Romania, la pesca sta scomparendo dal delta del Danubio

Bracconaggio e monopoli imposti dai proprietari dei mercati ittici stanno uccidendo la pesca nel delta del Danubio. Le istituzioni romene non riescono a proteggere l’ecosistema né a sostenere le comunità locali: in questo caos, sia pesci che pescatori sono sull’orlo dell’estinzione

Pescatori in partenza per la pesca, Sfântu Gheorghe, Tulcea - foto Matei Bărbulescu

Pescatori in partenza per la pesca, Sfântu Gheorghe, Tulcea

Pescatori in partenza per la pesca, Sfântu Gheorghe, Tulcea - foto Matei Bărbulescu

(La versione romena è stata pubblicata da Snoop il 15 novembre 2025)

Quando si osservano i piccoli porti nei villaggi del Delta, si possono ancora vedere pescatori con le loro reti e canne da pesca gettate sulle barche, pronti a uscire in acqua. Ma il loro numero è in costante diminuzione. I villaggi che un tempo erano pieni di vita si stanno svuotando di generazione in generazione.

Ma non tutti se ne sono andati. Nel Delta del Danubio, l’industria della pesca è appesa a un filo di nylon, intrappolata tra bracconieri, monopolio dei commercianti e istituzioni inefficienti.

“Sono stato battezzato in queste acque. Noi Lipovani siamo nati con queste onde, con questo tramonto, con questo vento. Se non abbiamo l’acqua, non siamo più noi stessi”, spiega Ștefan Pimon. Ștefan ha 55 anni e dice che la pesca non è un lavoro, è una vocazione. Proviene da una famiglia di pescatori da quattro generazioni, ma sente che il futuro di persone come lui sta lentamente affondando, trascinato dall’indifferenza delle autorità.

“La gente deve svegliarsi”, sospira un altro pescatore, Nicu Uncu, con la voce rotta e gli occhi lucidi.

Neanche lui sa cosa significhi vivere lontano dall’acqua. Nato nel villaggio di Murighiol, nella regione di Tulcea, ha lavorato come marinaio sulle macchine che hanno scavato i canali attraverso il delta del Danubio durante il periodo di Ceaușescu. È così che è finito nella zona di Sfântu Gheorghe, dove ha iniziato a pescare, si è sposato e ha messo su famiglia.

Pescatori in partenza per la pesca, Sfântu Gheorghe, Tulcea - foto Matei Bărbulescu

Pescatori in partenza per la pesca, Sfântu Gheorghe, Tulcea – foto Matei Bărbulescu

A maggio siamo andati a trovare i pescatori del Delta. Nicu siede su una panchina di legno nel cortile della sua pensione e parla con ampi gesti, come se volesse catturare le idee che si perdono nell’aria. A causa del remare, ha i palmi delle mani callosi e le dita lunghe e spesse.

Nicu ha 61 anni ed è una delle poche voci rimaste a Sfântu Gheorghe che cercano di mantenere viva la pesca tradizionale. È anche il presidente dell’associazione locale dei pescatori. Dei 110 pescatori autorizzati, circa la metà vive esclusivamente di pesca, dice. Gli altri hanno trovato altri lavori da affiancare alla pesca: all’impianto idrico, nell’unità militare, nel turismo.

Nel villaggio di Jurilovca, anche la pesca è sull’orlo dell’estinzione. Mentre gli anziani tirano le reti sperando di guadagnare almeno il necessario per la benzina e gli attrezzi, i giovani partono invece per l’Irlanda, la Danimarca e la Scozia. “Oh, in due mesi tornano a casa con otto, dieci, dodici mila euro”, dice Ștefan Unguru, noto come Nea Fănică.

Ștefan Pimon dice anche che la maggior parte di loro ha iniziato a partire nel 2009: “Eravamo circa 250, ora ne sono rimasti circa 45”. E l’età media dei pescatori, dicono, è tra i 48 e i 50 anni. Se fossero rimasti, avrebbero vissuto ben al di sotto della soglia di povertà con il solo reddito della pesca, perché, secondo i pescatori con cui abbiamo parlato, guadagnano circa 1.200 lei (poco più di 235 euro) al mese.

Nea Fănică ha 57 anni e 46 anni di esperienza in mare. “Tutto è fatto a mano, io pesco dieci tonnellate a mano”, racconta. Ma anche il numero di pesci sta diminuendo.

“Una volta c’erano così tanti pesci che si poteva nutrire un maiale”, sbotta Nea Fănică. “Pesci gatto, sgombri, rombi, acciughe, storioni, spratti, pesci di ogni tipo”.

Ora, invece, ce n’è appena abbastanza per vendere e non morire di fame. Li vende a 2 lei al mercato del pesce, poi si aggiungono l’IVA e la commissione, e quando arrivano al mercato costano 25 lei (poco meno di 5 euro).

Quando si avvicina l’inverno, è ancora più difficile stare sull’acqua: il freddo è terribile, il vento è gelido e l’acqua fredda bagna tutto. “È un lavoro duro”, sospira Ștefan, seduto sul suo triciclo a motore, picchiettando leggermente il manubrio. “Ma quando vedi i pesci nella tua barca, dimentichi tutto. È la soddisfazione più grande”.

I pesci non si catturano solo con la forza e la pazienza; i pescatori costruiscono i propri attrezzi. “Si investe. Quest’estate ho costruito due nuove canne da pesca e per realizzarne una ci vogliono 1.000 lei, solo per i materiali”, spiega Nea Fănică.

Ștefan ricorda quando i bracconieri gli hanno rubato sei canne da pesca. “Il danno è stato piuttosto significativo. 6.000 lei (circa 1200 euro). Ero felice con 800 lei guadagnati con un pesce gatto, e poi 6.000 lei sono scomparsi in un secondo. La pesca è così, non puoi farci niente”.

Adrian Pereanu, è un po’ più giovane, anche lui pescatore, ha lavorato in Francia installando cartongesso per famiglie benestanti così da mantenere suo figlio all’università. Ora pesca per passione, ma con frustrazione e rabbia. “Guarda le mie mani screpolate, e il bracconiere viene di notte e taglia le mie lenze”. Lui investe nel duro lavoro e i bracconieri gli rubano gli attrezzi o lo sabotano, accusa l’uomo.

I pescatori guardano con ammirazione e invidia ai paesi dell’Europa occidentale. In Scozia, dice Adrian, hai una tessera al mercato del pesce, accesso al ghiaccio, la merce è facilmente gestibile e i compensi vanno direttamente sul tuo conto. In Spagna c’è una borsa del pesce simile alla borsa valori, con schermi al plasma e codici a barre. Hanno creato una borsa a Tulcea, con cinque milioni di euro. È andato tutto a rotoli. Non funziona.

I pescatori di Jurilovca non chiedono miracoli, chiedono solo di vendere il loro pesce a un prezzo che li aiuti a guadagnarsi da vivere dignitosamente.

Vista dal porto di Jurilovca, Tulcea, Delta del Danubio - foto Matei Bărbulescu

Vista dal porto di Jurilovca, Tulcea, Delta del Danubio – foto Matei Bărbulescu

Bracconaggio protetto

A Jurilovca, tutti sanno chi utilizza gli elettrostorditori per catturare i pesci. Il bracconaggio è ovunque, dicono i pescatori. Uccidono e catturano i pesci con reti da pesca monofilo o dispositivi elettrici, mentre la gente li accusa di essere in combutta con le autorità.

L’utilizzo dell’elettrostorditore non solo è illegale, ma è anche disastroso per l’ecosistema. I pesci piccoli muoiono all’istante e quelli grandi, anche se sopravvivono, non riescono più a deporre le loro uova. Quelli che scappano fuggono in altre zone, per non tornare mai più, e non possono più riprodursi.

“Quando [il bracconiere] pesca con l’elettricità, capovolge [i pesci]. Li stordisce e li raccoglie, ma quelli piccoli non sopravvivono. Se quelli grandi fuggono e hanno le uova, queste non sono più buone. Usano l’elettrostorditore ovunque. E distruggono, distruggono, distruggono”, spiega Nea Fănică.

A completare il quadro, il cambiamento climatico aggiunge complessità al disastro. Il clima è impazzito: fa caldo quando dovrebbe fare freddo e freddo quando dovrebbe fare caldo, e i pesci, confusi dalle temperature, depongono nel periodo sbagliato: l’acqua gelata distrugge le uova. Ciò significa meno riproduzione, meno pesci nei prossimi anni e una pressione ancora maggiore su una risorsa già in declino.

Ștefan si lamenta del fatto che molti accusano i pescatori di distruggere gli stock ittici e la natura. Ma ricorda come suo nonno gli insegnò a liberare i pesci gravidi in modo che potessero deporre le uova, continuare a popolare gli stagni e, in quattro o cinque anni, catturarne ancora di più. Il lipovano spiega come i pescatori si prendano cura della natura perché capiscono quanto sia importante mantenere l’equilibrio. Ecco perché considera il bracconaggio un crimine.

“Non posso riscaldare la stufa con quello che taglio dal tetto, perché arriverà la pioggia e sarò fregato. Questa è la natura, il Delta. Se non ci prendiamo cura di essa, essa non si prenderà cura di noi”, dice. Conferma anche che la Polizia del Delta esiste ancora e incute timore. Ma sono pochi, mal equipaggiati e, il più delle volte, bloccati politicamente. Le forze dell’ordine fanno il loro lavoro solo “quando sono in due o tre insieme, se ce n’è solo uno…”, racconta.

Nicu di Sfântu Gheorghe e altre fonti con cui abbiamo parlato ci hanno raccontato di un episodio in cui un agente di polizia ha catturato un bracconiere, ma questi, invece di sentirsi intimidito, lo ha minacciato dicendo che se non gli avesse restituito immediatamente la moto, il superiore dell’agente lo avrebbe richiamato e che avrebbe finito per restituirgliela. Secondo le persone con cui abbiamo parlato, è proprio quello che è successo.

Anche Adrian racconta di un caso: un agente ha osato fare il suo dovere, ma poi ha ricevuto una telefonata. “Lasciali andare o perderai il lavoro. Gli è stato ordinato di restituire ciò che aveva confiscato”, si lamenta Adrian.

Il pescatore parla di un sistema che funziona sulla base di connessioni e protezione politica. Le richieste di pesce provengono direttamente da soggetti influenti della zona e da politici, e i bracconieri rispondono prontamente. Chi ha appoggi la fa franca, mentre i pescatori onesti sono sottoposti a controlli eccessivi e multati per qualsiasi infrazione.

Le autorità segnalano solo un caso ogni due anni

Quando sono stati contattati, i rappresentanti della Polizia del Delta hanno dichiarato che nessun agente di polizia era stato indagato disciplinarmente o penalmente per gli atti segnalati dai pescatori, respingendo così le accuse di inefficienza nella lotta al bracconaggio. Hanno aggiunto che il problema era più legato alla difficoltà di individuare e provare questi atti.

La Polizia del Delta afferma che tra il 2014 e il 2024 sono stati individuati in totale cinque reati di bracconaggio con utilizzo di elettrostorditori, ciascuno dei quali ha portato all’apertura di un procedimento penale e alla confisca del dispositivo.

Alla domanda su quanti elettrostorditori fossero stati confiscati tra il 2014 e il 2024, l’Amministrazione della Riserva della Biosfera del Delta del Danubio (ARBDD) ha risposto che c’è stato un solo caso nel 2016, quando è stato trovato un dispositivo abbandonato e il responsabile non è stato identificato.

La Guardia Ambientale afferma di condurre ispezioni e controlli costanti, anche durante il periodo di fermo pesca. Le misure comprendono la confisca di elettrostorditori artigianali, imbarcazioni, attrezzi non contrassegnati e pesci sotto taglia (che sono stati rilasciati). Recentemente, la Guardia Ambientale è stata dotata di 46 droni con termocamera per rafforzare le sue capacità di sorveglianza.

I pescatori accusano i bracconieri di rubare anche “con i documenti”, ovvero ottenendo licenze di pesca con la corruzione. Hanno diplomi e permessi, ma non sanno nemmeno fare un nodo, afferma Adrian. “Hanno i documenti, hanno il pesce, ma non si riesce a trovare la loro attrezzatura”. Mentre loro prendono tonnellate di pesce dalle acque, i pescatori onesti vengono controllati ossessivamente e riescono a malapena a catturare qualche pesce.

Anche i pescatori autorizzati praticano la pesca di frodo con elettrostorditori, come riconosce la polizia del Delta in una dichiarazione ufficiale. Ma le segnalazioni ricevute da altri pescatori “erano generiche”, senza informazioni che consentissero di identificare i responsabili. La polizia afferma che per documentare un reato del genere è necessario poter coglierli in flagrante, ma “l’attrezzatura viene rapidamente gettata in acqua e i bracconieri fuggono su barche ad alta velocità”, spiegano.

Gli abitanti del Delta, tuttavia, offrono una versione diversa: la polizia è in grado di fermarli, ma non vuole. Adrian prende in mano la situazione: “Li seguiamo con barche e auto, con binocoli da terreni più elevati, prendiamo le loro attrezzature e li portiamo davanti alle autorità”.

Un rappresentante di un’organizzazione per la conservazione della natura che opera nel delta del Danubio descrive un sistema in cui sia i pescatori artigianali che i bracconieri organizzati operano in una zona grigia, intrappolati tra leggi restrittive e necessità di sopravvivere.

La vendita di pesce sul ciglio della strada è una pratica illegale ma comune, e i venditori spesso ingannano gli acquirenti mescolando specie pregiate con altre di bassa qualità. Allo stesso tempo, le quote di pesca ufficiali vengono costantemente superate perché i ritardi nella segnalazione tra i punti di raccolta e le autorità consentono di mascherare la pesca eccessiva come attività legale.

L’attivista sostiene che non tutti i pescatori che commettono atti illegali dovrebbero essere considerati bracconieri. Molti stanno semplicemente cercando di sopravvivere in un ambiente sempre più restrittivo. Le zone in cui pescavano sono state chiuse da nuove leggi di conservazione, lasciandoli senza alternative. Per sostenere le loro famiglie, spesso ricorrono a metodi illegali.

“Per sopravvivere e avere una vita minimamente dignitosa, sono costretti a infrangere la legge. Sono solo persone che sono state dimenticate dalle autorità”, afferma. D’altra parte, ci sono quelli che ‘fulminano’ i pesci, e sono visti dal resto della comunità come “paria, il peggio del peggio, mafiosi”. Una cosa è catturare un pesce protetto e portarlo a casa per mangiarlo, ma un’altra è distruggere un intero ecosistema.

Vista del porto di Sfântu Gheorghe, Delta del Danubio - foto Matei Bărbulescu

Vista del porto di Sfântu Gheorghe, Delta del Danubio – foto Matei Bărbulescu

I depositi ittici e il monopolio del pesce

Il prezzo del pesce è determinato dagli intermediari, ovvero dai depositi ittici. In teoria, e secondo la legge, i pescatori possono vendere direttamente il proprio pescato, ma solo se dispongono di un’autorizzazione sanitaria e rispettano severi requisiti igienici e documentali.

In pratica, tuttavia, i pescatori sono costretti a rivolgersi ai depositi ittici cosicché i loro proprietari controllino il ghiaccio, l’imballaggio, il trasporto, la consegna e dispongano di tutti i documenti necessari per immettere il pesce sul mercato. Inoltre, i costi amministrativi sono troppo elevati per essere sostenuti dai singoli pescatori.

Le autorità locali e i dipartimenti sanitari e veterinari impongono norme igieniche rigorose, ispirate agli standard del sistema HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Point), un sistema progettato per le fabbriche e l’industria alimentare che prevede controlli rigorosi in ogni fase del processo. Per un pescatore che lavora da solo, queste condizioni sono quasi impossibili da soddisfare. Pertanto, i depositi ittici creano un monopolio di fatto attraverso regolamenti tecnici.

I proprietari dei depositi negano l’esistenza di un vero e proprio monopolio, sostenendo che i ricarichi commerciali sono modesti e che anche loro lavorano con margini minimi. “Non hai nessuno con cui negoziare”, dice Nea Fănică, seccato. “Ti zittiscono e ti dicono che non prenderanno più la tua merce. Che non gli piaci. Cosa puoi fare?” “Siamo alla mercé degli intermediari”, sbotta Adrian. “Ti calpestano”.

Dragoș Cladiade, attuale sindaco di Sf. Gheorghe, pescatore tra il 1996 e il 2024 ed ex presidente dell’associazione dei pescatori del villaggio, è altrettanto feroce nei confronti dei commercianti. “La legge impone di consegnare il pesce a un intermediario, una società che media tra il pescatore e il mercato. Il pescatore riceve un leu dal pescivendolo e il pesce finisce sul mercato a 15 lei. I pescatori non possono vivere solo di pesca. Senza il turismo, morirebbero di fame. Mi viene la pelle d’oca”, si lamenta il sindaco.

Per sopravvivere, Adrian divide il suo tempo tra piastrelle e pesce. Posa piastrelle e monta cucine durante la bassa stagione. Oppure lavora col turismo in estate facendo circa 300 lei nei fine settimana. Questo lo aiuta, soprattutto perché i pescatori non ricevono sussidi quando la pesca è vietata. “I bulgari ricevono qualcosa, mentre nel nostro Paese, ai tempi di Ceaușescu, bisognava scrivere una relazione per ricevere qualcosa”.

Il proprietario del deposito di Jurilovca non è del villaggio, ma di Bucarest. Quando qualcuno del villaggio ha voluto aprire una pescheria, “ha mandato gli ispettori e l’ha fatta chiudere”, racconta Adrian. “Se non hai conoscenze potenti, sei finito”, questa è la convinzione della maggior parte dei pescatori del Delta.

I commercianti contestano l’idea che abbiano loro il monopolio e sostengono che i pescatori possono scegliere a chi vendere il loro pesce. Per quanto riguarda il prezzo, dicono che è dettato dal mercato, influenzato dalle importazioni dall’Italia e dalla Spagna, e accusano i pescatori di essere “perennemente insoddisfatti”.

Dumitrel Dimache, commerciante e pescatore di Sfântu Gheorghe, aggiunge che gli stock ittici sono in calo a causa della mancanza di coinvolgimento dello Stato, ma anche a causa dell’invecchiamento dei pescatori. Il sindaco di Sfântu Gheorghe, Dragoș Cladiade, contraddice la spiegazione relativa alle importazioni: il problema non è il prezzo basso, ma il fatto che i pescatori locali possono vendere direttamente, senza l’intermediario imposto dal sistema rumeno.

Mircea Pascale, commerciante a Sarichioi e Murighiol e presidente delle associazioni di pescatori delle due località, afferma che il prezzo è basso perché la domanda è insufficiente. “La gente non mangia l’orata. La gente vuole mangiare il salmone. Nessuno sarà mai soddisfatto”.

L’ARBDD sostiene che, attualmente, i centri di prima vendita (CPV) e i punti di sbarco, denominazione legale dei mercati ittici, sono soggetti a ispezioni mensili obbligatorie da parte dei servizi di ispezione dell’istituzione, che verificano il rispetto delle disposizioni degli atti normativi.

Tuttavia, l’istituzione non ha fornito dettagli sui criteri di autorizzazione iniziale, su come evitare la concentrazione del potere economico nelle mani degli operatori locali o sui meccanismi attraverso i quali i pescatori possono contestare gli abusi o la mancanza di alternative reali.

I proprietari dei depositi ittici: i padroni del Delta

Dopo il 1989, il Delta è entrato in un periodo di caos amministrativo. Solo negli anni 2000 la politica ha imposto un quadro normativo più chiaro. Fino ad allora, il pesce apparteneva a chi lo pescava e i pescatori lo vendevano a chi pagava di più.

Nel 2002, il governo rumeno ha diviso l’intero territorio del Delta in 25 zone. Queste dovevano essere affittate per decenni a diverse aziende private, molte delle quali controllate o vicine all’élite politica dell’epoca. Le acque sono state privatizzate e i depositi ittici dell’era comunista erano attività chiavi in mano pronte per essere rilevate da persone influenti.

La legge favoriva i proprietari dei depositi ittici e i concessionari, mentre i pescatori erano costretti a vendere il loro pescato al prezzo fissato dal proprietario del mercato ittico, che poi lo rivendeva con un enorme rincaro.

Il principale beneficiario della decisione governativa adottata durante il mandato di Adrian Năstase è stato Alexandru Bittner, che ha ottenuto oltre 100 ettari di concessione nel delta. Bittner, noto come il “barone del Delta”, era uno stretto collaboratore del primo ministro e di Dorin Cocoș, marito di Elena Udrea. È stato coinvolto negli scandali di corruzione “Zia Tamara” e “Microsoft”, entrambi direttamente collegati all’ex primo ministro del PSD.

Prima che i pubblici ministeri annunciassero ufficialmente le indagini sul caso Microsoft, in cui Bittner ricevette una tangente di 3,8 milioni di dollari per sbloccare il contratto tra il governo e Fujitsu Siemens Computers, l’uomo d’affari vendette le sue attività nel Delta e si trasferì negli Stati Uniti, ma il suo “regime” rimane ancora significativo per i pescatori del Delta.

I “gioielli della corona” sono stati ottenuti grazie alle concessioni assegnate durante il governo Năstase alla Piscicola Tour SRL, una società controllata da Bittner attraverso un’entità offshore. Nel 2012, la società si è divisa in altre sei società, le più importanti delle quali sono quelle che gestiscono Cherhanaua Jurilovca, Satul de Vacanță de la Gura Portiței e Cherhanaua Mangalia.

Istituzioni inefficienti e decisioni assurde

In qualità di presidente dell’associazione dei pescatori di Sfântu Gheorghe, Nicu Uncu è da tempo critico nei confronti dell’Amministrazione della Riserva della Biosfera del Delta del Danubio, l’autorità che dovrebbe proteggere il Delta. “Abolirei l’ARBDD”, afferma il pescatore, nel senso che l’istituzione avrebbe bisogno di una riforma.

Nicu Uncu, pescatore di Sfântu Gheorghe, nella sua casa - foto Matei Bărbulescu

Nicu Uncu, pescatore di Sfântu Gheorghe, nella sua casa – foto Matei Bărbulescu

“Il ruolo di tale istituzione dovrebbe essere quello di proteggere le comunità e la biosfera”, afferma. Ma invece di proteggere, l’organizzazione si macchia di indifferenza, regole assurde e mancanza di consultazione con coloro che, a suo parere, conoscono meglio le acque del Delta.

Nicu Uncu ha sostenuto con fermezza l’idea di prolungare il periodo di fermo biologico, convinto che questo fosse l’unico modo per ripristinare gli stock ittici. Era consapevole che alcuni dei suoi colleghi avrebbero potuto contestarlo o criticarlo, ma era sicuro che, col tempo, anche loro avrebbero capito che la misura era nell’interesse di tutti. Nonostante tutte le argomentazioni avanzate, la sua iniziativa non è stata accolta.

Quando è stata contattato per un commento, l’ARBDD ha dichiarato di “non aver respinto le proposte di estendere il periodo di chiusura della pesca, ma di aver sostenuto il parere dei ricercatori specializzati nel settore, che sono anche membri del Comitato consultivo nazionale per il settore della pesca”.

L’istituzione afferma di aver ricevuto una lettera ufficiale dalla Federazione delle organizzazioni dei produttori ittici del Delta del Danubio, in cui si esprimeva chiaramente l’opposizione all’estensione del periodo di chiusura della pesca.

I pescatori chiedono da anni misure di base: limiti di cattura ragionevoli, dragaggio dei canali, digitalizzazione delle pratiche e attrezzature adeguate finanziate attraverso i programmi dell’UE. In pratica, le istituzioni hanno costantemente ignorato queste proposte e molti progetti sono stati bloccati dalla burocrazia o dalla mancanza di volontà politica.

Nell’agosto 2025, i timori dei pescatori che abbiamo intervistato sono divenuti realtà. I funzionari dell’ARBDD hanno annunciato che diversi laghi del delta si erano prosciugati a causa della siccità e della mancanza di dragaggio.

In un rapporto di G4Media del 2021, i pescatori confermavano i timori di Nicu, affermando che il dragaggio dovrebbe essere la priorità assoluta. Questa misura è anche una priorità nella Strategia integrata per lo sviluppo sostenibile del Delta del Danubio, elaborata nel 2015 dalla Banca mondiale e dal governo rumeno. All’epoca, le autorità avevano stanziato oltre 60 milioni di euro per il dragaggio dei canali, ma sono riuscite a presentare solo tre progetti per un valore di 13 milioni di euro, meno di un quarto dei fondi disponibili.

Nel 2022, il PNRR ha approvato un progetto del valore di oltre 200 milioni di lei per il disinsabbiamento del delta, ma l’ARBDD ha iniziato ad effettuare gli acquisti solo nel 2024, quando ha aggiudicato due appalti per la progettazione, gli studi di fattibilità e la gestione tecnica del progetto.

Leggi assurde e burocrazia

Nicu sostiene che cerca da anni di combattere un sistema che, invece di migliorare, peggiora le cose. “Ogni anno ci fanno presentare un altro pezzo di carta. È un lavoro enorme per noi venire a prendere i documenti in barca, lavorando zuppi d’acqua”.

Tra le proposte c’è la prospettiva di digitalizzare i documenti. Ha chiesto all’ARBDD di ridurre la burocrazia. “Mi hanno risposto: ‘Andiamo, signor Uncu, stiamo davvero salvando la foresta con due o tre alberi?”’. È stata una risposta che lo ha colpito molto.

L’anno prossimo, quando sarà il momento di presentare i documenti per l’autorizzazione, Nicu lo farà per tutti i pescatori della sua associazione, in modo che non debbano più sprecare tempo e denaro in viaggio. L’amministrazione afferma che: “Attualmente, l’ARBDD, in collaborazione con l’ANPA – l’Agenzia nazionale per la pesca e l’acquacoltura, sta attuando un progetto per digitalizzare i processi di rilascio dei documenti normativi per le attività di pesca”.

Un mercato ittico diverso

Cătălin Balaban non è e non è mai stato un pescatore. Non ha ereditato reti, non è cresciuto su una barca. Ma quando ha visto come funzionava il sistema di pesca nel Delta del Danubio, ha deciso di cambiare qualcosa. Ha finito per guidare un’associazione di pescatori a Jurilovca e, passo dopo passo, ha restituito ai pescatori ciò che era stato loro tolto: l’opportunità di guadagnarsi da vivere dignitosamente con il loro mestiere.

“Volevo davvero che non dipendessero dai depositi ittici e che potessero vendere legalmente il loro pescato”.

È partito da un principio semplice: i pescatori dovrebbero poter guadagnarsi da vivere con il loro lavoro, senza essere costretti a vendere il pescato per pochi spiccioli a un’azienda che controlla il mercato. “Sono riuscito a trovare un equilibrio, nel senso che il pescatore guadagna di più e l’acquirente paga meno”.

Ad esempio, se il mercato ittico acquista le carpe al massimo a 5 lei, Cătălin le acquista a 7,50-8 lei. Le carpe e i pesci gatto costano 15 lei al mercato ittico e 25,50 lei da Cătălin. “Mantiene basso il prezzo in modo che possiamo guadagnare di più”, dice Adrian. E quando entra nel mercato, raggiunge i 12 lei invece dei 25.

Il sistema è stato concepito in modo tale che i pescatori siano tenuti a scaricare il loro pescato solo presso un centro di prima vendita autorizzato, secondo un ordine congiunto del Ministero dell’Ambiente e del Ministero dell’Agricoltura. E questi centri sono, per la maggior parte, mercati del pesce, autorizzati annualmente con decreto ministeriale.

In sostanza, se hai un contratto con un determinato mercato ittico, è lì che devi andare. “Il proprietario del mercato ittico prendeva i tuoi documenti e li portava alla riserva, e tu, come pescatore, se volevi firmare un contratto con un altro mercato ittico, lui ti metteva da parte”, spiega Cătălin.

In realtà, il proprietario del mercato ittico era spesso anche il presidente dell’associazione dei pescatori, il che gli permetteva di controllare l’intero circuito: decideva dove dovevi sbarcare, prendeva i tuoi documenti, li registrava e ti teneva legato al suo mercato ittico per tutto l’anno. Se provavi a firmare un contratto con qualcun altro, lui lo annullava e lo sostituiva con il suo. In questo modo, i pescatori erano intrappolati in un sistema chiuso e senza reali alternative.

“La maggior parte dei rappresentanti sono proprietari di mercati ittici, quindi non è possibile avere un dialogo costruttivo perché perseguono rigorosamente i propri interessi commerciali”.

Cătălin ha provato qualcos’altro. Ha stretto un accordo con un operatore privato, SC Sat Vacanță Gura Portiței, e ha convinto la direzione a lavorare direttamente con i pescatori. Poi ha portato avanti l’iniziativa: un mercato ittico gestito dall’associazione, senza condizioni imposte dall’esterno.

Affinché un mercato ittico funzioni, è necessario un piano di autocontrollo, analisi del ghiaccio, dell’acqua, del pesce e dell’igiene. La Direzione Sanitaria Veterinaria per la Sicurezza Alimentare richiede campioni ogni tre mesi. Cătălin fa tutto il possibile. Arriva con pratiche spesse dieci centimetri per ciascuno degli 80 pescatori dell’associazione. Organizza le pratiche in ordine alfabetico, le prepara fino all’ultima virgola. Sa che se i pescatori andassero da soli, molti verrebbero respinti alla porta. La maggior parte di loro non sa scrivere, non sa quale modulo serve o quale copia manca. Quindi fa tutto lui.

Ha adattato i contratti, fatto approvare le risoluzioni, sconfitto gli avvocati che non volevano registrare le barche come imprese individuali, anche se è proprio così che si accede ai fondi europei. Ha spiegato, ha litigato, ha tenuto udienze. E ha vinto. Di tanto in tanto si lamenta del governatore.

“Abbiamo il paradiso qui sulla Terra e lo stiamo distruggendo”.

Quando si parla di ciò che potrebbe essere il Delta, il tono dei pescatori cambia. All’inizio il tono è sognante, poi arrabbiato, infine rassegnato. Descrivono i sistemi in Scozia con macchine per il ghiaccio, benzina al molo, merci acquistate con carta di credito, tutto digitale.

Qui, invece, tutto è nel caos. I canali sono insabbiati, i progetti di dragaggio rimangono sulla carta o si insabbiano di nuovo entro sei mesi. Anche così, quando vengono realizzati, almeno in parte, i pesci arrivano immediatamente e hanno un posto dove deporre le uova. “Sono comparsi il carassio e il piccolo carassio, amico. L’aspide è apparso all’improvviso a Razim. Ma che senso ha che appaiono se hanno ricominciato a pescare con gli elettrostorditori?”, chiede Adrian con amarezza.

Cătălin ritiene che il delta del Danubio e la comunità di pescatori siano in uno stato di letargia. “Siamo in acque dove non galleggiamo né affondiamo”, spiega. Ștefan, tuttavia, dice che vuole che lo Stato lo lasci in pace. “Se chiedi di più, è peggio. Lasciatemi come sono. Non voglio aiuto”, conclude cinicamente il pescatore. “Dovrebbero almeno dragare”, continua contraddicendosi. “Tra 12 anni, vieni a intervistarmi e mi troverai al mulino del riso”.

Il denaro non è più un incentivo, ma il suo amore per la natura e la comunità rimane. “Abbiamo il paradiso qui sulla Terra e lo stiamo distruggendo”, si lamenta Ștefan. Ma forse, tra tutti questi problemi, ciò che frustra di più Nicu è la mancanza di unità e coinvolgimento dei suoi compaesani, in particolare dei pescatori. Egli ritiene che i pescatori diventerebbero una forza se fossero meglio organizzati.

Guarda con invidia alla comunità di Jurilovca, dove ritiene che Balaban sia riuscito a riunire la comunità dei pescatori e che tutti agiscano all’unisono. “E lì c’era anche un sindaco del PSD”, dice Nicu. “L’affiliazione politica non conta, ciò che conta è la persona, che la persona santifichi il luogo. Chiunque volesse farlo lo faceva, non importava se provenisse dal PNL, PSD, USR, PMP…”

Al momento, tuttavia, sua moglie lo sta supplicando di rinunciare perché ritiene che lui si stia impegnando fin troppo per ottenere poco o nulla dalla comunità. In un momento di silenzio, la sua voce si addolcisce. “Scusatemi.” Poi, dopo alcuni secondi, continua. “Se la gente non capisce, io… mi dimetterò. Non può essere così. La gente deve svegliarsi. La gente non si rende conto che ciò che ha qui è un riflesso di tutti.”

Questa indagine è stata sostenuta da IJ4EU. L'International Press Institute (IPI), l'European Journalism Centre (EJC) e da Journalismfund Europe.