Dopo trent’anni, la Croazia libera dalle mine
Con la fase finale, grazie al progetto europeo CROSS II, la Croazia si libera definitivamente dalle mine entro fine anno. Siamo stati nei boschi di Otočac, nella Contea della Lika-Senj, una delle linee del fronte della guerra degli anni ’90 nei quali si sta ancora sminando. Nostro reportage

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L'auto della protezione civile nei pressi dei boschi da sminare vicino a Otočac, Croazia settembre 2025 - foto Silvia Maraone
Dalla cittadina di Senj sulla costa croata, dopo i tornanti della salita al passo Vratnik si apre un paesaggio bucolico: densi boschi, campi coltivati a grano, pascoli di pecore e vacche, cavalli liberi a pascolare. Tra case offerte ai turisti e piccole dimore contadine di pietra, nei paesini di Melnice, Žuta Lokva, Brlog, Kompolje, spuntano alcune macerie mangiate dalla vegetazione, o muri di case erosi dal tempo e orfani di finestre e porte. Chi conosce bene questi luoghi dagli anni ‘90, a differenza dei turisti che passano ignari in direzione dei laghi di Plitvice, riconosce i segni ancora visibili dell’abbandono conseguente a una guerra.
In poco meno di un’ora si arriva a Otočac, Contea di Lika-Senj, nei pressi dei boschi dove si sta sminando con il progetto “Croatian Safe Steps CROSS II ” del valore di oltre 77 milioni di euro, cofinanziato dall’UE nell’ambito del Programma Competitività e Coesione 2021-2027 e iniziato a gennaio dell’anno scorso come prosieguo del precedente "CROSS 2022-2024 ".
Primo cielo grigio autunnale, aria umida che anticipa la pioggia, in questa giorno di fine settembre a Otočac, comune che nel censimento 1991 – l’ultimo prima del conflitto – aveva 16mila abitanti, mentre nel 2021 ne contava poco più della metà, non solo per il mancato rientro degli sfollati ma anche per nuove migrazioni in anni recenti. “D’altronde, quando ti ritrovi ad avere poche possibilità di tornare e fare il lavoro per cui hai studiato a Zagabria o all’estero”, mi dice una ragazza dai capelli corvini che lavora in un bar sulla via principale Kralja Zvonimira. “E poi, durante la guerra c’era vicina la linea del fronte e già allora tanti erano andati via, me lo hanno raccontato i miei genitori…”, e aggiunge dolce-amara, “Menomale che è finita e i miei sono tornati, ma noi giovani siamo spinti a cercare futuro altrove”.
Poco distante dal “Monumento ai caduti croati della guerra patriottica” eretto nel parco centrale cittadino, mi aspetta la Jeep blu della protezione civile con a bordo Tajana Čičak, responsabile del progetto CROSS II e Tomislav Roviščanec. La linea del fronte me la indica proprio lui, coordinatore della supervisione delle operazioni di sminamento del Centro croato per lo sminamento (HCR-CTRO ) sotto la Direzione della Protezione civile – Ministero dell’Interno , mentre guida lungo la strada che verso nord-est porta a Glavače: “Otočac durante la guerra è sempre stata sotto controllo del nostro esercito”, spiega Tomislav, “Ma da qui inizia la linea del fronte con il territorio che era sotto il controllo delle forze serbe”.
Si tratta della parte di Croazia in cui nel 1991 venne fondata l’autoproclamata Repubblica Serba di Krajina guidata da Milan Babić [condannato nel 2003 dal Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, per crimini contro la popolazione croata e non-serba]. Ed è soprattutto questa fascia del paese, di cui la Croazia ha ripreso il controllo con l’operazione “Oluja” dell’agosto 1995, che è rimasta maggiormente minata.
Trent’anni di sminamento
Dai dati ufficiali del Ministero dell’Interno – Protezione Civile, forniti da Roviščanec e Čičak, emerge che dai 13mila kmq valutati come a rischio mine nel 1996 dalla missione delle Nazioni Unite, grazie al lavoro di mappatura nel 2005 si è scesi a effettivi 1.174 kmq. Tomislav Roviščanec mi spiega come è avvenuto: “In base alle informazioni, in particolare ai registri di mine esplosive, raccolte dalle Nazioni Unite, assieme alle informazioni raccolte durante l’indagine generale, abbiamo mappato le aree sospette”. Informazioni raccolte da tante fonti: “Da militari, polizia, e tutti gli attori coinvolti nella Guerra patriottica che si trovavano nella zona durante il conflitto. Anche testimonianza di singoli, come cacciatori e popolazione locale… se ad esempio a conoscenza di dove erano state piazzate le mine, se qualcuno è rimasto ucciso o ferito, o è stato avvistato un animale saltato su una mina, e così via”.
Tra gli attori coinvolti nella guerra, chiedo a Roviščanec se lo scambio di informazioni è avvenuto anche con Serbia e Bosnia Erzegovina: “Naturalmente, con tutte le parti coinvolte nel conflitto. Attraverso relazioni bilaterali e di cooperazione internazionale, con lo scambio di informazioni su precedenti posizioni militari, linee di demarcazione, ecc.”
Mi spiega che laddove non si dispone di informazioni sufficienti, l’HCR-CTRO effettua un sopralluogo tecnico: “Si entra nella zona, con specialisti che cercano tracce di esplosioni, ordigni inesplosi o residuati bellici. Nel caso in cui trovino mine, si spostano, circoscrivono l’area, che viene quindi dichiarata "sospetta di presenza mine". Poi, viene elaborato un piano preliminare sulla base del quale si procede allo sminamento dell’area in questione.” Dopo la raccolta, le informazioni vengono elaborate, registrate e inserite nel portale del Centro per lo sminamento, sulla mappa MIS-portal dove le informazioni vengono costantemente aggiornate.
Un processo durato tre decenni, in fasi diverse, specifica Tomislav Roviščanec. “Nel 1996 sono iniziati i primi interventi con la protezione civile e l’esercito. Nel 1998 è nato l’HCR che ha avviato un’azione pianificata di sminamento: innanzitutto di infrastrutture e abitazioni per mettere in sicurezza la popolazione, poi è stato avviato lo sminamento dei terreni agricoli – anche con fondi UE – e infine sono state affrontate le zone montuose, inaccessibili e quindi lasciate per ultime.”
Grazie ai tanti progetti realizzati tra il 2005 e il 2025, ad oggi rimangono da bonificare 17 kmq in zone boschive. “Quindi, con le attività in corso, riusciremo a liberare la Croazia dalle mine, entro la fine di quest’anno”, sottolinea la responsabile del progetto Tajana Čičak, “mentre nei mesi del 2026 di CROSS II si realizzerà tutta la parte di controlli tecnici finali, le certificazioni e il resto della documentazione. Si riuscirà così a rispettare ciò che è previsto dal "Programma nazionale di azione contro le mine fino al 2026 " e il rispetto della Convenzione di Ottawa [firmata dalla Croazia nel 1997, ndr]”.
Operazioni che dal 1998 hanno richiesto una spesa di 1.107 miliardi di euro, coperta per circa il 60% da fondi statali e – accanto a prestiti della Banca Mondiale, altri donatori locali o di paesi esteri – per circa il 26% (286.686.344 euro) da fondi europei . “L’apporto europeo è cresciuto soprattutto dall’ingresso della Croazia in Unione europea”, sottolinea Tajana, mostrandomi i dati ufficiali. Negli ultimi due progetti CROSS e CROSS II, si tratta di 101,95 milioni di euro su un totale di spesa di 129,12 (quindi con partecipazione europea a fondo perduto del 32,12% per il primo e del 69,83% per il secondo) per sminare complessivamente 82,32 kmq.
Un lavoro complesso, che solo con CROSS II sino ad oggi si sono disattivate e distrutte 1922 mine antipersona, 208 mine anticarro e altri 230 ordigni inesplosi, tra i quali mine a frammentazione che Tomislav Roviščanec mi dice essere le più pericolose. Mine che con il passare del tempo sono diventate più instabili, soprattutto nelle zone boschive: parzialmente attivate dal passaggio di animali di piccola taglia, oppure affondate a causa dell’erosione del terreno, per cui basta una piccola mossa sbagliata perché esplodano.
Ordigni che hanno fatto decine di vittime anche dopo la guerra, come emerge dai dati ufficiali forniteci dal MUP – Protezione civile: dal 1996, soprattutto fino al 2005, 207 morti e 403 feriti tra i civili, 41 morti e 95 feriti tra gli sminatori.
Zona ad alto rischio
Dopo aver incontrato la prima squadra di emergenza con ambulanza parcheggiata sul ciglio della strada prevista da protocollo, a circa 15 km da Otočac raggiungiamo la seconda ambulanza al posto di blocco da cui parte il divieto di passaggio a chiunque non sia coinvolto nelle operazioni di sminamento in corso qui nella valle di Smolčić. Lungo lo sterrato che si inoltra nel fitto bosco, segnali e nastri rossi delimitano l’intero percorso che si addentra nella “zona a rischio”.
Per il divieto di avvicinarsi al terreno di lavoro, alcuni sminatori, delle società “DOK-ING razminiranje” e “MINA PLUS”, ci hanno raggiunti e in un appezzamento del bosco sicuro, dove hanno realizzato una simulazione per mostrarmi il procedimento. Il lavoro viene programmato su base settimanale, parallelamente in diverse regioni della Croazia e con il coinvolgimento di aziende locali di sminamento, ad oggi 39. Gli strumenti usati sono di piccola, media e grande dimensione. Queste ultime, cioè macchinari e cingolati, non si possono usare su terreni scoscesi e in mezzo al bosco come qui.
“Di solito si usano di più strumenti piccoli, oltre ovviamente a tutti i dispositivi di sicurezza personale – giubbotto antiproiettile, elmetto e tuta rinforzata – come i metal detector e i kit di estrazione”, mi spiega Roviščanec. E aggiunge che tutta l’attrezzatura viene certificata dal Centro croato per lo sminamento (HCR-CTRO) che ad oggi conta: 651 metal detector, 31 macchinari medi e grandi, 1153 protezioni di sicurezza. A cui si aggiungono ad oggi 70 cani, addestrati e poi affidati a chi li guida nel lavoro secondo il regolamento previsto per legge dal 2007.
I lavoratori del settore, certificati dall’HCR-CTRO, sono in totale 464: 47 assistenti tecnici, 84 responsabili e coordinatori delle attività sul sito, e 333 sminatori. Per legge uno sminatore può lavorare al massimo cinque ore al giorno. Le condizioni di lavoro, oltre ovviamente al fatto che ogni mina percepita dal metal detector rappresenta di per sé un rischio, sono aggravate da altri fattori: le alte temperature estive con addosso attrezzatura di sicurezza molto pesante, la fatica di camminare per ore e su terreni scoscesi o pieni di rovi, le punture dei vari insetti. E la distanza dai propri familiari per lunghi periodi.
Sull’appezzamento in cui sono disegnati perimetri di terreno da 10×10 metri con nastro rosso, Dalibor Barić e Ivica Kolić mi mostrano la procedura, che coinvolge anche due cani, Nela – pastore tedesco femmina di 5 anni e mezzo – e Triksi – pastore olandese maschio di 5 anni.
Dalibor Barić mi racconta che ogni guida ha due cani, il cui addestramento è durato circa 6-8 mesi, ed è il loro addestratore che si prende cura di loro tutti i giorni. Il metodo con i cani non è primario, bensì la rilevazione manuale delle mine con metal detector, sonda e attrezzatura per tagliare la vegetazione. Solo poi passa di nuovo uno sminatore con il cercamine o con i cani.
“Dopo che il cane ha ispezionato il quadrato di 10×10 metri, si ferma a riposare e prosegue il secondo cane, seguendo lo stesso percorso, ispezionando lo stesso terreno per assicurarsi che al primo cane non sia sfuggito nulla. Dopo la seconda ispezione, il quadrato di terreno è considerato verificato” spiega Dalibor. E poi aggiunge: “Se il cane annusa qualcosa e sente odore di esplosivo, l’addestratore segna il punto, poi arriva un altro sminatore che controlla la zona per determinare di che tipo di esplosivo si tratta.” E quanto lavora un cane da sminamento? Dipende dal terreno, mi risponde: “di solito un cane ispeziona 5-6 campi, va a riposare e continua l’altro cane. In media ispezionano circa 10 campi al giorno”.
Nela lo guarda adorante, prima di essere rimessa nella gabbia sul furgone. Un legame strettissimo con la sua “guida” che, come mi spiega Dalibor, dura tutta la vita lavorativa: per circa 9-10 anni, o meno se il cane comincia a lavorare con minor intensità o ad avere problemi di salute.
Ivica Kolić, mi mostra il lavoro con metal detector e piccoli strumenti di estrazione dove serve concentrazione massima, mano ferma e sangue freddo, nonostante l’alto grado di pressione psicologica. Passa lento con il metal detector e se questo comincia a suonare, procede alla fase successiva. Si china per testare in superficie con il bastoncino-sonda inclinato a 45 gradi, per capire di quale mina si tratta. A quel punto viene programmata la modalità di disattivazione e distruzione. A questo proposito Tomislav Roviščanec specifica: “Le aziende contrattualizzate sono tenute per legge a distruggerle durante i lavori. Pertanto, le mine ritrovate non vengono portate via: se sono già danneggiate vengono distrutte sul luogo del ritrovamento mediante detonazione controllata, cioè circondandole con sacchi di sabbia; se non presentano danni, vengono distrutte in un luogo designato.”
Gli sminatori presenti mi dicono che fanno questo lavoro da tanti anni. Per lo meno, mi informa Tajana Čičak, dato che è un lavoro altamente usurante, ogni dodici mesi lavorati ne vengono conteggiati diciotto, per cui una gran maggioranza degli sminatori croati, nel 2026 andranno in pensione.
Mentre li saluto, chiedo come sono riusciti a reggere così a lungo una tale pressione psicologica. “Eh, è difficile”, mi risponde Ivica con un sospiro, “soprattutto quando un tuo compagno muore”. Nonostante dal 2005 siano diminuiti drasticamente i casi di sminatori morti o rimasti feriti, purtroppo l’ultimo caso risale a fine luglio. Ha perso la vita Matej Robić a Oštarije, durante la bonifica di un’area non inclusa nel progetto CROSS II: una ex caserma dell’Armata Popolare Jugoslava (JNA) minata dai soldati “jugoslavi” nel 1991, prima di abbandonarla.
Si riparte per Otočac, lungo una strada provinciale dove la natura fa da padrona. Ai lati, solo fitti boschi di alberi alti decine di metri e denso sottobosco che non vede piede umano da trent’anni e che dal 2026 tornerà finalmente ad essere zona libera da ordigni di morte.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto Cohesion4Climate, cofinanziato dall’Unione Europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
Per approfondire
Leggi alcuni recenti articoli di OBCT sul tema: "Croazia, le mine uccidono ancora" e "Croazia, progetto Feraless: concluso lo sminamento" (febbraio e maggio 2023).
Vai alla galleria fotografica del reportage nei boschi attorno a Otočac, dove erano in corso uno sminamento del progetto CROSS II.
Tag: Cohesion for Climate
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