Adriatico-Ionio, coste sotto assedio
Negli ultimi decenni le coste dell’area adriatico-ionica sono sotto pressione crescente da parte delle attività umane. Segnali di cambiamento, sostenuti dall’UE, iniziano ad emergere, ma la strada per cambiare il modello di gestione del territorio resta ancora lunga

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Saranda, Albania - © Shutterstock
Negli ultimi decenni, l’area adriatico-ionica ed in particolare la costa balcanica dell’Adriatico, sta affrontando una trasformazione territoriale tanto rapida quanto preoccupante, frutto di una logica di sviluppo che continua a privilegiare la crescita economica a breve termine rispetto alla tutela del territorio e alla sostenibilità ambientale.
Il fenomeno del consumo di suolo e la crescente erosione delle coste ne rappresentano oggi le manifestazioni più evidenti e preoccupanti. La pressione legata all’espansione turistica – nuovo ma vecchissimo mantra della regione che a partire dallo sviluppo turistico incontrollato degli anni 60’ e 70’ in Italia, alle infrastrutture e alla speculazione edilizia ha inciso profondamente su paesaggi costieri un tempo caratterizzati da un equilibrio delicato tra insediamenti umani ed ecosistemi naturali.
Studi recenti, tra cui il progetto ESPON SUPER (Sustainable Urbanisation and Land Use Practices in European Regions), hanno evidenziato come in molti territori della regione adriatico-ionica si sia consolidato un modello di urbanizzazione diffusa, spesso privo di una regia complessiva capace di armonizzare le esigenze di sviluppo con quelle di protezione ambientale.
La mancanza di una governance territoriale efficace ha contribuito a un incremento progressivo della frammentazione del suolo, con la conseguente perdita di spazi agricoli, aree naturali e corridoi ecologici fondamentali per la biodiversità e la resilienza climatica.
In molte aree costiere di Albania, Montenegro e Croazia, l’espansione urbanistica ha finito per invadere zone a rischio idrogeologico e ambientale, accentuando l’esposizione delle comunità locali agli effetti del cambiamento climatico.
Solo dal 2000 al 2018 è stato dimostrato come questi paesi abbiano incrementato il loro consumo del suolo dell’80% (il Montenegro), 54% (Albania) e 28% (Croazia). Come i dati evidenziano, molta parte di questo consumo si è concentrato nelle aree costiere.
Questo ha causato una progressiva erosione delle coste – un processo ormai irreversibile in diversi tratti del litorale adriatico-ionico, spesso aggravato proprio dalle attività antropiche.
L’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi meteo-marini estremi, connessi ai cambiamenti climatici globali, si somma infatti agli effetti cumulativi di decenni di urbanizzazione incontrollata, artificializzazione delle coste e costruzione di opere rigide di difesa. Il risultato è una perdita accelerata di spiagge, dune costiere e ambienti lagunari di alto valore ecologico.
In Italia, ad esempio, il rapporto ISPRA segnala che più del 40% dei litorali sabbiosi risulta in arretramento. In Puglia, lungo il Salento e la costa ionica, l’arretramento medio della linea di riva supera in alcuni tratti i 50 metri negli ultimi vent’anni, mentre in Croazia si registrano fenomeni di erosione su oltre il 30% delle coste sabbiose.
Le politiche turistiche, spesso orientate al breve termine e tese a massimizzare i flussi e le presenze, hanno giocato un ruolo decisivo in questa dinamica. Numerosi insediamenti turistici sono stati costruiti a ridosso della battigia, senza adeguate valutazioni di impatto ambientale o strategie di adattamento ai rischi costieri ma ampiamente pubblicizzati e sostenuti dalla politica.
La cementificazione delle spiagge, la costruzione di porticcioli turistici, l’espansione di strade litoranee e l’erosione dei fondali marini hanno provocato danni strutturali agli habitat naturali, compromettendo la capacità di rigenerazione degli ecosistemi costieri.
In alcuni casi, l’abbattimento di dune e la rimozione della vegetazione hanno accelerato la vulnerabilità dei territori alle mareggiate e all’intrusione salina.
Molti studi hanno messo in evidenza come questi processi siano strettamente legati a una carenza strutturale di capacità amministrativa e di coordinamento interistituzionale. La pianificazione territoriale nei paesi dell’area adriatico-ionica rimane spesso ancorata a logiche settoriali e frammentate, con una debole integrazione tra politiche urbanistiche, ambientali e di protezione civile.
La sbandierata “governance multilivello”, indispensabile per affrontare le sfide della gestione costiera, fatica a consolidarsi, e gli strumenti di gestione integrata delle zone costiere restano nella maggior parte dei casi poco applicati o relegati a progetti pilota senza continuità operativa.
Tuttavia, alcuni segnali di cambiamento iniziano ad emergere. La Strategia dell’Unione Europea per la Regione Adriatico-Ionica promuove il rafforzamento della governance territoriale multilivello e il miglioramento della resilienza delle comunità costiere attraverso azioni coordinate tra i diversi paesi della macroregione.
Nonostante questo, la strada da percorrere resta lunga. Le analisi condotte nell’ambito del progetto ESPON SUPER hanno evidenziato che solo un approccio sistemico, orientato a ridurre il consumo di suolo e a integrare la gestione del rischio con le politiche di sviluppo locale, potrà garantire un futuro sostenibile alle aree costiere dell’Adriatico e dello Ionio.
Questo richiede un cambio di paradigma nella cultura della pianificazione: occorre passare da una visione settoriale e orientata alla crescita quantitativa a una prospettiva olistica, che riconosca il valore dei servizi ecosistemici e della resilienza territoriale.
A livello locale, è fondamentale rafforzare i meccanismi di partecipazione delle comunità, valorizzando le conoscenze tradizionali e promuovendo pratiche di gestione sostenibile del territorio.
Esperienze di governance collaborativa, come quelle sviluppate in alcune aree della Dalmazia e della Puglia, mostrano come sia possibile coniugare turismo, tutela ambientale e sviluppo locale, a patto di adottare politiche lungimiranti e inclusive.
Se ne può evincere che la regione adriatico-ionica si trova oggi di fronte a un bivio. Continuare a perseguire modelli di crescita insostenibili fondati sull’espansione edilizia e sulla pressione turistica incontrollata, che, se dal punto di vista delle strette necessità elettorali paga, dall’altro significherebbe condannare territori già fragili a un futuro di crescente vulnerabilità e impoverimento ambientale.
Al contrario, investire nella pianificazione integrata, nella protezione degli ecosistemi e nella costruzione di una governance territoriale efficace rappresenta l’unica via percorribile per preservare il patrimonio naturale e culturale di quest’area strategica dell’Europa sud-orientale.
Questo può succedere solo se si riporta al centro la necessità di programmare e pianificare in maniera integrata e che le comunità si riapproprino del destino dei loro territori indipendentemente dalla politica che le rappresenta.
Una nuova, quanto mai necessaria, esigenza di rimettere al centro l’interesse comune di fronte ad una sempre più invasiva e politicamente insostenibile privatizzazione delle risorse naturali.
Questo articolo è stato prodotto nell’ambito di “MigraVoice: Migrant Voices Matter in the European Media”, progetto editoriale realizzato con il contributo dell’Unione Europea. Le posizioni contenute in questo testo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni dell’Unione europea.
L’autore
Erblin Berisha è nato a Kavajë, Albania, ha conseguito una laurea magistrale in architettura presso l’Università di Ferrara, a cui ha fatto seguito un dottorato di ricerca in Urban and Regional Development presso il Politecnico di Torino. Ora è Assistant Professor in Urban and Regional Planning e Ricercatore RTD-A in Tecnica e Pianificazione Urbanistica (CEAR-12/A) presso il Politecnico di Torino.
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