Mediterraneo, non c’è waterfront senza watersoul
Il Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2025 esplora il rapporto tra città e mare, tra waterfront e watersoul, affrontando temi come urbanistica, turismo e identità mediterranea. Un viaggio culturale e progettuale lungo l’Italia dei lungomari

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Via verde, Ortona - Foto F. Fiori
L’Italia è una penisola e, da almeno cent’anni, buona parte della sua costa è diventata un lungomare, una strada asfaltata, più o meno costruita, più o meno ben fatta, molto affollata almeno d’estate.
Da una ventina d’anni poi il lungomare è diventato waterfront e gli appetiti immobiliari sono lievitati esponenzialmente. Perché sul waterfront si intrecciano tutti i problemi dell’overtourism e della speculazione edilizia, sempre attuale.
Anche di questi temi, riguardanti urbanistica e sociologia, architettura ed economia si occupano progettisti e intellettuali chiamati a raccolta da Guendalina Salimei, curatrice del Padiglione Italia alla Biennale Architettura di Venezia, intitolato Terrae Aquae. L’Italia e l’Intelligenza del Mare, visitabile fino al 23 novembre 2025.
L’intero progetto è illustrato dall’omonimo catalogo, suddiviso in tre volumi, edito da Electa che contiene le riflessioni di Laura Canali, Lucio Caracciolo, Franco Farinelli, Macrina Marilena Maffei, Anna Lambertini, Nadia Pinardi, Rosario Pavia e altri. Ci sono poi i progetti architettonici, urbanistici e culturali selezionati a seguito della Call for Visions and Projects, i saggi fotografici, le incursioni artistiche, gli esiti della ricerca e altre suggestioni culturali. Un catalogo concepito come un portolano di navigazione capace di orientare il lettore nella scoperta delle esperienze progettuali collettive, delle tematiche e degli esiti di confronti e dibattiti.
Differenti e molto variegate le proposte, in parte anche già realizzate, riguardanti i waterfront. Personalmente, come ho scritto nel catalogo, sono convinto che non ci sia waterfront senza watersoul, perché non c’è artifizio sull’acqua senz’anima, e da anni canto il mare che bagna le nostre città. Il nostro mare quotidiano che regala emozioni personali e collettive, carnali e spirituali.
Il mare è una foresta blu e la città è un’eutopia che profuma di salmastro. Non c’è waterfront senza watersoul, non c’è artifizio sull’acqua senz’anima, canto, racconto dell’acqua. Città da costruirsi con generosità, da viversi in libertà; rivendicando e praticando la gratuità del mare. Di quel Mediterraneo che è stato e continua a essere crogiuolo di nature e crocevia di culture. Un Mediurbaneo da almeno duemila anni: pontos, dicevano i greci, tra città di prima grandezza e paesi di rara bellezza, ma anche tra villaggi d’eterna povertà e periferie di sanguinaria violenza.
Città, paesi, villaggi, periferie abitate da uomini che, consciamente o inconsciamente, godono comunque ogni giorno di quel mare che offre sollievo e speranza. Il Mediterraneo è una divinità sincretica e il mediterraneo è un uomo meticcio.
Preghiamo il Mediterraneo guardandolo e respirandolo, camminandolo e nuotandolo. Amiamo il mediterraneo che non è etnia ma genia, variegata e riottosa, volubile come il vento, mutevole come le onde. La koinè mediterranea, con le sue luci e le sue ombre, è un valore sovranazionale e sovraculturale imprescindibile.
Si scrive spesso, forse con inevitabile retorica, che l’Italia ha 8.000 chilometri di coste, omettendo o dimenticando che almeno la metà sono lungomari. Da est a ovest, da Muggia a Ventimiglia, isole piccole e grandi comprese, le coste sono pavimentate o battute fin dall’antichità, ferrate dalla seconda metà dell’Ottocento, asfaltate o cementate dal Novecento. L’Italia è un lungomare, parola che dal parlato entra nel vocabolario italiano negli anni Trenta del Novecento, quando per legge viene modernizzata anche la toponomastica.
Ancora oggi le rive sono percorse da sentieri, crêuze, mulattiere, che vanno camminate e salvaguardate. Ma la stragrande maggioranza delle persone vive la relazione con il mare muovendosi o affacciandosi, su o da un lungomare, luogo iconico della relazione mare-città.
Anch’io sono nato e cresciuto su un lungomare e l’ho attraversato, prima tenuto per mano da mia madre, poi da solo o con gli amici e, in tempi recenti, tenendo per mano i miei figli. Io, loro, noi attraversiamo un lungomare per nuotare, remare, alzare una vela e mettere la prua verso il largo. Per vivere e vedere la città dal largo, da una debita distanza che è anche un’utile inversione prospettica.
Perché se in generale per ascoltare il cuore della città è necessario passeggiare, per ascoltare il cuore della città di mare è utile nuotare, remare e veleggiare. Le onde e i venti sono numi tutelari a cui rendere omaggio, al pari di terre e nuvole. La koinè mediterranea non va solo studiata, ma rinnovata nella frequentazione del mare, in un corpo a corpo coll’acquasalata. Un pensiero meridiano, ancor più urgente oggi, va ritrovato nelle testimonianze e rilanciato nelle abitudini, in una pratica mediterranea quotidiana.
Nel 1983 Italo Calvino, che alla speculazione edilizia ha dedicato pagine e pagine, denuncia la difficoltà di vivere la città. Ma, per quelle che s’affacciano sul mare, c’è una straordinaria opportunità in più per ricostruire una relazione d’amore con le pietre e le storie, le strade e le genti, le piazze e le culture. Perché la nostra preziosa foresta bluci regala sempre un balsamo che profuma di salso, un elisir che sa d’acquamarina.
Noi oggi nel 2025, come Marco Polo, ogni giorno passeggiamo su un lungomare o su un molo attendendo un soffio che liberi l’orizzonte, lasciando l’aria secca e diafana, “svelando città lontane”.
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