Antun Branko Šimić, gli occhi che crescono accanto alle cose
Ancora oggi uno dei poeti croati più letti, Antun Branko Šimić ha attraversato il primo quarto del ‘900 ridefinendo le forme e i contenuti del modernismo, prediligendo il verso libero alla versificazione, con lo sguardo coraggiosamente rivolto alla realtà delle cose

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Ho un debole per Šimić. Tanto che, quando rifletto sulla poesia, entro in conflitto con Gombrowicz. Un promemoria: è quel polacco, ormai mitico – a me tanto caro, ma odiato da migliaia di poeti – che, nel suo libro Contro i poeti, una sorta di lettera dal suo esilio argentino, con quell’arguzia tagliente che caratterizza i saggisti, critica duramente la poesia e i poeti considerandoli incapaci di dare una risposta al dolore. Implicitamente, critica anche il dilettantismo e l’artificiosità di ogni pseudoarte.
In vita Šimić pubblicò soltanto una raccolta poetica, intitolata Preobraženja [Trasfigurazioni]. L’opera, composta da quarantotto componimenti, uscì nel 1920, in quel periodo movimentato, caratterizzato da correnti moderniste in Europa, compresi i territori abitati dagli slavi del sud. Stando ad alcune recenti ricerche , Šimić scrisse 215 poesie [1]. La prima – all’età di quindici anni.
Fu il pittore serbo Sava Šumanović, amico del poeta, a illustrare la copertina della prima edizione della raccolta Preobraženja. Il poeta dedicò la raccolta a Tatjana , la ragazza con cui viveva – una convivenza, mai formalizzata con un matrimonio, a quel tempo considerata scandalosa. (Non ho trovato alcuna spiegazione del perché il poeta avesse rinominato Josipa Marinić in Tatjana. Un riferimento a Tatjana, protagonista di Eugenio Onegin di Pushkin?)
Prima però scopriamo qualcosa in più sulla vita del poeta e sul percorso verso la realizzazione della sua poetica. Antun Branko Šimić nasce nel 1898 a Drinovci (comune di Grude), uno dei villaggi più grandi dell’Erzegovina, in una zona fertile sul versante sud-orientale dell’Imotsko polje [un campo carsico al confine tra Croazia e BiH]. Genitori di sei figli, i coniugi Šimić, da contadini benestanti, possono permettersi di mandare Antun Branko e suo fratello Stanislav a scuola. Frequenta le prime tre classi nel ginnasio classico francescano a Široki Brijeg, per poi iscriversi alla quarta classe nel ginnasio di Vinkovci, proseguendo gli studi al ginnasio di Donji Grad a Zagabria.
Nella fase iniziale del suo percorso creativo, Šimić scrive poesie in rigorosa forma metrica, ispirandosi al programma impressionista del poeta Antun Gustav Matoš, noto anche come “il cantastorie della Senna”. Poi arriva una svolta copernicana: impressionato dalla poesia espressionista tedesca leggendo la rivista Der Sturm, il giovane liceale nel 1917 lancia la sua prima rivista Vijavica [La burrasca], di breve durata, però fondamentale per comprendere l’avanguardia di Šimić e il modernismo croato.
In quel periodo inizia a pubblicare saggi, o meglio manifesti ispirandosi alle correnti moderniste, in cerca del nuovo e del ignoto, principalmente nel contesto della purezza dell’arte. Un’arte che, per Šimić, non è e non può mai essere né di sinistra né di destra, né socialista, né…
Le autorità reagiscono “seguendo la legge”: gli studenti delle scuole superiori non possono fondare riviste, nemmeno quelle letterarie. Tra la scuola e la libertà creativa (che comporta sempre un prezzo da pagare), Šimić sceglie quest’ultima. In quegli anni assume anche un atteggiamento critico nei confronti del cattolicesimo, contemplando Dio in una dimensione universale.
Scrive intensamente, non solo poesie, a cui dedica molto tempo, ma anche recensioni e saggi dominati dall’audacia di una mente e un cuore giovani. Di tanto in tanto si avventura anche in dibattiti. E legge in continuazione.
Anche dopo la guerra, segue gli sviluppi dell’arte europea, attratto dalle tendenze espressioniste, dadaiste, cubiste, futuriste. Scrive saggi sui movimenti e sulle correnti letterarie in Francia, Italia, Germania, Russia, recensendo le opere dei suoi contemporanei.
Ancora oggi, nell’epoca della quasi totale decadenza della letteratura, gli sguardi di Šimić per me sono uno stimolo spirituale. Da studente liceale critica i rinomati professori di Zagabria e Belgrado, la loro idea di letteratura e la loro propensione ad elogiare certi poeti.
Ancora studente, è una biblioteca vivente. Critica anche alcuni noti letterati, come Vladimir Nazor e Ivo Vojnović, e persino Krleža e la sua “vana retorica poetica”. (Della produzione saggistica di Šimić parleremo prossimamente, in un altro articolo, in cui affronteremo un tema tuttora attuale.)
Šimić vive in povertà, non volendo scaricare sugli altri le difficoltà legate alla sua condizione economica. Il suo “studio” è la mitica Gradska kavana a Zagabria. Nel 1919 fonda la rivista Juriš [Assalto]. Ben presto però, dopo solo tre numeri, decide di sospendere la pubblicazione. Nel periodo 1917-19, raggiunta la piena maturità creativa, definisce il proprio credo.
Predilige il verso libero rispetto a qualsiasi versificazione. In quella fase, maggiormente ispirata all’espressionismo – un movimento che il poeta successivamente criticherà – Šimić celebra l’ingegno anarchico: “Ogni anarchia poggia su un ordine; un ordine superiore, eterno”.
Nel saggio O muzici forma [La forma, o sulla musica], un vero e proprio manifesto, definisce l’essere umano come “l’espressione più alta dello spirito”. Crede nella capacità dell’artista di “restituire la verginità alle cose: aprire alle persone la porta della vita interiore”. Per Šimić, ogni poesia deve avere una propria grammatica e punteggiatura.
Pur scrivendo poesie in versi liberi – poesie in cui ad essere in rima sono i concetti, piuttosto che le parole – Šimić critica i poeti che fuggono di fronte alle difficoltà della versificazione, vedendovi una tendenza arbitraria.
Un secolo fa, il geniale Šimić ha colto un fenomeno che ancora oggi viene ignorato non solo dai “poeti”, ma anche dai critici. Quello stesso fenomeno che Marguerite Yourcenar, in un’intervista, ha definito così: “Sono stati i poeti a uccidere la poesia, perché hanno smesso di scrivere poesie e hanno iniziato a scrivere prose incomprensibili. Persino i romanzi oggi sono spesso brutti. Credo che siamo in piena crisi di civiltà”.
Nell’unica opera poetica pubblicata in vita, Šimić raccoglie quarantotto poesie, perlopiù brevi. I suoi temi preferiti sono Dio, la morte, l’amore, la città e l’arte. O meglio: l’universo, il corpo, la donna, la comunità (o gli altri, senza dimenticare se stesso) e la poesia (condannata ad aspettare davanti alla porta della Verità).
Anche quando di primo acchito appaiono descrittive, ogni poesia di questa raccolta poggia su una base riflessiva. Šimić ha concepito tutti i componimenti seguendo una particolare logica formale, riprendendo il concetto di “asse centrale” proposto dal poeta e scrittore tedesco Arno Holz.
Nella fase successiva, pur rimanendo incline al verso libero e ad un approccio innovativo alla poesia, Šimić ricorre anche a versi concatenati. Rimane però fedele alla sua poetica e rifiuta di distogliere lo sguardo dalla realtà.
Lo conferma il suo ciclo di poesie sociali e riflessive Siromasi [I poveri], un ciclo breve, ma di grande importanza. Le pagine poetiche (e non solo) sparse, scritte in quella fase, sono state curate e pubblicate postume a partire dagli anni ‘30. La prima edizione, originariamente uscita nel 1933, è stata curata da Stanislav Šimić, fratello del poeta, e da Ivo Hergešić, noto critico letterario croato.
Šimić muore all’apice della sua forza creativa, dopo una lunga lotta per curare i polmoni malati. Continua a scrivere anche durante la malattia, fondando la sua terza rivista Književnik [Il letterato]. Nell’ospedale di Zagabria, a Zeleni brijeg, nel Padiglione 1, poco prima di morire, il 2 maggio 1925, detta le sue ultime poesie – Smrtno sunce [Il sole della morte] e Vraćanje suncu [Ritornando al sole] – ad un’infermiera, pronunciandole sottovoce:
Brucio senza voce, nel tormento / Restituisco al sole tutto quello che mi ha dato (Ritornando al sole)
Quel giorno di maggio, con la morte del poeta sono svaniti anche i suoi timori, ansia dell’attesa davanti alla porta della Verità, quell’angoscia che invade chi riflette sull’incapacità dell’individuo di dare una risposta alle questioni fondamentali della vita e della morte. Tutti i tormenti e gli interrogativi di Šimić continuano però a vivere nelle sue poesie.
Ancora oggi, insieme a Tin Ujević, è il poeta croato più letto [2]. Numerose sono le edizioni delle poesie di Šimić in Croazia e in altri paesi ex jugoslavi, come anche le traduzioni delle sue opere in diverse lingue europee. Propongo qui di seguito alcune poesie della raccolta in edizione bilingue italiano-croato Stupore nel mondo – Čuđenje u svijetu (Biblioteca universitaria, Pola – 1998), tradotte da Daniel Načinović [3]. (È ancora possibile trovarla nelle librerie che vendono libri usati). Solo la traduzione di Pjesma jednom brijegu è a cura del sottoscritto.
Infine, vi invito a prestate attenzione all’illustrazione della copertina della raccolta Preobraženja, realizzata dal pittore Sava Šumanović. Un’immagine modernista, tutt’altro che fedele alla realtà.
Il poeta sul tetto. Nudo, snello e giovane come una divinità greca. Nel palmo della mano, senza sforzo alcuno, tiene una casa. Di chi è quella casa? Non lo so, ma vedo che sono tutti sotto un cielo in cui splendono la Luna, il Sole e le stelle.
L’AVVERTIMENTO
Sta’ attento, o uomo,
di non andar parvo
disotto alle stelle
Lascia
che intero ti impronti mite
la luce delle stelle
Senza alcun rimpianto
Nel dirsi l’addio con gli ultimi sguardi
Lassù alle stelle
Tu alla tua fine
Invece che nella polvere
Passa alle stelle
I POETI
Sono lo stupore i poeti nel mondo
Passano per la terra e di loro occhi
accanto alle cose crescon muti e grandi
Appoggiando l’orecchio
ai silenzi intorno che sanno di pene
poeti l’eterno palpitar nel mondo
LE MIE TRASFIGURAZIONI
Io canto me stesso esponendo il pallido viso
dagli abissi della notte nera e tormentosa
al mattino cristallino
e nuoto cogli sguardo per i campi, i prati e le acque
Io canto me stesso che ogni giorno
un’infinità di volte muoio
e altrettante volte risuscito
O Dio fa’ ch’io stanco dei mutamenti
trasfigurato diventi la tua lucente
ed immutabile stella
che dal ciel lontano risplenderà nella notte
nei tormenti neri di quei nottambuli disperati
IL RITORNO
Neanche lo senti
tu il mio ritorno e la mia presenza
Quando silenzioso nel orecchio tuo
il fruscio passa del chiaror della luna
sappi:
non è il chiarore che cammina attorno alla tua casa
Sono io che vago nel giardino per i sentieri azzurri
Quando camminando per il chiaro e morto meriggio
ti fermi
spaventata dallo strillo di quel augello strano
sappi:
è il grido del cuor mio dalle vicin sponde
E quando sul far della sera vedi il muoversi
della ombra scura
al di là dell’acqua arcigna e quieta
sappi:
sono io che cammino ritto e solenne
come se fossi accanto a te
POESIA A UN COLLE
Quel colle, su cui spesso si ferma il mio sguardo
Mentre siedo da solo nella mia stanza! È deserto: non cresce nulla lì.
Soltanto le pietre azzurreggiano.
Ci osserviamo in silenzio. Il colle e l’uomo.
Non saprò mai dove si
incontrano i nostri diversi significati
Sotto il colle l’acqua scorre. E la gente fatica al lavoro.
Il colle si erge, azzurro e alto, il vicino del cielo.
Di notte non lo vedo. Tutti siamo nella notte fonda.
Ma lo so: è lì! Pesante come il silenzio.
Ci separeremo, estranei l’uno all’altro.
Morirò. Il colle non si muoverà,
quell’eternità azzurra e pietrificata
[1] Dal 1917 fino alla sua morte, Šimić scrisse utilizzando la ekavica, accettando – come anche altri scrittori croati (Krleža, Krklec, Cesarec, Cesarić, Ujević, ec.) – l’idea che la lingua comune di croati e serbi dovesse usare la ekavica e l’alfabeto latino. A differenza però dei suoi colleghi, Šimić non visse abbastanza a lungo per sperimentare la delusione di chi aveva creduto nell’idea di un’unità politica e linguistica, quindi non fu costretto a decidere se trascrivere o meno le proprie opere in ijekavica. Questo lavoro fu in gran parte completato da suo fratello Stanislav. La cultura croata ha trasformato la ekavica di Šimić in qualcosa di cui vergognarsi, cercando di nasconderla in vari modi. Le sue opere vengono pubblicate, esistono decine di edizioni, però sono sempre modificate, trascritte in ijekavica, non c’è una sola edizione critica, alcuni editori cambiano parti del testo, solitamente senza fornire spiegazioni, altri addirittura rimproverano al poeta, utilizzando un lessico tutt’altro che filologico, accusandolo di cecità politica, ricorrendo a espressioni come ‘acte gratuit’, ‘gesto condiscendente’, ‘sciocchezza collettiva’… Pur tenendo in considerazione questo contesto, è difficile comprendere il fatto che la raccolta di Šimić Preobraženja forse la più importante raccolta di poesia croata del XX secolo, ad oggi (e sono trascorsi 98 anni dalla prima edizione) non abbia avuto nessuna ristampa”, sostiene Krešimir Bagić nel suo saggio dedicato al poesia di Šimić.
[2] Nel maggio di quest’anno si è tenuta a Drinovci la 62° edizione della rassegna letteraria “Šimićevi susreti”. Il centenario della morte del poeta è stato celebrato anche a Mostar e Sarajevo.
[3] Gli autori delle traduzioni precedenti di alcune poesie di Šimić sono Arturo Cronia, Mladen Machiedo e Franjo Trogrančić.
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