Ucraina dell'est, marzo 2015 - UNHCR/Y.Gusyev

Ucraina dell'est, marzo 2015 - UNHCR/Y.Gusyev

A più di due anni dallo scoppio della guerra in Donbass, il numero dei rifugiati interni in Ucraina resta alto. Dopo l’iniziale slancio di solidarietà della cittadinanza, però, la voglia di accoglienza mostra la corda

20/10/2016 -  Danilo Elia

Leopoli – Mariia lavora in un atelier di moda. Spesso rimane nel negozio ben oltre l’orario di chiusura. Qualche volta resta addirittura a dormire. “Non mi sento più tranquilla come prima. Ci sono un sacco di furti in casa e nei negozi. Prima era tranquillo qui, ma ora dall’est sono arrivati un sacco di disperati. Non hanno soldi, non riescono a trovare un lavoro e allora si mettono a rubare”. Mariia però non è in grado di citare neanche un episodio di cui abbia una testimonianza diretta.

Anche Olja, che insegna inglese in una scuola privata, riferisce episodi di seconda mano. “Una coppia di amici aveva una seconda casa libera, l’ha subito messa a disposizione per una famiglia di Luhansk. Hanno chiesto solo di pagare luce e gas. Dopo sei mesi se ne sono andati dalla sera alla mattina lasciando un mucchio di bollette da pagare”.

Racconti come quello di Mariia e Olja sono diventati tutt’altro che rari. Il tasso di criminalità è in aumento in tutto il paese, soprattutto per quanto riguarda i furti di auto e nelle case, con una punta a Kiev di un 45% in più nei primi tre mesi del 2016, secondo l’ufficio nazionale di statistica. Ovviamente, non c’è alcuna prova né solo indizio che il dato sia in qualche modo legato al fenomeno degli sfollati interni. È chiaro, comunque, come un sentimento diffuso di insicurezza possa offrire terreno fertile a sentimenti di intolleranza e condanne generalizzate.

La “seconda ondata”

Nelle settimane immediatamente successive all’annessione della Crimea, nel marzo 2014, migliaia di cittadini ucraini, soprattutto di origine tatara, lasciarono la penisola per sfuggire al clima di intolleranza che si stava creando nei loro confronti. Dopo nemmeno due mesi, toccava agli abitanti del Donbass scappare dalla guerra e dalle bombe. Questa volta, però, a fuggire erano in centinaia di migliaia.

La cosiddetta “seconda ondata” è stata quella che ha messo più a dura prova il sistema di accoglienza del paese. Un sistema, prima d’allora, inesistente che ha dovuto vedersela col quarto più alto numero di sfollati interni al mondo, dopo Siria, Yemen e Iraq.

Gli ultimi dati affidabili, che risalgono a giugno, parlano di oltre 1,7 milioni di persone registrate dai vari dipartimenti regionali della protezione sociale. Di questi, appena 20mila provengono dalla Crimea. Cifra che, però, secondo le organizzazioni umanitarie, potrebbe arrivare a 60mila. Un’esigua minoranza, comunque, rispetto al numero complessivo di Internally Displaced Persons, Idp, come vengono ufficialmente definiti.

Yuriy Shyvala lavora per Krym Sos (Sos Crimea) un’associazione che si occupa di fornire assistenza agli sfollati interni. “Non sappiamo con precisione quanti siano. Non raccogliamo dati, però abbiamo ragione di ritenere che i numeri siano più grandi di quelli delle statistiche ufficiali”. L’ufficio di Krym Sos a Leopoli si trova in un cadente edificio nel centro della città. La loro attività è completamente finanziata dall’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni unite, Unhcr. “Prima ricevevamo anche delle donazioni da privati. Adesso non più”.

A dispetto del nome, Krym Sos ha quotidianamente a che fare con gente del Donbass. “Gli stereotipi sugli ucraini dell’est ci sono sempre stati, soprattutto da queste parti”, dice Yuriy. “Quello che succede oggi, però, è colpa dei giornali e della televisione. Sempre a caccia della notizia sensazionale. Se arrestano uno di Luhansk che ruba fa notizia. Ma nessuno parla di tutte le altre persone oneste che sono scappate dalla guerra”.

Vecchia storia

Gli abitanti del Donbass sono abituati ai cliché diffusi a ovest di Kiev che li dipingono come rozzi e retrogradi. Fino ad arrivare ai pregiudizi più spinti che raccontano Donetsk come una città di criminali e malfattori. Pregiudizi spesso usati per mettere all’indice il più ampio bacino di voti dell’ex presidente Yanukovich.

Già al tempo della Rivoluzione arancione, nel 2004, circolavano adesivi con frasi come “Non urinare nei sottopassaggi, non sei di Donetsk”, e “Gente di Donetsk, non rompete i telefoni pubblici. Potete usarli per chiamare qualcuno”. Dopo la rivoluzione di Maidan e il separatismo nell’est, il tutto è riaffiorato prepotentemente.

“Pensano che siamo tutti ladri. Non è che te lo dicono in faccia, sia chiaro. Te lo lasciano capire”, dice Olga una delle prime arrivate a Leopoli dalla regione di Donetsk. “Mi è capitato di prendere in affitto un appartamento, i primi tempi che ero qui, e sentirmi dire dalla proprietaria che quando sarei andata via avrebbe voluto trovare tutti i quadri e i mobili”, dice trattenendo il riso. “Non si rendeva conto che con quanto le davo d’affitto avrei potuto comprare tutti i mobili nuovi”.

Anche Anna Samolyenko è arrivata a Leopoli da Donetsk, un anno e mezzo fa. Ha visto andar via un sacco di gente prima di lei, poi si è decisa a fare le valigie. “Avevo sentito tutte quelle storie della gente che ospitava i rifugiati a casa propria. O di chi aveva un secondo appartamento e lo metteva a disposizione gratis. Quando sono arrivata io, però, nessuno mi ha offerto niente. Anzi, ho sempre pagato cari gli affitti”.

Anna non ha avuto difficoltà a trovare casa, insieme al marito aveva una buona attività che ora cerca di mandare avanti da qui, e si può permettere di pagare. “Quando sentono che sei di Donetsk a volte le cose cambiano. Un appartamento che prima era disponibile, improvvisamente non lo è più. Oppure devi pagare molti mesi di affitto in anticipo. Ho sentito di tanta gente in difficoltà per questo”.

Un paese impreparato

Le autorità fanno poco o niente. L’intervento pubblico è organizzato prevalentemente su base locale e fa quasi interamente affidamento sui finanziamenti dell’Unhcr. La situazione cambia molto da regione a regione.

"L’Ucraina non era pronta a far fronte a un numero così grande di Idp e per un periodo ti tempo così lungo”, ha dichiarato a Ukraine Today Oleksandr Pavlichenko, presidente della Ukrainian Helsinki Human Rights Union. “C’è un miglioramento, esiste una legislazione speciale per i rifugiati, ma i risultati si vedono poco. Mancano fondi sufficienti, manca l’implementazione dei meccanismi di accoglienza, e sembra mancare anche l’interesse delle istituzioni a risolvere il problema. C’è un’evoluzione, invece servirebbe una rivoluzione”.

Negli ultimi mesi si è assistito a una leggera flessione del numero di sfollati interni. Le ripetute tregue, pur se continuamente infrante, hanno comunque abbassato sensibilmente l’intensità del conflitto e molte zone che prima erano off limits oggi possono essere ripopolate, anche se tra mille difficoltà e davanti a un pericolo che non è mai del tutto assente. Questo ha in parte fermato il flusso di Idp e favorito anche alcuni rientri. Troppo spesso, però, si tratta di una scelta obbligata. “Quando finisci i risparmi, non trovi un lavoro e lo stato non ti aiuta, non puoi fare nient’altro che tornare a casa tua. Anche se è vicino al fronte”, ha detto ancora Pavlichenko.

Se per qualcuno tornare è una scelta obbligata, per molti altri non c’è altra scelta che restare e farsi una nuova vita. Persone che ci si augura un giorno smetteranno di essere Idp e torneranno a essere cittadini.


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