Garganide, con leggerezza verso oriente

Seconda puntata di un ciclo di quattro racconti attraverso il Gargano. Un diario di viaggio in bicicletta sulle tracce e sulle immagini di eroi e dee, sante e santi, di ieri e di oggi. In questo secondo episodio, procediamo verso est da Lesina a Vieste

05/12/2025, Fabio Fiori
Vista su Peschici © Fabio Fiori

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Vista su Peschici © Fabio Fiori

Oggi tappa impegnativa, per chilometraggio e dislivello: 120 km e 1.000 metri. Impegnativa almeno per me, malgrado viaggi con bici relativamente leggera, 17,5 kg a pieno carico, compresi 1,5 litri d’acqua. Nelle uniche due piccole borse, del manubrio e del sottosella, ho solo un cambio sportivo, un asciugamano, una tuta, un piumino, un paio di magliette, un paio di ciabatte, un libro, un quaderno, una mappa.

Questa volta nulla per il campeggio, perché dormo in camere che trovo di giorno in giorno. A piedi come in bici, un carico minimo è fondamentale, soprattutto con gli anni che passano. La leggerezza è tutto! del corpo, del bagaglio, della mente. “Ritenendo che troppi bagagli siano un impedimento nel viaggio, ho abbandonato ogni cosa, tranne una veste di carta per la notte” e poco altro, scrive nel Seicento il poeta viandante giapponese Matsuo Bashō, che desiderava solo un buon rifugio per la notte, una cena frugale e sandali comodi.

Da Lesina alla Grotta di San Michele

Per me, prima tappa mattutina, con aria ancora pungente e un sole che occhieggia tra le nubi, da Lesina alla Chiesa di Santa Maria di Devia. Lì sul Monte d’Elio antiche genti d’incerta origine fondarono la città di Devia, poi nel Medioevo popolata da slavi. Lì oggi c’è o, per meglio dire, ci sarebbe un Parco Archeologico, punteggiato da ulivi secolari.

Cancello socchiuso, entro alla chetichella e faccio una passeggiata solitaria da gran signore, guardando la sottostante laguna, sognando le isole sfumate all’orizzonte, consacrate a un eroe acheo: Diomede. Colui che portò la civiltà greca in Adriatico, colui che a San Nicola venne sepolto secondo la leggenda e che i suoi marinai continuano a piangere, reincarnati delle berte, come racconta Ovidio. Rimarrei ore sul gradino della chiesa a leggere e scrivere, guardare e respirare, ma strada e salita a venire non me lo permettono.

Seconda tappa alla Grotta di San Michele, vicino a Cagnano Varano, dopo aver circumpedalato sul versante di terra occidentale parte dell’omonimo lago che invero è una laguna, d’origine e orografia completamente diversa da quella di Lesina. Larga, relativamente profonda e circondata da colline quella di Varano, allungata, poco profonda e circondata da pianure quella di Lesina.

Entrambe d’acqua salata, di passati pescherecci importanti, di futuri incerti che chiedono studio e impegno, lavorativo ed economico. La sosta dura pochi minuti, il tempo di dare un’occhiata all’altare del santo e di rimanere affascinato dalle impronte dei pellegrini, incise nella roccia.

Mani e piedi sono sempre incisioni catartiche per il viandante, che siano rupestri, medievali, moderne o recenti. Perché al contempo liberatorie delle emozioni del viaggio e affratellanti nelle fatiche dei viaggiatori. Mani e piedi che permettono di vedere e pensare, cammin facendo. Ma devo andare! chilometri molti, luce poca. Quindi mani sul manubrio e piedi sui pedali.

Rodi garganico, Peschici, fino a Vieste

Una trentina di chilometri per arrivare a Rodi, pedalando per lunghi tratti al fianco della Ferrovia Garganica, in parte ammodernata ma con pochissime corse. Rari quindi i treni che incrocio, su un percorso e con degli affacci che al contrario meriterebbero un andirivieni frequente, proprio per vivere quell’esperienza ferroviariografica che regala il treno, soprattutto in Italia, dove mari e monti, laghi e colline, regalano al viaggio una vivificante diversità.

Arrivo a Rodi tardi, nel senso che alle 12:00 chiudono le porte della Chiesa Santuario Madonna della Libera, dove avrei voluto vedere la sua venerata icona bizantina. Secondo la tradizione è stata testimone della caduta di Costantinopoli nel 1453 e quando la galea veneziana su cui navigava, dopo essere stata messa in salvo, si fermò proprio nel porto di Rodi, “sull’ali dei cherubini” venne portata a terra.

Chiesa chiusa, purtroppo, e così m’accontento di un panino vista mare, per fortuna. Dal centro di Rodi, costruito su una roccia circondata da acque e sabbie, la strada scende per correre ancora al fianco della ferrovia, in direzione nordest, verso Peschici. In frazione San Menaio, un nuovo bel murales di Giuseppe Guida mi fa scoprire che Andrea Pazienza, il mitico Paz per chi come me ha frequentato la Bologna universitaria degli anni Ottanta, d’estate bazzicava da queste parti. E io oggi scendendo per pochi minuti dalla bici, come il Rosso dalla moto, respirando il mare dico: “Questo posto ha qualcosa di magico”.

Un murales a San Menaio © Fabio Fiori

Un murales a San Menaio © Fabio Fiori

Anche a Peschici mi concedo una breve pausa caffè e qualche passo dentro le mura, fino al piccolo belvedere del Castello. Giusto il tempo per vedere spettacolari cabrate dei rondoni pallidi che, a differenza di quelli comuni che ripartono per l’Africa già a fine luglio, impreziosiscono con le loro danze aree i cieli garganici fino alla fine d’ottobre. La vecchia strada per Vieste è un saliscendi molto teatrale, meno trafficata, con vista su trabucchi e torri, su baie e spiagge che l’autunno offre nella loro semideserta bellezza.

Ma attenzione! ciò che fuggo, gas e rombi d’auto, m’attende in gran pompa a Vieste! invasa in questo pomeriggio prefestivo di metà ottobre da un circo novecentesco di macchine da rally e pubblico festante. “Che la dea del viandante, se ne esiste una, liberi il Gargano da rumorose e inquinanti isterie motoristiche”, m’appunto a pagina 67 del mio pellegrinaggio in oriente, bevendo una birretta ghiacciata sulle panchine della Marina, nel buio che ammanta i colori, nel lampeggio del Faro di Sant’Eufemia che regala atmosfere d’altomare.

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