Serbia, Novi Sad un anno dopo

A distanza di un anno, non ci sono risposte, né tanto meno si conoscono i responsabili del crollo della tettoia a Novi Sad. Alla cerimonia commemorativa oltre centomila persone hanno reso omaggio alle vittime in modo pacifico e dignitoso. L’élite al potere ha commemorato l’anniversario nel tempio di San Sava a Belgrado

10/11/2025, Danijela Nenadić
Commemorazione degli studenti, Novi Sad, Serbia - Foto N. Nenadić

Commemorazione degli studenti, Novi Sad, Serbia – Foto N. Nenadić

Commemorazione degli studenti, Novi Sad, Serbia - Foto N. Nenadić

Lo scorso primo novembre ricorreva l’anniversario della tragedia di Novi Sad. Durante l’evento commemorativo, promosso dagli studenti, oltre centomila cittadini hanno reso omaggio alle vittime con calma e dignità. Quel giorno la città di Novi Sad è rimasta avvolta nel silenzio, nonostante la presenza di moltissime persone arrivate da tutto il paese.

L’evento, protrattosi per l’intera giornata, è stato concepito come una commemorazione simbolica del primo anniversario del crollo della tettoia. Il momento più emozionante è stata l’esibizione di un coro, che – dopo i sedici minuti di silenzio per le sedici vittime – ha intonato la canzone “Cveta trešnja u planini” [Il ciliegio fiorisce in montagna].

I versi – “fiori di ciliegio in montagna/sta arrivando la primavera/tutto è uguale nella mia terra/solo che io non ci sono più” – come anche la toccante interpretazione della canzone, hanno commosso molti dei presenti, rispecchiando al meglio la sofferenza che da un anno attanaglia la Serbia. Una sofferenza che, ogni giorno che passa, spinge sempre più studenti e cittadini a protestare.

A distanza di un anno dal crollo della tettoia, non ci sono risposte, né tanto meno si conoscono i nomi dei responsabili della tragedia. La commemorazione dello scorso primo novembre si è conclusa osservando i sedici minuti di silenzio per le sedici vittime, con sedici lanterne liberate in volo dalle barche sul Danubio.

Gli studenti e i cittadini hanno dimostrato, ancora una volta, di essere capaci di organizzare una manifestazione pacifica. Molti di loro sono giunti a Novi Sad a piedi da tutta la Serbia e la loro marcia è durata giorni. La sera del 31 ottobre sono stati accolti dagli studenti di Novi Sad, con un fiume di lacrime, abbracci, orgoglio e speranza.

I vertici dello stato hanno invece scelto di commemorare l’anniversario della tragedia nel tempio di San Sava a Belgrado, dove il patriarca della Chiesa ortodossa serba Profirije ha recitato una preghiera per i morti, invocando la pace.

Il presidente Vučić ha dichiarato di essere venuto per accendere una candela per le vittime, invitando tutti a mostrare rispetto reciproco. È stato forse l’annuncio più chiaro della decisione del regime di non intervenire in alcun modo a Novi Sad. Uno scenario per nulla scontato, anche perché nei giorni precedenti alla commemorazione gli esponenti della leadership al potere hanno più volte parlato della presunta intenzione dei “blokaderi” di provocare scontri e organizzare un colpo di stato.

La Serbia vive ormai una crisi permanente che non accenna ad attenuarsi. Gli eventi si susseguono rapidamente e spesso sembra che viviamo in mondi paralleli. Per giorni, Vučić ha annunciato gli scenari più terribili per Novi Sad. Poi il giorno prima della commemorazione, si è rivolto ai cittadini, dichiarando di “sapere e comprendere che nei momenti di tristezza, alcune persone cercano conforto radunandosi nelle strade e nelle piazze, e che ognuno soffre a modo suo”.

Vučić ha precisato di non avere nulla contro tali manifestazioni, “purché si svolgano in modo pacifico e legale, rispettando gli altri”. Il presidente ha affermato di essere tormentato dagli errori commessi in passato, concludendo che “tutto questo odio che ribolle nella nostra società non può portare nulla di buono”.

Vučić – che ogni tot mesi appare in pubblico per chiedere scusa per i suoi errori – ha invitato “quelli che protestano” a sedersi al tavolo e ad esprimere i propri desideri attraverso dibattiti, non con un ultimatum.

Gli studenti hanno risposto al presidente la sera stessa, sottolineando di non accettare le sue scuse e invitandolo a convocare elezioni anticipate. “Forse vi chiedete perché stia di nuovo invitando al dialogo e alla riconciliazione, e un mese fa ha dato ordine che ci picchiassero e arrestassero tutti. C’è un trucco. Domani sono attese a Novi Sad 47 équipe di giornalisti stranieri. Proprio così”, hanno scritto gli studenti in protesta sul loro account X.

Belgrado, Serbia, 4 novembre 2025- Foto D. Nenadić

Belgrado, Serbia, 4 novembre 2025- Foto D. Nenadić

Miša Bačulov

Il giorno prima del grande evento commemorativo, mentre Vučić invitava al dialogo, è stato arrestato Miša Bačulov, membro del consiglio comunale di Novi Sad, ormai un’icona dell’opposizione al regime.

Bačulov è stato arrestato su richiesta della procura di Belgrado con l’accusa di aver pianificato, insieme ad un certo medico D.C., di avvelenarsi, per poi addossare la colpa al presidente Vučić e al governo. La procura ha definito l’atto come “preludio al rovesciamento dell’ordine costituzionale e attacco alla sicurezza della Serbia”.

Dopo essersi visto negare cure mediche regolari, Bačulov, come previsto dalla legge, è stato portato al pronto soccorso, dove gli è stata diagnosticata un’embolia polmonare, come anche diversi microinfarti avuti in passato. Dopo la scadenza del provvedimento di custodia cautelare di 48 ore, la polizia – che per tutto il tempo è rimasta all’interno e davanti alla stanza di Bačulov – gli ha detto che poteva andarsene.

Bačulov ha confermato che gli agenti di polizia sono rimasti davanti alla sua stanza per tutta la durata del suo ricovero, benché la legge non lo prevedesse.

Dopo aver lasciato l’ospedale, Bačulov si è presentato davanti al giudice, che lo ha assolto dalle accuse. Tuttavia, appena uscito dal tribunale, è stato nuovamente fermato e arrestato dalla polizia su ordine della stessa procura. Questa volta è stato accusato di aver organizzato violenze a Belgrado la sera del 2 novembre mentre era ricoverato in ospedale, utilizzando il telefono del personale medico. Dopo un altro giorno trascorso in custodia cautelare, Bačulov è stato rilasciato per difendersi a piede libero.

Interpellato da OBCT, Bačulov afferma che “tutte le accuse sono false” e pensate per screditarlo, anche per accontentare l’élite al potere che vuole toglierlo dalle strade perché gode di “un forte sostegno dei cittadini”. Negando tutte le accuse, Bačulov spiega di sentirsi stanco dopo sei giorni di torture, ma non anche distrutto, dicendosi “determinato a continuare la lotta per una Serbia senza Vučić”.

Bačulov non è l’unico bersaglio del regime. Nella notte tra il 2 e il 3 novembre, è stato arrestato a Belgrado Vladimir Štimac, ex giocatore della nazionale serba di basket, anch’egli considerato un simbolo della resistenza all’attuale regime.

La procura di Belgrado ha ordinato la misura di custodia cautelare per Štimac per “il fondato sospetto che, durante la protesta davanti al parlamento serbo, abbia incitato alla violenza con l’intenzione di rovesciare i legittimi rappresentanti del governo”.

Dopo due giorni, anche Štimac è stato rilasciato per difendersi a piede libero. In entrambi i casi, è stata la procura di Belgrado, guidata dal procuratore capo Nenad Stefanović, ad ordinare la custodia cautelare. Stefanović è noto per i suoi stretti legami con i vertici dello stato e per essere uno strenuo sostenitore di Vučić. Solo la scorsa settimana, decine di studenti e cittadini sono stati messi in stato di fermo.

Anche Milomir Jaćimović, proprietario di una compagnia di trasporti, da un anno subisce forti pressioni per aver deciso di sostenere gli studenti e di accompagnarli gratuitamente alle proteste con i suoi autobus. Jaćimović si è visto confiscare tutti i suoi veicoli, quindi non può più esercitare il diritto fondamentale al lavoro.

Mentre la procura insorge contro il rilascio di studenti e cittadini fermati durante le proteste, i media di regime portano avanti l’ennesima campagna denigratoria contro i giudici che hanno emesso i provvedimenti di rilascio. I loro nomi e altri dati personali compaiono ogni giorno sulle pagine dei tabloid, insieme a insulti e minacce velate.

Che la leadership al potere non sia disposta a dialogare e a cercare una soluzione pacifica, i cittadini della Serbia lo hanno capito durante quello che è sicuramente stato l’evento più drammatico di quest’anno.

Dijana Hrka – Foto D. Nenadić

Dijana Hrka – Foto D. Nenadić

Dijana Hrka

Dijana Hrka, il cui figlio Stefan è morto sotto la tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, da un anno si batte chiedendo giustizia per suo figlio e per le altre quindici vittime. Lo scorso 2 novembre Dijana Hrka ha iniziato uno sciopero della fame davanti al cosiddetto “Ćacilend” a Belgrado.

Ćacilend è un’area nel centro di Belgrado, tra la sede del parlamento e il palazzo della Presidenza della Repubblica, da otto mesi occupata dai sostenitori del governo. Questo accampamento, creato dagli “studenti che vogliono imparare”, è una delle iniziative, difficili da comprendere, con cui il regime ha cercato di rispondere alle proteste studentesche.

Ćacilend non è mai stato un punto di ritrovo degli studenti, e di certo non lo è diventato dopo il ripristino delle lezioni in tutte le facoltà. Quindi, non è chiaro chi siano le persone che continuano ad occupare quest’area e per quale motivo lo facciano. Vučić e i rappresentanti del governo affermano che si tratta del “luogo più libero” della Serbia, sottolineando di non avere alcuna intenzione di invitare i propri sostenitori ad abbandonare Ćacilend.

È in questo clima che da giorni si scontrano due Serbie. Da un lato, una madre che ha perso il figlio e i cittadini che la sostengono, tra cui molti studenti, dall’altro persone spinte da motivazioni difficilmente comprensibili.

A Ćacilend – dove ogni giorno risuona la cosiddetta musica patriottica – l’episodio più deplorevole si è verificato lo scorso 3 novembre, quando le persone presenti nell’accampamento si sono rivolte a Dijana Hrka cantando la canzone Pošla majka da potraži sina [La madre è andata a cercare suo figlio].

Il declino morale della società serba è testimoniato da alcuni video che mostrano donne e uomini intonare con entusiasmo quella canzone davanti a Dijana Hrka, facendo il gesto delle tre dita e gridando “Aco, serbo”. Molti di loro sono dipendenti pubblici ed erano arrivati ​​nell’accampamento in centro a Belgrado in modo organizzato durante l’orario di lavoro.

Mercoledì 5 novembre a Ćacilend il partito al potere ha organizzato un ricevimento per i “marciatori” provenienti dal Kosovo. Dopo aver camminato per dieci giorni, i serbi del Kosovo sono arrivati a Belgrado per sostenere il presidente Vučić e per dire di “non voler rinunciare alla Serbia”. Un’immagine che riassume tutta la tristezza della nostra quotidianità.

A Ćaciland quel giorno c’erano quattordicimila persone (stando all’Archivio delle manifestazioni pubbliche), arrivate in modo organizzato da tutta la Serbia, senza un’idea chiara del perché si trovassero a Belgrado e da chi difendessero la Serbia (leggi: Vučić). Allo stesso tempo, altrettante persone hanno sostenuto Dijana Hrka e il suo grido per la giustizia.

In una dichiarazione rilasciata a OBCT, Dijana Hrka spiega di non avere alcuna intenzione di interrompere lo sciopero della fame e invita l’opinione pubblica internazionale a “condannare con decisione e senza riserve le azioni del regime [in Serbia] e a sostenere, in maniera incondizionata e con ancora maggiore tenacia, gli studenti e le loro richieste, in particolare la richiesta di convocare elezioni anticipate”.

Dijana Hrka afferma che oggi tutti gli studenti sono “suoi figli”, sottolineando di aver iniziato lo sciopero della fame come ultima risorsa per ottenere giustizia per suo figlio e per le altre vittime della tragedia di Novi Sad.