UE, governi disposti a tutto pur di salvare l’unanimità

La Commissione considera “forti salvaguardie” sullo stato di diritto nei Trattati di adesione dei futuri membri, ma tra i Ventisette serpeggia l’idea “miope e problematica” di ammettere nuovi Paesi senza concedere loro pieni diritti di voto. Intervista a Christophe Hillion, professore di diritto europeo all’Università di Oslo

20/11/2025, Federico Baccini
Il Consiglio europeo © UE

Il Consiglio europeo © UE

Il Consiglio europeo © UE

Ammettere nuovi membri ma senza concedere loro pieni diritti di voto per un periodo iniziale di prova. L’ultima idea di diversi governi europei è probabilmente la dimostrazione più evidente di un’incapacità cronica di adattare meccanismi decisionali arrugginiti, che non rispondono più alle esigenze di un’Unione chiamata a sempre maggiore responsabilità.

Non vale la pena scomodare Giuseppe Tomasi di Lampedusa e il suo Gattopardo, perché qui, se si vuole che tutto rimanga com’è, non c’è nemmeno l’intenzione di cambiare tutto. Le buone intenzioni del presidente del Consiglio europeo António Costa sul graduale superamento della regola dell’unanimità nelle fasi intermedie del processo di allargamento sembrano essere già cadute in disgrazia tra le 27 capitali.

E allora il nuovo piano che serpeggia tra i corridoi del Consiglio è quello di spostare l’attenzione sui futuri membri. Cioè disinteressarsi dei problemi attuali – il blocco del processo a causa dei veti dell’Ungheria, con diversi altri Paesi che si nascondono alle sue spalle per non esporsi eccessivamente sulla questione – e trovare una soluzione al rischio che, con un numero maggiore di membri, aumenti a sua volta la probabilità di stalli legati alla regola dell’unanimità.

Se la Commissione europea è disposta a discutere di “solide garanzie” da inserire nei Trattati di adesione dei futuri membri, lo farebbe solo per evitare passi indietro sul rispetto dei principi dello Stato di diritto, della democrazia e dei diritti fondamentali dopo l’adesione. Una soluzione potrebbe essere la sospensione di determinati diritti qualora si riscontrino regressi, ma non compromettendo il principio dell’uguaglianza. “L’unica cosa a cui mi oppongo è la creazione di due diverse categorie di Stati membri”, ha messo in chiaro la commissaria per l’Allargamento, Marta Kos.

“Tutto ciò denota una certa miopia da parte del Consiglio quando si tratta di preparare realmente l’UE all’allargamento”, avverte Christophe Hillion, professore di diritto europeo all’Università di Oslo, in un’intervista per OBCT. Dopo aver già analizzato per noi come il superamento dell’unanimità per le decisioni intermedie del processo di adesione non dipenda dai Trattati dell’UE ma solo dalla volontà politica degli attuali membri, Hillion spiega che alcuni Stati “per ragioni opportunistiche sono disposti a ignorare i fondamenti e i principi costituzionali dell’Unione”.

Qual è il suo giudizio in merito all’idea di privare il diritto di veto ai futuri Paesi membri per non appesantire ulteriormente il macchinoso processo decisionale del Consiglio?

Dal punto di vista del diritto costituzionale dell’UE, penso che questa sia un’idea problematica per diversi motivi. In sostanza, si chiede agli attuali candidati – cioè i probabili futuri Stati membri – di assumersi le responsabilità che dovrebbero invece ricadere sugli attuali Stati membri.

L’idea è giustificata dal desiderio di evitare che il processo decisionale dell’UE si blocchi ulteriormente con l’aggiunta di nuovi Stati membri. Allo stesso tempo si basa sul concetto che ogni nuovo membro porterà ulteriori ostacoli, quando, però, questi ostacoli esistono già oggi e non vengono considerati.

In sostanza significa sanzionare i candidati per qualcosa di cui non sono responsabili, cioè l’ostruzionismo dei membri esistenti attraverso il diritto di veto.

A livello normativo è un po’ bizzarro che, per cercare di risolvere un problema dell’Unione di oggi, chiediamo ai futuri Stati membri di non esercitare quello che sarebbe un loro diritto costituzionale ai sensi dei Trattati dell’UE.

Inoltre, questa soluzione non risolverebbe nemmeno il problema alla radice. L’Ungheria – così come qualsiasi altro Stato membro attuale – potrebbe comunque continuare a porre ostacoli dove e quando vuole, e allo stesso tempo prendere decisioni in un modo che potrebbe andare contro gli interessi dei nuovi Paesi membri.

Ma per l’UE sarebbe legalmente possibile avere membri diversi con diritti diversi?

No, tutto ciò viola il principio dell’uguaglianza degli Stati membri, sancito esplicitamente dall’articolo 4, paragrafo 2, del Trattato sull’Unione europea (TUE). È vero che alcuni Paesi membri godono di alcune deroghe [i cosiddetti opt-out, ndr], ma in questo caso ci sarebbe una differenza sostanziale.

I membri che già oggi godono delle deroghe non partecipano al processo decisionale e non sono nemmeno tenuti a seguire le norme adottate nell’ambito di quel quadro politico specifico. I nuovi Stati membri che entrerebbero nell’UE senza il potere di veto, invece, sarebbero comunque soggetti alle decisioni prese senza che essi possano esercitare pienamente i propri diritti.

Questo solleva anche un problema di uguaglianza dei cittadini dell’UE, sancito dall’articolo 9 del TUE. Se non si permette solo ad alcuni Stati membri di esercitare i loro pieni poteri – incluso non sottoscrivere una decisione politica – ciò ha ripercussioni dirette sui diritti dei cittadini di quei Paesi, perché non hanno la stessa rappresentanza nel meccanismo decisionale.

Per esempio, mentre i cittadini italiani continuerebbero a essere pienamente rappresentati dal loro governo – in grado di esercitare il proprio veto – quello albanese non potrebbe garantire ai propri cittadini gli stessi diritti di rappresentanza in Consiglio.

E se questa misura fosse solo temporanea, inserita come disposizione provvisoria nei Trattati di adesione?

Questa volta è diverso, non si potrebbe davvero parlare di disposizioni provvisorie che si trovano comunemente nei Trattati di adesione. Questo perché i governi dei nuovi Stati membri sarebbero privati del loro potere decisionale ogni volta che è richiesta l’unanimità in seno al Consiglio.

Non si tratta solo di alcuni settori specifici, in cui sono necessari adeguamenti e transizioni per rendere possibile l’allargamento, ma piuttosto di qualcosa di molto più strutturale e più corrosivo per il quadro costituzionale dell’UE.

Si tratta di un approccio sproporzionato rispetto al problema che l’UE sta cercando di risolvere, perché sanziona solo alcuni membri e non altri. E poi, rendere questa misura temporanea che tipo di soluzione sarebbe?

Se vogliamo seriamente risolvere il problema degli ostacoli al processo decisionale, privare l’Albania, il Montenegro o qualsiasi altro nuovo membro del diritto di veto per un certo numero di anni non impedirà comunque agli altri Stati membri di continuare a farlo, proprio come stanno facendo adesso.

A questo si aggiunge il fatto che, dopo questo periodo di tempo – quando i nuovi membri recupereranno il proprio diritto di veto – il rischio è che questo potere possa diventare ancora più allettante, soprattutto se nel frattempo vengono prese all’unanimità decisioni importanti senza questi nuovi Stati.

Qual è il rischio per il processo di allargamento?

Il processo di allargamento, insieme alle riforme dei Trattati, la politica estera e di sicurezza e alla revisione delle risorse proprie dell’Unione, è uno dei settori in cui è richiesta l’unanimità.

Saremmo pronti a privare i nuovi membri del diritto di esercitare pienamente il loro potere e la loro influenza, anche se sono a tutti gli effetti Stati membri dell’Unione?

Per esempio, se l’Albania diventerà uno Stato membro prima della Serbia, si potrebbe davvero privare Tirana del diritto di manifestare eventuali riserve nei confronti dell’adesione di Belgrado per motivi legittimi – come potrebbero farlo gli altri membri dell’UE come la Croazia, la Francia o la Germania – semplicemente perché si è deciso nel Trattato di adesione che non può esercitare il diritto di veto?

Se non consentiamo ai nuovi membri di influenzare i dibattiti a Bruxelles anche sul piano dei futuri allargamenti, quanto saranno considerate legittime queste decisioni europee in quei Paesi membri?

Insomma, scaricando la responsabilità sui futuri membri, i 27 governi dell’UE stanno di fatto chiudendo la porta alla possibilità di superare l’unanimità nel processo di adesione?

Sì, ma anche in questo caso la questione è più complicata e, nella pratica, non risolve alcun problema.

Nel contesto dell’allargamento, così come in quello della riforma dei Trattati, non è richiesta solo l’unanimità in Consiglio a un certo punto del processo, ma anche la ratifica degli Stati membri secondo le rispettive legislazioni. Quindi privare un nuovo membro dell’UE del diritto di veto non risolve la questione di fondo del blocco del processo di allargamento.

Qualsiasi Stato, con o senza il potere di veto in Consiglio, alla fine del processo stesso potrebbe opporsi alla decisione adottata dagli altri governi durante i negoziati con un candidato, proprio attraverso la mancata ratifica del Trattato di adesione del futuro nuovo membro.

Commenta e condividi

La newsletter di OBCT

Ogni venerdì nella tua casella di posta