David Albahari, scrivere ai confini del silenzio

Nel giorno della morte dello scrittore David Albahari, avvenuta esattamente due anni fa, il nostro Božidar Stanišić rende omaggio al grande letterato serbo ricordando la sua amicizia con Mihajlo Pantić e l’importante volume che quest’ultimo gli ha dedicato

30/07/2025, Božidar Stanišić

David-Albahari-scrivere-ai-confini-del-silenzio

Mihajlo Pantić e David Albahari – Lake Lousie Canadian Rocky Mountains, 2000 (archivio privato di Pantić)

Esattamente due anni fa si spegneva a Belgrado David Albahari (1948 – 2023), narratore, romanziere e saggista serbo, jugoslavo ed europeo. I suoi libri sono stati tradotti in una ventina di lingue, tra cui anche l’italiano.

La diffusione delle opere di Albahari in Italia inizia nel lontano 1989 con la pubblicazione dei sette titoli [1] per i tipi della piccola ma raffinata casa editrice Hefti; prosegue grazie alla sensibilità dell’editore Besa per gli scrittori dell’Altra Europa, e poi con un progetto più ampio della casa editrice Zandonai, che continuiamo a rimpiangere. Prima di chiudere i battenti, Zandonai ha pubblicato quattro opere di Albahari (tradotte da Alice Parmeggiani, che ha curato anche una traduzione del romanzo Gec i Majer per Einaudi). Dal 2012 – silenzio editoriale.

Albahari di Mihajlo Pantić? Il libro, come si legge in una nota dell’autore, [2] è “composto da testi di varia natura, scritti nell’arco di quarant’anni” con “minime correzioni stilistiche e armonizzazione della struttura temporale”, e offre uno sguardo tutt’altro che accademico sulla produzione letteraria di Albahari.

Albahari
Mihajlo Pantić
Arhipelag

Nonostante la complessità della sua prosa, Albahari continua ad essere letto. Avendo probabilmente a mente questo fatto, con il suo libro – un autentico mosaico letterario dedicato all’amico scrittore – Pantić si rivolge ad una platea più ampia di lettori. In primis a quelli ancora interessati alle pratiche di scrittura e ai fatti biografici. Albahari soddisferà la loro curiosità, spero anche quella dei sacerdoti letterari (scrittori, poeti e altri animali, per parafrasare il titolo di una raccolta di racconti di Pantić).

La struttura di Albahari – un mosaico di venti capitoli – è stata realizzata con grande maestria, partendo da una lunga conversazione tra Pantić e Albahari (un libro nel libro sui principi estetici del grande scrittore) per concludersi una panoramica delle opinioni sulle opere di Albahari, passando per i saggi, le recensioni, i ricordi personali e un’interessante conversazione di Pantić con l’autore canadese George Melnyk.

Chiunque abbia una minima conoscenza della produzione letteraria e del percorso esistenziale di David Albahari, non potrà che constatare che in Serbia e nell’intera regione ex jugoslava non c’è nessuno di più qualificato di Mihajlo Pantić per rendere un omaggio letterario ad Albahari – espressione di una profonda lealtà all’amico, frutto di una lettura completa della sua opera.

Il primo incontro, che poi si è trasformato in una lunga amicizia e collaborazione, risale al 1981, quando Pantić, da studente, propose un suo racconto – riprendendo il titolo di una canzone dei Rolling Stones – alla rivista Književna reč diretta da Albahari. “Sapevo che David difendeva anche quell’arte, che all’epoca non era ancora pienamente accettata. Gli scrittori più vecchi di lui percepivano ogni intreccio tra letteratura e rock ‘n’ roll come qualcosa di strano e insolito e guardavano quella rivista con molto sospetto. Pensavo, anzi ero sicuro di essermi rivolto alla persona giusta nel posto giusto, e non ho sbagliato”.

Così è nata un’amicizia.

“Quando, all’inizio degli anni ‘90, aveva deciso di trasferirsi in Canada, in un periodo segnato dal crollo della vecchia società, dalla guerra e dalla dissoluzione dello stato jugoslavo, sapevo che, con la sua partenza, si sarebbe concluso anche un capitolo della mia vita che con un po’ di sentimentalismo potrei definire la mia giovinezza letteraria. Pur essendo stato rattristato dalla decisione di Albahari di andarsene, la sua partenza, paradossalmente, aveva reso ancora più profonda la nostra amicizia”.

Ho vissuto Albahari anche come una sorta di lungo saggio-racconto documentario. Merita di essere tradotto, almeno in inglese, per vari motivi oggettivi. Proponendovi alcuni frammenti tratti dal libro di Pantić, concludo questo articolo che però non è una recensione, perché una vera recensione di un’opera così complessa – che ripercorre l’intera produzione letteraria di Albahari, dalla raccolta di racconti Porodično vreme [Tempo di famiglia, 1973] al romanzo Pogovor [Postfazione, 2021] – richiederebbe molto più spazio. Giacché ho menzionato Pogovor: Albahari ha dettato la sua ultima opera. Lo scrittore che amava Kafka, Faulkner e Bernhard ha vissuto la Parola fino all’ultimo atomo delle sue forze.

David Albahari e Mihajlo Pantić – Radium Hot Springs British Columbia, 2000 (archivio privato Pantić )

David Albahari e Mihajlo Pantić – Radium Hot Springs British Columbia, 2000 (archivio privato Pantić )

Frammenti tratti dal libro Albahari di Mihajlo Pantić

Sono cresciuto in una casa in cui i libri hanno sempre occupato un posto speciale. Sia mio padre che mia madre ci hanno incoraggiato ad amare la lettura. I regali di compleanno erano sempre libri, di altro non se ne parlava nemmeno. Mio padre ha comprato a me e a mia sorella ogni nuova edizione dei libri per ragazzi pubblicati nelle migliori collane, come Lastavica di Sarajevo, e la casa era piena di edizioni di libri per bambini pubblicati prima della guerra nelle collane Zlatna knjiga e Kadok. Eravamo abbonati alla rivista per bambini Zmaj e ho partecipato regolarmente ai loro concorsi inviando i miei “primi lavori” Ancora oggi da qualche parte conservo i diplomi incorniciati, anche i libri di Branko Ćopić e Mira Alečković che ho ricevuto come premio. Ero particolarmente orgoglioso di quei libri perché erano autografati. Però il mio vero avvicinamento alla scrittura risale agli anni liceali, quando anche i miei orizzonti letterari hanno cominciato ad ampliarsi. Anche la mia fascinazione per William Faulkner è iniziata in quel periodo, una fascinazione rimasta viva per molti anni (come emerge in particolare dai miei racconti raccolti nel secondo volume del Tempo di famiglia). Aggiungo en passant, terminati gli studi liceali, volevo studiare biologia, ma non sono stato ammesso, quindi mi sono iscritto ad un corso di lingua e letteratura inglese all’Istituto di pedagogia, e questo evento fortuito ha segnato il mio destino. In quel periodo già scrivevo intensamente, non tanto racconti quanto poesie. Portavo i capelli lunghi e mi sentivo un ribelle. Era la fine degli anni ’60. Non sapevo nulla di come funzionasse il mondo letterario, però fatalità ha voluto che mio padre conoscesse una persona che ne sapeva qualcosa, così un giorno sono andato alla redazione di Mladost con un mucchio di racconti e poesie.

David Albahari

 

David Albahari vive tra due mondi e appartiene ad entrambi. Il primo è il mondo europeo, il secondo è il Canada. Nel primo è una personalità nota, nel secondo è quasi sconosciuto. In Canada, il suo nome è noto solo ai pochi frequentatori del mondo letterario. Perché? Com’è possibile che uno scrittore che gode di tale reputazione sia così invisibile nel luogo dove vive da anni? È colpa nostra o sua? Lui afferma: “Non ho mai avuto la sensazione di vivere in esilio, a prescindere dal luogo in cui mi trovavo”. Albahari si autodefinisce uno scrittore serbo-canadese-ebreo: “Sono serbo perché scrivo in serbo, canadese perché vivo in Canada ed ebreo perché sono quello che sono”. Tuttavia, è perfettamente consapevole che il pubblico letterario lo riduce ad una sola identità: “In Germania c’è un’ossessione per il Canada, quindi il pubblico tedesco pensa che io sia canadese. In Serbia sono uno scrittore serbo che vive in Canada, mentre a Calgary sono accettato come scrittore canadese e mi sento parte integrante di quella famiglia”.

George Melnyk

 

Nei primi venticinque anni del suo percorso letterario, sul finire del secolo scorso, David Albahari si è guadagnato la reputazione di uno scrittore di racconti brevi interessante e, in una certa misura, provocatorio e influente, interessato soprattutto ad esplorare la (im)potenza espressiva del linguaggio e a trovare una forma letteraria che corrispondesse alla sua immaginazione e concezione del mondo. In quel periodo, Albahari sviluppa la sua vocazione narrativa, continuando assiduamente a scrivere racconti, e pur essendosi successivamente concentrato sul romanzo, è sempre rimasto uno scrittore di racconti. Albahari appartiene a quella categoria di romanzieri che in sostanza sono narratori, scrittori di prose brevi, racconti in miniatura che ad un certo punto, acquisendo lunghezza narrativa, policentricità e fluidità, diventano romanzi. Muovendosi nel racconto breve, ha sviluppato una serie di soluzioni narrative che hanno reso il suo stile peculiare e riconoscibile, costruendo una propria poetica in dialogo con quella degli scrittori le cui opere ha tradotto, e va ricordato che ha tradotto un’intera biblioteca di prose, principalmente dell’area anglosassone. Poi, sulla scia degli eventi storici, è avvenuta una svolta. Dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione della Jugoslavia, David Albahari si è trasferito in Canada, e questa esperienza ha influenzato in modo significativo la sua nuova trasformazione letteraria, non tanto dal punto di vista linguistico quanto da quello formale e tematico.

A prescindere dagli argomenti affrontati e dalle trasformazioni compiute nei suoi racconti – anche se solitamente incarna quella narrazione in prima persona che prende le sembianze di un mezzo di mediazione dei dettagli autobiografici, equiparando un narratore senza nome allo scrittore stesso e creando, con estrema precisione, un’autofinzione – David Albahari parla costantemente dell’impossibilità di un’autentica comunicazione. Tutti i suoi eroi, costruiti come personaggi letterari o, in assenza di personaggi, come voci che descrivono ciò che vedono, sentono, pensano, ascoltano, hanno un bisogno irrefrenabile di parlare, nonostante la consapevolezza quasi generale di non poter fare altro che moltiplicare un tragico equivoco nella comunicazione umana, un equivoco, lo devo ripetere, più antico della storia, della politica e dell’ideologia, e questo ci riporta (come mai questa considerazione da parte di uno scrittore postmoderno?) all’idea, o all’immagine, di un’imperfezione dell’uomo, radicata nella metafisica, come un essere condannato alla morte e alla solitudine, alla disperazione che deriva dalla consapevolezza che tali condizionamenti e limiti non possono essere superati in alcun modo. Diventano più sopportabili solo se, sussurrando, raccontiamo la nostra storia. Non possiamo fare altro. Ecco perché le storie di Albahari sono tutte raccontate con un tono appena udibile, ai confini del silenzio.

Mihajlo Pantić

 
[1] La morte di Ruben Rubenović (Hefti, Milano, 1989), Il buio (Besa, Nardò, 2002), Goetz e Meyer (Einaudi, Torino 2006), L’esca (Zandonai, Rovereto 2008), Zink (Zandonai, 2009), Ludwig, (Zandonai, 2010), Sanguisughe (Zandonai, 2012)

[2] Mihajlo Pantić (1957, Belgrado), narratore, critico letterario, professore della Facoltà di Lettere di Belgrado. Ha pubblicato oltre quaranta libri di studi, saggi, critica letteraria e antologie, nonché dodici raccolte di racconti. Le sue opere sono state tradotte in una ventina di lingue (in italiano: La donna con le scarpe da uomo. Amori e altre imperfezioni, Del Vecchio Editore, Roma 2022; traduzione dal serbo di Anita Vuco) e incluse in numerose antologie in Serbia e non solo. Ha ricevuto numerosi premi letterari per i suoi libri di racconti, recensioni e saggi, tra cui il Premio Andrić per il libro Ako je to ljubav [Se questo è amore, 2003].

David Albahari (Peć, 15 marzo 1948 – Belgrado, 30 luglio 2023), scrittore e traduttore serbo. Ha studiato inglese a Zagabria. Fino al 1994 è stato redattore per diverse case editrici e riviste di Belgrado e Novi Sad (Vidici, Književna reč, Kulture Istoka). In Serbia è stato uno dei migliori conoscitori della letteratura mondiale contemporanea e fondatore e direttore della rivista di letteratura mondiale Pismo (1985-87). A Belgrado ha promosso alcuni scrittori serbi di origini ebraiche. Nei primi anni ’90 ha sostenuto la comunità ebraica in una Sarajevo sotto assedio. Nel periodo 1994-2012 ha vissuto in Canada, continuando però a scrivere nella sua lingua madre. Ha pubblicato diciannove raccolte di racconti, diciassette romanzi, sette raccolte di saggi, tre opere teatrali. Ha tradotto dall’inglese le opere di Saul Bellow, Vladimir Nabokov, Margaret Atwood, Isaac Bashevis Singer, Thomas Pynchon. Nel 2006 è stato eletto membro dell’Accademia serba delle scienze e delle arti.