Il caso NIS: la Serbia tra sanzioni e dilemmi

La principale industria petrolifera serba, NIS, si trova sotto sanzioni americane a causa della sua proprietà, per oltre il 50% in mano russa. La situazione è molto delicata: con la prevista chisura della raffineria di Pančevo, l’unica del paese, si temono ricadute economiche e geopolitiche

08/12/2025, Giorgio Russo
Treno merci con cisterne della NIS, Belgrado Serbia © BalkansCat/Shutterstock

Treno merci con cisterne della NIS, Belgrado Serbia © BalkansCat/Shutterstock

Treno merci con cisterne della NIS, Belgrado Serbia © BalkansCat/Shutterstock

Dopo mesi di avvertimenti, speculazioni politiche e negoziati, gli Stati Uniti ad inizio ottobre hanno permesso che le sanzioni contro la NIS (Nafta Industrija Srbije), la principale impresa petrolifera serba, entrassero in vigore. L’entrata in vigore delle sanzioni è stata comunicata dal presidente Vučić con un drammatico annuncio sulla TV nazionale ad inizio ottobre.

L’annuncio di Vučić ha aperto una fase di incertezza in tutta la Serbia, incertezza che si è acuita ad inizio dicembre quando dagli Stati Uniti è giunta la risposta negativa all’ennesima richiesta di dilazione da parte serba. A questo punto, molto probabilmente sarà inevitabile la chiusura della raffineria di Pančevo, l’unica del paese, e molti temono una spirale inflattiva che faccia aumentare ulteriormente i prezzi.

Una crisi che covava da tempo

Le sanzioni introdotte da parte del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti sono dirette a tutte le entità collegate ai settori dell’economia russa soggetti a sanzioni, l’Ufficio per il Controllo delle Attività Estere (OFAC) è quello incaricato sia di redigere la lista delle attività sottoposte a sanzioni, sia di garantire sospensioni temporanee a tali provvedimenti a chi ne faccia richiesta motivata.

La NIS è la principale industria in Serbia per la lavorazione di derivati dal petrolio e gas ed oltre a gestire la raffineria di Pančevo, possiede una importante rete di distribuzione di carburanti nell’intera regione. Ma la NIS ha da tempo cessato di essere una compagnia serba. La quota di maggioranza infatti è detenuta da Gazprom Neft in seguito ad una cessione avvenuta nel 2008, sotto l’allora governo del partito democratico. Da allora Gazprom Neft ne controlla quasi il 45% di NIS, mentre Gazprom ne controlla l’11%.

Grazie a questo, l’azienda è diventata uno dei principali strumenti di influenza politica della Russia in Serbia. Per anni il greggio arrivava in Serbia grazie all’oleodotto croato JANAF, veniva processato a Pančevo e poi distribuito in tutta la Serbia.

La NIS è quindi comparsa sui radar dell’OFAC già a partire dal 2022, quando è iniziata l’invasione su larga scala dell’Ucraina. Fino ad ottobre di quest’anno la compagnia ha regolarmente beneficiato di esenzioni dalle sanzioni e OFAC ha assegnato delle licenze temporanee consentendo alla NIS di operare, ma a partire da ottobre di quest’anno ciò non è stato più possibile. Quando è stato chiaro che la questione non era più differibile, la Serbia si è messa all’opera per cercare una soluzione alla questione della proprietà dell’azienda petrolifera, ma i tempi erano molto stretti.

Il 25 novembre il governo serbo aveva adottato una conclusione che invitava la Russia a trovare un acquirente per la propria quota, altrimenti la Serbia avrebbe assunto il controllo della compagnia ed offerto alla controparte russa il miglior prezzo possibile.

Contemporaneamente la Serbia aveva chiesto all’OFAC di poter continuare ad operare temporaneamente, ma la risposta, giunta il 2 dicembre è stata negativa. Di conseguenza scatta la possibilità che la Serbia assuma il controllo della compagnia e in tal senso il Parlamento ha immediatamente stanziato le risorse necessarie.

Conseguenze

Già ad ottobre, in seguito all’entrata in vigore delle sanzioni, vi sono state delle conseguenze in Serbia: fin da subito i distributori di benzina della NIS hanno smesso di accettare pagamenti tramite carte di credito, l’oleodotto croato JANAF, che fornisce il petrolio alla Serbia ha smesso di far passere il petrolio e a poco a poco la raffineria di Pančevo ha iniziato a ridurre le proprie operazioni.

Questa situazione è durata fino a martedì 2 dicembre, quando come comunicato dalla NIS stessa, la raffineria ha iniziato le procedure per interrompere la produzione, cosa che ha destato parecchia preoccupazione tra gli oltre 1.400 lavoratori della raffineria, per l’intera cittadina di Pančevo e per gli oltre 13 mila dipendenti della NIS.

Mentre il paese sembra avere abbastanza riserve di carburante e ha aumentato le importazioni, la rete della NIS, circa il 48% dell’intero sistema di distribuzionee in Serbia, non sarà più disponibile e i cittadini saranno quindi costretti a rivolgersi ad altri distributori. Per quanto riguarda gli altri combustibili, il presidente Vučić ha rassicurato il paese dicendo che le scorte sono sufficienti fino alla fine di gennaio.

Si teme che la situazione possa far ulteriormente aumentare i prezzi dei carburanti in Serbia che sono già decisamente elevati se confrontati al reddito medio (che attualmente è di 109.147 dinari, circa 930 Euro netti). La benzina senza piombo costa 181 dinari al litro, circa 1,54 Euro, mentre nella vicina Croazia il prezzo è di 1,45 Euro a litro.

L’aumento dei prezzi dei carburanti porterebbe ad una crescita dell’inflazione nell’intero paese e vi sarebbero anche ripercussioni sulla logistica e il sistema finanziario della Serbia che sarebbe costretta ad importare il 100% del carburante.

Gli scenari possibili

I funzionari statunitensi hanno comunicato che le sanzioni non verrebbero più applicate qualora venisse rimossa la partecipazione russa nella NIS.

Questo significa che le soluzioni per il governo serbo sono limitate, dato che si deve trovare un acquirente per la quota detenuta dalle aziende russe e il tutto deve avvenire entro tempi relativamente brevi.

La situazione è molto fluida: solo pochi giorni fa, la Gazprom aveva lasciato intendere che avrebbe potuto esser intenzionata a cedere la loro quota, ma nelle più recenti dichiarazioni del presidente Vučić, la controparte russa non sembra esser disposta alla vendita.

Se non dovesse esserci una soluzione in tempi brevi, la Serbia potrebbe esser costretta ad introdurre delle misure più drastiche come la nazionalizzazione dell’impresa o addirittura dichiararne la bancarotta. Soluzioni che Vučić stesso vorrebbe scongiurare dato che in questo modo si metterebbero a repentaglio i rapporti con la Russia. Inoltre, c’è anche la possibilità che l’indennizzo dovuto in seguito alla nazionalizzazione venga “congelato” e non sia trasferito immediatamente in Russia come risultato delle sanzioni.

Nel frattempo, mentre si comincia a parlare di possibile acquirenti (alcuni europei, alcuni asiatici), è la vicina Ungheria, ancora una volta, che si dimostra pronta a venire in soccorso della Serbia: la compagnia ungherese MOL, operante anch’essa sul mercato serbo con la propria rete di distribuzione come comunicato dal ministro degli Esteri ungherese Sijarto, è pronta ad aumentare di una volta e mezza le proprie esportazioni in Serbia per non lasciare il paese senza benzina.

Le reazioni

Le reazioni alla situazione della NIS riflettono l’attuale polarizzazione della società serba: i media affiliati al governo infatti presentano la situazione come il risultato delle tensioni mondiali e in queste tensioni la Serbia è sostanzialmente un danno collaterale in un gioco tra grandi potenze, e inoltre che il governo, e soprattutto il presidente serbo, sono all’opera per rimediare alla situazione.

Osservatori indipendenti però fanno notare che la situazione era nota da parecchio tempo e che ciò nonostante non si aveva provveduto a diversificare gli approvvigionamenti.

Conseguenze geopolitiche

La crisi della NIS ha anche delle chiare conseguenze geopolitiche: in ogni caso l’estromissione delle compagnie russe diminuirebbe l’influenza di Mosca sulla Serbia e ridurrebbe la possibilità della Serbia di contare sull’appoggio di Mosca nei momenti critici.

I rapporti si erano già deteriorati qualche settimana fa, quando Maria Zakharova aveva sarcasticamente criticato il presidente Vučić sulla questione delle munizioni fornite alle forze ucraine: “Vučić dice una cosa a Mosca e un’altra in altri paesi […] mi chiedo se sia la stessa persona”.

In gioco, oltre alla NIS, c’è anche il rinnovo del contratto per la fornitura di gas alla Serbia e a breve scatteranno le sanzioni alla Lukoil, la seconda compagnia di carburanti in Serbia. Kiril Petkov, l’ex primo ministro della Bulgaria – intervenuto alla Belgrade Security Conference ed intervistato dall’emittente N1 – , sulla base dell’esperienza del suo paese, che attraversa difficoltà simili, ha sostenuto che la soluzione alla crisi è estremamente chiara: la Serbia dovrebbe prendere il controllo della NIS e metterla all’asta al miglior acquirente.

Le interferenze russe e la corruzione secondo Petkov hanno portato ad un aumento dei prezzi dei carburanti, che sono più alti in Serbia che nelle vicine Bulgaria e Croazia. La soluzione di Petkov però comprometterebbe ancor di più i rapporti tra Mosca e l’establishment serbo, e in un momento così delicato come quello attuale sembra una mossa troppo azzardata.