Dopo Kumanovo, in Kosovo protestano i familiari UÇK

21 maggio 2015

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Bandiere rossonere con l'aquila albanese e cartelli con la scritta “non sono terroristi”. Questi i simboli sventolati ieri a Pristina da alcune centinaia di persone, scese in piazza per protestare contro “l'indifferenza del governo kosovaro” nei confronti degli uccisi e arrestati dopo lo scontro armato del 9 maggio scorso a Kumanovo, nella vicina Macedonia.

Tra chi protestava, molti familiari dei membri del gruppo armato: nove dei dieci guerriglieri uccisi e 21 dei trenta arrestati sono infatti cittadini kosovari. “Al governo kosovaro chiediamo che vengano restituiti i cadaveri degli uccisi, che vengano liberati i fermati e che si chiarisca la sorte di tutte le persone coinvolte. Se sono stai uccisi, vogliamo sapere cosa ne è stato dei corpi”, ha dichiarato Selvije Shehu, sorella di uno degli arrestati.

Da parte kosovara si lamenta la mancanza di informazioni precise da parte del governo di Skopje. “Non abbiamo ancora contattato le famiglie di coloro che sono stati uccisi perché non abbiamo ancora ricevuto ufficialmente i certificati di morte da parte del governo macedone”, ha dichiarato un portavoce del ministero degli Interni kosovaro.

Molti dei familiari e amici hanno espresso sorpresa o incredulità sulle motivazioni che hanno spinto i loro cari a prendere parte al gruppo armato, riconducibile all'irredentismo pan-albanese. Secondo le informazioni rese disponibili, molti degli uccisi o degli arrestati hanno combattuto in passato nelle fila dell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UÇK). Decisa invece la risposta di Ylber Ndrecaj, fratello di Mirsad, considerato il leader del gruppo ed ucciso a Kumanovo. “La ragione è chiara: era frustrato dalle politiche del governo di Skopje e da come gli albanesi sono trattati in Macedonia. E' andato per i suoi ideali”.

Molte informazioni sull'operazione di Kumanovo restano non chiarite. L'operazione, che ha trasformato un quartiere cittadino in un campo di battaglia, lasciando sul terreno otto poliziotti (più trentasette feriti) pone interrogativi scomodi sia al governo kosovaro che a quello macedone, i cui rapporti bilaterali si sono prevedibilmente raffreddati.

“Sono convinto che nessuno sia davvero interessato a far emergere la verità”, ha dichiarato a Radio Free Europe l'analista kosovaro Dukadjin Gorani. “Credo che la verità su Kumanovo sia davvero oscura e raccapricciante, ed estremamente scomoda per entrambi i paesi. Così che entrambi i governi, e parte dell'opinione pubblica sia macedone che kosovara, preferiscono affrontare i fatti a livello di speculazioni, piuttosto che insistere affinché si sappia davvero cosa è successo".


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