui molte persone rom o sfollate, hanno ricevuto servizi di salute riproduttiva o di contrasto alla violenza di genere. Nonostante i gravi danni alle infrastrutture, l’esperienza dell’Ucraina dimostra che i sistemi decentralizzati e basati sulla comunità possono sostenere la salute riproduttiva anche in condizioni di conflitto.
Spazio civico in contrazione
La situazione nell’Europa centrale e orientale rivela un panorama complesso: quadri giuridici apparentemente moderni, sistemi sanitari che rimangono disomogenei e gruppi della società civile che colmano la distanza tra di essi. Ciò che unisce queste esperienze è l’accesso: chi riceve cure tempestive, informazioni e rispetto all’interno dei sistemi pubblici.
Molte organizzazioni femministe e di comunità che un tempo integravano i sistemi sanitari statali sono ora essenziali per il loro funzionamento, eppure operano in un contesto sempre più vincolato. In Ungheria, le organizzazioni femminili hanno perso l’accesso ai finanziamenti nazionali. In Polonia, i gruppi che collaborano con partner internazionali rischiano di essere etichettati come “agenti stranieri”.
Kuksok descrive la situazione come una questione di resistenza piuttosto che di attivismo. “Ci concentriamo su ciò che può essere fatto a livello locale”, afferma. “Lavoro su piccola scala con le madri, consigli pratici e supporto tra pari: non è un aspetto politico, ma è importante”.
In Moldova, Comendant afferma che la cooperazione internazionale rimane vitale. “Formazione, forniture e attrezzature di base dipendono spesso da sovvenzioni esterne”, osserva. “Senza di esse, l’accesso si ridurrebbe ulteriormente”.
Le attiviste sottolineano le disuguaglianze nell’accesso all’assistenza sanitaria. Ad esempio, le donne rom in Ucraina, Polonia, Ungheria e altri paesi limitrofi tendono a presentare gravidanze precoci, un minore uso di contraccettivi e una mortalità materna più elevata rispetto alle coetanee non rom. Questo dimostra come le minoranze etniche e altri gruppi emarginati tendano a essere meno protetti in tutta la regione.
Questo è legato all’esclusione sistemica: accesso limitato alle cliniche, infrastrutture carenti, discriminazione e assenza di sensibilizzazione mirata. I ricercatori nel campo della sanità pubblica sostengono che le strategie regionali di pianificazione familiare raramente includono programmi per comunità emarginate come le minoranze etniche o le donne in condizione di povertà, perpetuando la disuguaglianza anche laddove le leggi sono nominalmente inclusive.
Per molte donne, in particolare quelle appartenenti a gruppi vulnerabili, l’accesso continua a ridursi nonostante le garanzie formali.
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