Ucraina: la difesa del patrimonio culturale sotto le bombe
Mentre in Ucraina i curatori dei musei evacuano opere d’arte dai territori lungo la linea del fronte e gli archivisti digitalizzano documenti sotto i costanti bombardamenti russi, una rete di organizzazioni della società civile lavora per documentare e proteggere il patrimonio culturale ucraino attraverso i finanziamenti europei

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Monumento alla principessa Olga, Kyiv © kibri_ho/Shutterstock
In un Paese dove le sirene antiaeree e i blackout interrompono regolarmente qualsiasi attività quotidiana da quasi quattro anni, attivisti e organizzazioni della società civile ucraina discutono apertamente non solo di sopravvivenza, ma anche di come salvare il proprio patrimonio culturale sotto attacco.
Non si tratta solo di una battaglia contro le bombe russe, ma di una lotta contro limiti strutturali più profondi: carenza di personale qualificato, salari bassi, infrastrutture fragili e un sistema culturale che, pur sostenuto da un’attiva società civile, è messo a dura prova da risorse scarse e richieste immense, e che necessita di riforme sostanziali.
A mostrare come funziona questo fronte di difesa è stato l’incontro “The influence of public control on the cultural sector of Ukraine” organizzato di recente a Kyiv dal Center for Civil Liberties, ONG ucraina premio Nobel per la Pace 2022, e con la presenza delle rappresentanti di Coalition of Cultural Actors, Detector Media e Zminotvortsi.
Oltre le opere evacuate: la crisi del personale
L’immagine più immediata – quando si pensa alla salvaguardia del patrimonio culturale in tempo di guerra – è quella di curatori che avvolgono sculture nei sacchi di sabbia, volontari che trasportano dipinti fuori da edifici in fiamme, archivisti che digitalizzano documenti mentre le sirene antiaeree interrompono il lavoro. Dal febbraio 2022, questa è la realtà quotidiana dell’Ucraina.
Ma è solo la parte più visibile di un problema più profondo: la capacità stessa del Paese di proteggere, documentare e ricostruire ciò che viene distrutto è compromessa da una crisi del personale senza precedenti.
Secondo alcuni dati delle istituzioni culturali ucraine, oggi nel Paese mancano restauratori, conservatori, architetti specializzati, tecnici del patrimonio materiale e immateriale. Una carenza che precede la guerra, ma che l’invasione ha amplificato a livelli drammatici.
Molti professionisti qualificati sono sfollati, altri si sono trasferiti all’estero, altri ancora hanno cambiato settore perché gli stipendi nel campo culturale sono tra i più bassi della pubblica amministrazione. Anche quando gli edifici vengono risparmiati dai bombardamenti, spesso non c’è nessuno che possa eseguire valutazioni tecniche, restauri di emergenza o interventi strutturali.
Mentre l’UNESCO registra circa 512 siti culturali danneggiati dall’inizio dell’invasione russa e Detector Media, watchdog dei media ucraini, con il progetto DisinfoChronicle nato il 17 febbraio 2022, smaschera oltre 2.600 notizie false e identifica 755 narrazioni di propaganda, il sistema che dovrebbe salvarli si trova indebolito proprio nelle sue figure chiave.
A questa carenza si aggiunge l’invecchiamento del personale: molti restauratori appartengono a una generazione che ha formato pochi successori, perché le scuole specializzate erano già sottodimensionate prima del 2022 e perché i giovani tendono a scegliere percorsi professionali con prospettive economiche più stabili.
I programmi di formazione nati durante la guerra, spesso sostenuti dall’Unione europea, cercano di colmare il vuoto, ma formare un restauratore richiede anni, non mesi. Nel frattempo, il numero di siti danneggiati continua ad aumentare.
La società civile come pilastro essenziale
In questo scenario difficile, la società civile è diventata un pilastro essenziale. Organizzazioni, attivisti, gruppi di esperti e reti informali svolgono funzioni che in tempi di pace spetterebbero alle istituzioni: documentano i danni, denunciano i crimini di guerra contro la cultura, seguono i casi di musei occupati o saccheggiati, supportano piccole comunità nel mettere in sicurezza biblioteche, chiese e archivi locali.
La loro presenza, però, non elimina i problemi di fondo: il sistema culturale ucraino soffre una fragilità strutturale che la guerra ha reso evidente. Per funzionare, la salvaguardia del patrimonio culturale richiede il mantenimento di un controllo pubblico democratico e l’introduzione di riforme strutturali che favoriscano collaborazione ed efficacia operativa con le istituzioni pubbliche.
Le difficoltà finanziarie sono un ulteriore ostacolo. Sebbene l’Unione Europea e altri partner internazionali abbiano destinato decine di milioni di euro al sostegno del settore culturale, gran parte dei fondi è orientata alla risposta emergenziale (protezioni antincendio, imballaggi, attrezzature di sicurezza, digitalizzazione) mentre molto meno arriva a rafforzare le carriere dei professionisti o a stabilizzare il personale.
In molte aree vicino al fronte, inoltre, non è possibile utilizzare appieno i finanziamenti perché gli edifici sono inagibili o mancano i tecnici capaci di gestire i progetti.
Il modello europeo: oltre l’emergenza
Dal 2022 l’Unione Europea ha destinato oltre 50 milioni di euro al settore culturale ucraino, con altri 7 milioni attesi nel 2025 tramite Creative Europe. Nel luglio 2025 è nata l’iniziativa “Team Europe for Cultural Heritage in Ukraine”, che coordina 22 Stati membri e oltre 60 progetti.
Non si tratta solo di sacchi di sabbia e materiali antincendio, ma di investimenti nelle infrastrutture di governance, nel sistema stesso per rendere l’Ucraina capace di gestire fondi, documentare l’uso delle risorse e mantenere procedure trasparenti.
Quando Bruxelles ha aiutato Kyiv a progettare il Fondo ucraino per il patrimonio culturale, non ha trasferito solo denaro, ma competenze: come funzionano i fondi culturali europei, come si garantisce la rendicontazione, come si bilancia salvaguardia e accesso pubblico.
La guerra ha reso la tutela del patrimonio culturale una questione cruciale per l’identità del Paese. Ma ha anche mostrato che, senza professionisti adeguatamente formati, sostenuti e valorizzati, nessun numero di fondi o donazioni di emergenza può bastare. Ricostruire edifici è possibile, ma ricostruire competenze richiede tempo, stabilità e riconoscimento economico.
L’Ucraina, senza volerlo, sta diventando così un laboratorio europeo: un esempio di come la società civile può coordinarsi sotto pressione, come la governance culturale può essere rafforzata anche in crisi e come la responsabilità democratica può sopravvivere quando tutto il resto vacilla.
La vera domanda non è se l’Ucraina ricostruirà il suo patrimonio – perché lo farà – ma se lo ricostruirà con la stessa trasparenza e rigore istituzionale che la collaborazione europea sta rendendo possibile.
E se questo modello, fondato su fondi, expertise e formazione, diventerà un paradigma permanente per la gestione del patrimonio culturale in tutta Europa.
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