Il ritorno del ribelle? Alexis Tsipras e la rivoluzione incompiuta

Dall’euforia della vittoria del 2015 alla dura realtà del debito, dell’austerità in Grecia e del compromesso politico, Alexis Tsipras è sempre stato una figura contraddittoria. Ora è fuori dal Parlamento, ma il ribelle si sta preparando a tornare alla ribalta

11/11/2025, Mary Drosopoulos Strasburgo
Alexis Tsipras © Tassos Stavrou Photograph/Shutterstock

Alexis Tsipras © Tassos Stavrou Photograph/Shutterstock

Alexis Tsipras © Tassos Stavrou Photograph/Shutterstock

Era la tarda notte del 25 gennaio 2015 quando la folla nel centro di Atene esplose in un applauso. Le bandiere greche sventolavano contro il chiarore dei riflettori e un grezzo inno rock, “Rock the Casbah”, risuonava dagli altoparlanti: un titolo inaspettato quanto il momento politico.

Un ingegnere quarantenne diventato attivista emerse dal tunnel del palco dell’auditorium: Alexis Tsipras. Alzò il pugno, la folla esultò. Per un Paese martoriato da anni di crisi e austerità, la scena sembrò un sospiro collettivo, la promessa che qualcosa di nuovo potesse finalmente iniziare.

Per capire perché quella notte fu così importante, bisogna capire l’uomo al centro della scena. Alexis Tsipras aveva costruito la sua carriera sulla promessa di una rottura netta con la Grecia dei salvataggi, della corruzione e delle dinastie politiche.

Era giovane, dal linguaggio tagliente e piacevolmente informale in un panorama politico di abiti grigi e rituale deferenza. Si rifiutava di indossare la cravatta, un piccolo gesto che divenne una sorta di manifesto: niente più “affari come al solito” finché il Paese non si fosse liberato dalle catene del debito.

La ribellione di Tsipras era tanto una questione di immagine quanto di ideologia. Ingegnere civile di formazione e attivista di estrema sinistra da sempre, era diventato maggiorenne dopo la dittatura greca: un figlio della democrazia che aveva imparato la politica attraverso la protesta.

La sua ascesa attraverso Syriza, una coalizione frammentata di radicali e socialisti, fu dovuta tanto al tempismo quanto al talento. Con la crisi dell’euro e l’economia greca schiacciata sotto il peso dell’austerità, Tsipras divenne la voce dell’indignazione: eloquente, sicuro di sé, senza paura di sfidare i potenti mediatori europei.

Eppure, lo stesso uomo che aveva promesso di sfidare Bruxelles si ritrovò presto a negoziare alle sue condizioni. La sua retorica infuocata si scontrò con la dura aritmetica del debito e della dipendenza. A pochi mesi dalla presa del potere, Tsipras fu costretto a firmare un nuovo accordo di salvataggio: proprio ciò che aveva giurato di rifiutare. Per molti greci, un tradimento; per altri, un serio confronto con la realtà.

L’estate del No

La promessa di ribellione raggiunse il punto di rottura nell’estate del 2015. La Grecia stava esaurendo denaro, pazienza e alleati. Per settimane si formarono code fuori dalle banche chiuse, mentre i controlli sui capitali congelavano i risparmi e la paura si insinuava di nuovo nella vita quotidiana. La parola “Grexit” (un tempo un termine speculativo coniato dagli analisti) aleggiava ora come una minaccia reale sui banconi dei supermercati e sulle file per la pensione.

Tsipras cercò di trasformare la disperazione in sfida. Convocò un referendum, chiedendo ai greci se accettare le dure condizioni di salvataggio richieste dai creditori. La campagna del “No”, da lui guidata, ne fece una questione di dignità.

Il 5 luglio, il Paese votò a stragrande maggioranza per respingere l’accordo. Per una magica, elettrizzante notte, Atene credette di aver ripreso il controllo del proprio destino.

Poi, quasi immediatamente, arrivò il ribaltamento. Nel giro di pochi giorni, Tsipras tornò a Bruxelles e accettò un accordo ancora più duro. Il giovane agitatore che aveva giurato di porre fine all’austerità si era arreso. L’idealista era diventato realista o, come dicevano i suoi critici, un tecnocrate in giacca da ribelle.

Però il Paese rimase nell’euro e le banche riaprirono. Tsipras lo presentò come un successo, questione di sopravvivenza: “Abbiamo tenuto in piedi la Grecia”, disse in un discorso in TV alla nazione il 13 luglio 2015. Ma l’episodio lasciò cicatrici.

L’uomo senza cravatta

Negli anni successivi, Alexis Tsipras si insediò come un riformatore pragmatico; meno il rivoluzionario di piazza Syntagma e più il gestore del danno.

Tuttavia, l’immagine della ribellione non lo abbandonò mai del tutto. Rimase il primo ministro senza cravatta: un piccolo, ma incessante promemoria che le ferite della Grecia erano ancora aperte, la sua indipendenza ancora incompiuta.

Il gesto divenne leggenda e, in seguito, un peso. Nel 2018, quando la Grecia ottenne finalmente un accordo per allentare i termini del debito, Tsipras apparve davanti alle telecamere indossando per la prima volta la cravatta.

Sorrise, dichiarò che il Paese “stava voltando pagina”, poi sciolse il nodo e se la tolse. Il simbolismo era troppo perfetto per essere ignorato: anche nella vittoria, niente calzava a pennello.

Luci e ombre

I suoi anni al potere sono stati segnati da contraddizioni. Ha stabilizzato l’economia, ma perso la fiducia di molti che un tempo lo avevano visto come la voce della sfida. Ha normalizzato le relazioni con l’Europa e avviato colloqui di pace con i paesi vicini. Ha firmato l’accordo di Prespa con la Macedonia del Nord, ponendo fine ad una disputa decennale sul nome, ma scatenando la rabbia in patria: un raro momento in cui la sua abilità di statista gli è costata cara politicamente.

Tsipras ha persino osato sfidare la Chiesa greco-ortodossa, prestando giuramento civile da ateo in una nazione profondamente religiosa. In seguito ha cercato un approccio più conciliante, negoziando accordi con la Chiesa sui suoi beni e sul clero.

Nel 2019, la situazione è cambiata. Syriza ha perso consenso e Tsipras si è ritirato all’opposizione, il suo idealismo affievolito ma non estinto. Proprio mentre sembrava fare un passo indietro, una nuova figura ha fatto irruzione sulla scena: Stefanos Kasselakis, imprenditore nato in Grecia con un background nella finanza americana e un profilo pubblico di tutto rispetto, inizialmente considerato il protetto di Tsipras.

Il fatto che fosse il primo leader di un grande partito apertamente gay ha condito la sua ascesa di nuova energia e accese polemiche. La sua candidatura minacciava di sconvolgere le vecchie alleanze partitiche e l’identità di sinistra, dimostrando quanto la politica greca fosse ancora da reinventare.

L’apertura

La fulminea ascesa di Kasselakis si è incrinata rapidamente. Dispute interne, dubbi sull’esperienza e un’attenta analisi del suo stile non ortodosso hanno portato ad una rapida perdita di slancio. Ironicamente, il suo passo falso ha messo in luce una lacuna nello spazio politico greco di sinistra e di centro-sinistra, creando lo spazio per il rientro in scena di Tsipras.

“Kasselakis è stato un fuoco d’artificio comunicativo; un tentativo di far luce su una Syriza già in decomposizione”, ha osservato l’analista politico Georgios Karagiorgos in un’intervista con OBCT a margine del recente Forum mondiale per la democrazia a Strasburgo. “Famellos, il successore, ha agito più da custode temporaneo di un’eredità in declino che da vero leader di partito, aprendo la strada al graduale rientro di Tsipras”.

Al ritorno di Tsipras ha contribuito anche l’opinione pubblica. Anni di scandali, dal mortale disastro ferroviario di Tempi alla tragedia dell’incendio di Mati, fino alla cattiva gestione dell’OPEKEPE (l’agenzia statale responsabile della distribuzione dei fondi agricoli dell’UE), hanno alimentato una diffusa stanchezza nei confronti dei partiti tradizionali e delle élite politiche.

Sebbene il mandato di Tsipras sia stato tutt’altro che esente da scandali, la sua posizione di personaggio noto e di persona che ha affrontato la più profonda crisi economica della Grecia moderna gli conferisce una piattaforma che un nuovo arrivato come Kasselakis non avrebbe potuto immediatamente conquistare.

Rilanciare il ribelle

Con le recenti dimissioni dal parlamento, Alexis Tsipras ha fatto capire che si sta allontanando dalla carica formale, ma non dalla vita politica, alimentando le speculazioni sulla possibile prossima fondazione di un nuovo partito: mossa che, se realizzata, farebbe leva sulla sua fama e sulla sua esperienza politica per contrastare l’attuale frammentazione e stanchezza del centro-sinistra greco.

Il passo indietro, in realtà, sembra più una pausa calcolata; la quiete prima che una nuova versione di Tsipras prenda forma. Il “nuovo Tsipras” non è l’agitatore ribelle del 2015, ma un uomo che cerca di ridefinirsi attraverso la riflessione.

“Ithaca”, il suo libro di recente pubblicazione – in parte autobiografia, in parte saggio politico e inequivocabilmente un rebranding – ripercorre il lungo viaggio dalla crisi all’autocritica. Gli ingredienti sono deliberati: linguaggio misurato, riferimenti letterari e un atteggiamento di autorevolezza intellettuale.

Come osserva Karagiorgos, questa è “la trasformazione di Tsipras in un intellettuale pubblico del progressismo”. Intorno a lui si sta formando un nuovo ecosistema: la sua fondazione personale, lanciata nel 2024, cura dibattiti e assegna il Premio Tsipras, un omaggio simbolico alle idee di giustizia sociale, pace e democrazia.

Qualunque forma assuma, il ritorno di Tsipras segnerebbe non solo un ritorno politico, ma la continuazione di una storia che la Grecia non ha mai finito di leggere. Il suo viaggio, come il suo libro, sembra tornare a Itaca: più che un arrivo, un’altra partenza.