Moldova, il disinteresse verso le minoranze nazionali incide sulla percezione dell’UE
Il rapporto difficile tra Chișinău e le regioni di Găgăuzia e Taraclia non solo agevola la penetrazione dei messaggi del Cremlino, ma getta ombre sull’impatto dei fondi europei. Intervista a Mihai Peicov, direttore esecutivo del Centro per le iniziative civiche delle minoranze nazionali

Monumento a Lenin a Comrat, Găgăuzia © Gagarin Iurii, Shutterstock
Monumento a Lenin a Comrat, Găgăuzia © Gagarin Iurii, Shutterstock
Nel voto di fine settembre in Moldova è passato inosservato un dato di una certa rilevanza. In un Paese in cui il Partito d’Azione e Solidarietà (PAS) ha conquistato oltre il 50% dei voti, la stessa forza politica filo-europea ha raggiunto appena il 3% in Găgăuzia e il 6% in Taraclia, con l’opposizione guidata dalla coalizione di socialisti e comunisti che ha stravinto alle urne con l’80% in entrambe le regioni.
Oltre ad avere un significato politico, questo risultato riflette questioni più profonde nel rapporto tra la capitale Chișinău e le regioni dove si concentra la parte più consistente delle minoranze nazionali nel Paese. Ma non solo.
“Bruxelles deve esercitare pressioni sui suoi partner affinché collaborino con tutte le comunità locali, perché esse rappresentano la reputazione stessa dell’Unione europea in Moldova”, è l’avvertimento di Mihai Peicov, direttore esecutivo del Centro per le iniziative civiche delle minoranze nazionali (ICPMN), organizzazione pubblica per la partecipazione civica costituita da professionisti provenienti proprio da queste comunità.
In un’intervista per OBCT, Peicov spiega perché il coinvolgimento delle minoranze nazionali – dove la presa dei messaggi del Cremlino è radicata in questioni strutturali di lingua, economia e società – non è solo una questione di democrazia, ma anche di trasparenza dell’uso dei soldi dei contribuenti europei: “I fondi dell’UE destinati allo sviluppo della società civile in queste regioni vengono utilizzati da sindaci filo-russi per portare avanti la propria agenda alle spalle di Bruxelles”.
Qual è la situazione delle minoranze nazionali in Moldova?
In Moldova abbiamo l’Agenzia per le relazioni interetniche, che è un organo governativo e lavora con le minoranze nazionali. Di solito, quando si parla di minoranze nazionali, ci si riferisce a cinque gruppi principali: ucraini, gagauzi, bulgari, russi e rom.
Secondo la nostra Costituzione, tutti i cittadini sono uguali, senza distinzioni basate sulla lingua, la regione o l’etnia. Solo alla Găgăuzia, invece, è garantita l’autonomia.
L’autonomia si riferisce innanzitutto al livello linguistico e culturale, perché in questa regione la lingua ufficiale è quella gagauza, anche se la maggioranza delle persone utilizza il russo. In secondo luogo, riguarda il bilancio locale, perché le tasse riscosse in Găgăuzia rimangono sul territorio e la regione riceve supporto finanziario dallo Stato. Infine, l’autonomia garantisce un proprio parlamento e un primo ministro, noto come Bashkan.
La Găgăuzia confina con il distretto di Taraclia, centro della comunità bulgara in Moldova. In questa regione viene garantito l’insegnamento del bulgaro nelle scuole e la sua promozione nei centri culturali, ma la Taraclia non gode dell’autonomia.
Le minoranze ucraina, russa e rom vivono invece sparse in diverse zone del territorio nazionale, con proprie scuole e centri culturali.
Cosa rende la Găgăuzia un caso particolare?
I gagauzi sono un gruppo etnico turcofono, ma la loro particolarità è di essere cristiani ortodossi, storicamente originari del territorio bulgaro, e di non avere alcun legame con la Turchia.
Per ragioni storiche, hanno sempre mantenuto stretti legami con la Russia. Quando l’attuale Moldova era parte dell’Impero russo, Mosca concesse loro il territorio dove attualmente vivono e li esentò dal pagamento delle imposte. Durante il periodo sovietico i gagauzi furono tra i primi promotori della diffusione della lingua russa nel Paese.
Dopo l’ascesa al potere di Vladimir Putin a Mosca, il sentimento filorusso si è rafforzato in particolare grazie alla televisione russa controllata dal Cremlino. La maggioranza dei gagauzi non parla e non capisce la lingua ufficiale del Paese, il romeno, ma guarda solo i canali televisivi russi. Questo fattore influenza fortemente la loro percezione di ciò che accade in Moldova.
Il governo di Chișinău parla spesso di propaganda russa e di soft power del Cremlino. Ma ciò che è realmente necessario è un’azione concreta per integrare le minoranze nazionali, promuovere le loro lingue e contrastare la propaganda del Cremlino con una strategia e programmi chiari.
Qual è il principale ostacolo nel rapporto tra Chișinău e queste regioni?
Il problema principale è proprio quello linguistico. Le minoranze nazionali costituiscono il 20% della popolazione moldava e la stragrande maggioranza di loro non parla romeno, ma solo russo.
Questo è il primo motivo – ancora prima degli strumenti utilizzati – per cui i messaggi del Cremlino sono così efficaci in queste regioni.
Le autorità centrali di Chișinău non hanno una strategia per integrare le minoranze nazionali, ecco perché stiamo lavorando con l’Unione europea per svilupparne una.
Si tratta solo di una questione linguistica?
Parte tutto dalla lingua, ma ci sono anche altri fattori da considerare.
In primis, il ruolo fondamentale delle autorità locali. Soprattutto nelle aree periferiche del Paese la figura del sindaco è centrale nel modo in cui l’opinione dei cittadini si orienta. Nelle comunità in cui molte persone non capiscono il romeno ma solo il russo, il Cremlino ha una marcia in più per spingere la propria agenda facendo leva proprio sui sindaci.
Al contrario, dove i sindaci sono filoeuropei, è più semplice stimolare un confronto onesto sul sostegno che l’UE offre alle comunità locali, per esempio per la modernizzazione delle scuole, la creazione di parchi pubblici o altri progetti infrastrutturali e sociali. Da lì può emergere una discussione più profonda su argomenti delicati come le cause della guerra in Ucraina o i diritti delle persone LGBTQ+.
Un altro fattore è quello legato al disinteresse da parte delle autorità nazionali, che non discutono né comprendono le preoccupazioni dei cittadini di queste regioni, perché non vedono risultati quando interagiscono in queste aree.
È vero che le autorità di Chișinău non godono di una buona reputazione a livello locale, ma se il coinvolgimento delle minoranze nazionali inizia solo pochi mesi prima delle elezioni, non ci si può aspettare davvero risultati concreti.
Serve un lavoro costante, e soprattutto i partiti filoeuropei non possono lavorare solo con la diaspora o con le comunità già sensibilizzate all’integrazione nell’UE.
Come lavora invece il Centro per le iniziative civiche delle minoranze nazionali in queste regioni?
Prima di tutto promuoviamo l’alfabetizzazione mediatica, producendo contenuti nelle diverse lingue delle minoranze nazionali. Sempre su questo piano realizziamo programmi di promozione sia della lingua nazionale sia di quella madre, perché sempre più spesso le persone di queste comunità tendono a dimenticarla.
Inoltre, collaboriamo con i sindaci e le autorità locali su progetti infrastrutturali ed educativi, ma anche con piccole organizzazioni della società civile locale, con il governo nazionale e le istituzioni centrali per sviluppare una strategia per l’integrazione delle minoranze nazionali nel Paese.
Tutti noi proveniamo da comunità di minoranze nazionali. Io stesso dalla Taraclia, alcuni dei miei colleghi dalla Găgăuzia. Capiamo e sappiamo come parlare con le persone di questi territori, cosa dire e soprattutto come dirlo.
A volte però abbiamo problemi a lavorare con i partner statali, perché non comprendono la realtà sul campo e non fanno altro che complicare la situazione. Spesso parlano delle persone di queste regioni come se non facessero parte della Moldova.
Questo ha un impatto indiretto negativo anche sull’immagine dell’Unione europea, perché le autorità di Chișinău sono percepite come i rappresentanti non solo del governo centrale ma anche dell’UE.
E le istituzioni dell’UE come si rapportano alle minoranze nazionali in Moldova?
Noi lavoriamo a stretto contatto con la delegazione dell’UE e osserviamo che, quando riusciamo a essere regolarmente presenti in queste regioni, ci sono risultati positivi nel modo in cui l’Unione europea viene percepita dai cittadini.
Tuttavia, è sorprendente il modo in cui le istituzioni dell’UE non comprendano appieno la situazione in Moldova, anche se sono attivamente impegnate nel supportare lo sviluppo della società civile in queste regioni.
Parlo soprattutto dei motivi per cui la maggioranza delle persone di queste comunità sostenga la Russia, nonostante ricevano finanziamenti sostanziali da Bruxelles.
Un esempio concreto è quello del mio paese, Corten. Il sindaco è filorusso, ma ha ricevuto una sovvenzione da parte dell’UE per costruire una nuova scuola. Il giorno dell’inaugurazione, alla cerimonia del mattino è stata invitata solo la delegazione dell’UE. Nel pomeriggio si è tenuto invece un evento per la cittadinanza, al quale ha partecipato anche Igor Dodon [il leader del Partito Socialista e del Blocco Patriottico alle elezioni legislative, ndr], e in quell’occasione è stato fatto credere che il progetto fosse stato promosso con finanziamenti russi.
Situazioni come questa non sono un caso isolato, ma si verificano un po’ ovunque in queste regioni.
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