Due città, un unico mare

Due città, due storie sulle sponde del Mediterraneo. "Il destino del mare" ci porta alla scoperta di Napoli e Venezia, del loro rapporto intimo con la geografia delle sponde e delle onde. Un viaggio nel tempo, alla ricerca di quello che il mare unisce, contro ossessioni identitarie

14/08/2025, Fabio Fiori

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Prua e poppa di due gondole - Foto F. Fiori

Le città nascono e crescono, qualche volta decrescono o addirittura muoiono, in relazione con le geografie che sono le tavole dove l’uomo scrive la storia. Città di pianura, collina o montagna, di fiume, lago o mare, comunque indissolubilmente legate all’orografia e all’idrografia. Città che diventano icone di una relazione umana con la geografia, città che hanno un destino geografico.

Città da indagare ed esplorare, nella storia di ieri e nello spazio di oggi, per immaginare l’evoluzione di domani. Perché immaginare è importante come programmare, soprattutto in questa temperie tecnologica ed economica, con inimmaginabili conseguenze sociali e politiche. Avere consapevolezza del proprio destino non significa accettarlo passivamente, anzi aiuta a destinare le proprie energie e idealità, ad agire nello spazio e nel tempo, individualmente e collettivamente.

Perciò il libro Egidio Ivetic e Luigi Mascilli Migliorini, “Il destino del mare. Napoli e Venezia” (Il Mulino, pp.176 , 16 euro), non è solo un’agile ricostruzione storica delle vicende di queste due città marinare, per altro molto lontane non solo geograficamente, ma diventa anche un utile strumento immaginifico. Un libro bipartito, dedicato a due città-porto, figlie “di quella maniera dichiaratamente plurale con la quale, tra isole e penisole, golfi e promontori si presenta il Mediterraneo, anzi i Mediterranei, come oggi si usa dire immaginando, tuttavia, spesso, che queste differenze separino, mentre al contrario, come è il caso di queste due città, esse avvicinano” (pag. 8).

Il destino del mare. Napoli e Venezia
Egidio Ivetic e Luigi Mascilli Migliorini
Il Mulino

La lettura di questo libro è un invito a “salire su una macchina del tempo, su uno di quegli arnesi spesso cercati e quasi sempre introvabili che permettono di viaggiare nelle stagioni della storia press’a poco con la stessa disinvoltura con cui si può viaggiare nello spazio”(pag. 7). Leggere la differenza come carattere italiano e, più in generale mediterraneo, per contrastare pericolose e dilaganti ossessioni identitarie (Pag. 10), a partire dalla storia di due città che hanno avuto il mare nel loro destino.

Questo viaggio mediterraneo parte da Napoli, città antichissima, di mitologica frequentazione sirenica a partire da quella Partenope che nel suo golfo decise di prendere dimora. Voglio precisare che per chi viene dal mare, ancora oggi, in Mediterraneo non c’è golfo più bello, affascinante, misterico. Capri, Ischia e Procida, sono eroi in forma d’isola che lo presidiano.

Vesuvio è il dio maestoso da venerare e temere. Un teatro divino dove si svolse il dramma di un amore irrisolto, quello di Partenope per Odisseo. Lì inascoltata la sirena decise di darsi la morte tra le onde che portarono il suo corpo sulla spiaggia di Chiatamone, nel cuore dell’odierna Napoli. “Della melanconia di un amore non corrisposto e di un canto senza risposte il mare di Napoli e la città conservano, nei secoli, anzi nei millenni, una traccia profonda”(Pag. 17).

Dal mito alla storia, dalla Partenope odissiaca a quella urbana, il cui primo nucleo si costituisce introno al 720 a.C. in quell’area che oggi prende il nome di Pizzofalcone. Secoli, commerci, battaglie, distruzioni e ricostruzioni seguirono fino alla fondazione negli stessi luoghi di Neapolis. Indigeni, cumani, greci, romani, goti, bizantini si susseguirono. Divenne poi Golfo dei Vichinghi, riprendendo il titolo di un capitolo, con la “bella monarchia” di normanni e svevi, a partire dall’XI secolo (pag. 39).

Con attenzione e sapienza Mascilli Migliorini sintetizza secoli di storia ricchissima e intricatissima in poche pagine, fino ad arrivare alla Napoli di Enrico Caruso, tra Ottocento e Novecento, e di Anna Maria Ortese che nel 1953 dà alle stampe “Il mare non bagna Napoli”, anni durissimi in cui Napoli gira le spalle al mare per trovare la propria verità guardando la “scarnificata vita dei vicoli che dal mare si arrampicano verso le colline di una città verticale”, quella di chi senza scrupoli ha messo “Le mani sulla città”, riprendendo invece il titolo del film denuncia sulla speculazione edilizia di Francesco Rosi, del 1963.

Da Napoli a Venezia, vista da un finestrino d’aereo in atterraggio all’aeroporto Marco Polo da Egidio Ivetic che descrive la città introdotta “dallo specchio lagunare da ovunque vi si arrivi, comprese le bocche di Lido, dopo una navigazione. Uno specchio, termine adatto, che non è mare ovviamente, ma uno strato sottilissimo d’acqua salmastra” (Pag 97).

Inevitabilmente viene alla mente lo specchio del mare di Joseph Conrad, quello in cui si riflette la storia dei marinai, uno specchio del mare dove si riflette la storia di “Venezia ormai Venezia, diventata importante dopo il Mille”, quando incomincerà ad aggiustare il racconto delle sue origini, elaborando la propria storia, la propria identità, la propria gloria, “attraverso un gioco di invenzioni, convinzioni e autoinganni” (Pag. 98).

Necessità doverose per quella che diventerà la regina dell’Adriatico e del Mediterraneo orientale, in una progressione impressionante che ne fece la città incredibile e scintillante che ancora oggi ammalia lo straniero.

Perfetto quindi il titolo dell’ultimo capitolo, “Il monumento e la metafisica” in cui Ivetic descrive in poche pagine la storia recente a partire dal 1917, l’anno in cui nasce Porto Marghera. Nel secondo dopoguerra poi l’Adriatico diventa frontiera tra ovest ed est e ovest, mentre sulle sue rive esplode il fenomeno turistico e, soprattutto in Itаlia, la conseguente massiccia urbanizzazione.

Tutto accelera e cambia ancora dopo il 1989 e per Ivetic “Venezia anticipa quella che sarà la sorte dell’Italia tutta entro il 2050: una grande bellezza, unica al mondo, svuotata della sua gente e della sua cultura”.

No! vogliamo, combattiamo, pratichiamo un’altra Venezia, un’altra Italia, al fianco dei nostri figli e dei nostri nipoti che sì in gioventù d’estate fanno e faranno i camerieri e i bagnini, mestieri per altro nobilissimo e gaudente! ma in tutte le altre stagioni studieranno, per poi lavorare per rinnovare l’economia e la cultura di un paese cosmopolita, libertario, ecologico e magari anche anticonsumista, continuando a nuotare, remare e veleggiare in un mare che è la nostra foresta blu.