(ill. di Paul Millard)

Ogni anno, in giugno, i giovani turchi si giocano in 180 minuti la possibilità di accedere alla formazione universitaria. L'esame di selezione, OSS, è una sorta di psicodramma che coinvolge tutta la nazione. Significati, curiosità e proposte di cambiamento nel racconto del nostro corrispondente

22/07/2005 -  Fabio Salomoni Ankara

Sono più di 1.700.000 i giovani turchi che da settimane trattengono il fiato, insieme con le loro famiglie, aspettando che vengano resi noti i risultati dell'OSS.

Un rituale che si ripete praticamente immutato da una ventina d'anni. Se ad un osservatore straniero OSS appare solamente un acronimo dai significati oscuri, per un giovane turco è invece il sinonimo di grandi speranze ed altrettanto grandi angosce e timori. L'Esame di Selezione degli Studenti, l'OSS appunto, è il meccanismo centralizzato che, introdotto agli inizi degli anni '70 e passato poi attraverso innumerevoli e vorticose modifiche, dovrebbe garantire la selezione degli ingressi alle università del paese, 54 statali e 23 private.

Ogni anno, verso la fine di giugno, il paese intero precipita in una sorta di gigantesco psicodramma collettivo. All'avvicinarsi della scadenza dell'esame infatti i quotidiani aumentano il numero degli inserti speciali contenenti simulazioni delle prove d'esame, alcune amministrazioni comunali arrivano a proibire i lavori stradali ed edili con la giustificazione che il frastuono potrebbe disturbare la concentrazione dei ragazzi. Si moltiplicano poi le immagini di gruppi di giovani eterogenei, pie ragazze con il velo affiancate da piercing, ombelichi scoperti e ragazzi con tenute molto "alternative", che organizzano spedizioni alla tomba di un qualche santo sufi per chiedere, strofinando sulle pareti la matita che useranno all'esame, un aiuto "superiore" nel giorno della prova. Immagini queste che hanno recentemente spinto molti ad osservare come l'illogicità di questo sistema riporti i giovani turchi a manifestazioni di superstizione popolare, ritenute sconfitte dalla laicità repubblicana.

L'apice di questo vortice emotivo si realizza però il giorno dell'esame: una domenica mattina di fine giugno le città turche piombano in una calma surreale mentre i candidati, accompagnati da un esercito di familiari, raggiungono le sedi d'esame: avranno tre ore di tempo, "le tre ore che decidono della nostra vita", per rispondere alle 180 domande a risposta multipla, divise in una parte logico-linguistica ed in una logico-matematica, che compongono un test ispirato a modelli americani.

Nell'attesa i parenti, impazienti, si preparano per festeggiare i candidati che usciranno convinti di aver fatto bene oppure per consolare chi uscirà piangendo in preda alla disperazione.

La sera poi, chi abita nella metropoli ha l'occasione di partecipare a feste "stress out" per scaricare la tensione accumulata in un anno.

Il giorno successivo i quotidiani ed i notiziari televisivi abbondano in aneddoti e particolari curiosi: lo studente che si è presentato all'esame completamente ingessato oppure chi ha cercato di mandare al suo posto con documenti falsi un amico più preparato. Ma anche testimonianze di drammi individuali: la ragazza che è stata scippata per la strada e, priva dei documenti necessari, non è stata ammessa alla prova oppure la fervente islamica che si è rifiuta di togliersi il foulard all'ingresso della scuola e quindi è stata respinta all'ingresso, mandando in frantumi un anno di attese personali e familiari (l'ingresso delle ragazze a capo coperto nei campus, nelle aule e nelle sedi di esame è proibito dai regolamenti universitari. Un elemento che è fonte di periodiche polemiche e mobilitazioni).

L'obbiettivo degli studenti è quello di totalizzare almeno 160 punti, il minimo per entrare nelle scuole para-universitarie biennali, oppure 180, per l'accesso ai corsi di laurea quadriennali. L'aspetto drammatico è che solamente per poco più di 300.000 di loro, nemmeno il 20% dei candidati, tanto è il contingente a disposizione, si apriranno le porte dell'istruzione superiore.

Agli altri non rimarrà che ricominciare a risolvere test per prepararsi all'appuntamento dell'anno successivo. Alcuni di loro ci riproveranno tre o quattro volte. Oppure mettersi alla ricerca di un lavoro con in tasca un diploma di scuola superiore che non gode di grande considerazione.

Una volta conosciuto l'esito dell'esame, i 300.000 fortunati saranno chiamati a stilare una lista di dieci facoltà che abbiano come punteggio minimo richiesto per l'iscrizione quello totalizzato dallo studente. Questo significa che lo studente che ha superato l'esame si iscriverà ad una facoltà ma spesso non a quella che avrebbe voluto, ma a quella che gli permette il suo punteggio, l'importante è non perdere la preziosa occasione.

Le fortissime aspettative che i giovani turchi nutrono verso il sistema universitario sono dettate da ragioni di ordine culturale e contingente: l'istruzione è stata tradizionalmente, fin dall'epoca ottomana, il principale criterio che distingueva l'élite, residente ad Istanbul, dalla grande massa incolta (avam) che abitava la provincia rurale. Essere egitimli (istruito) mantiene tuttora un forte prestigio sociale. L'istruzione poi, in una società in cui stato e burocrazia hanno da sempre un ruolo centrale, rappresenta tradizionalmente il canale di mobilità sociale per eccellenza. Paradossalmente il sistema centralizzato OSS nato proprio con l'intenzione di garantire uguaglianza di opportunità di istruzione, ha però da tempo perso questa sua caratteristica. E' infatti ormai praticamente inevitabile, per poter nutrire speranze di superare l'esame, frequentare, almeno a partire dall'ultimo anno di liceo, i corsi preparatori organizzati da scuole private, dershane, nelle ore serali e nei fine settimana. Il panorama dei centri delle città turche è dominato dalle insegne di queste scuole, che costituiscono ormai un grande affare: una recente ricerca promossa dal TED, una fondazione privata che si occupa di questioni educative, ha stimato in 1.646 dollari la spesa pro-capite affrontata dagli studenti che hanno partecipato all'esame nel 2004, una cifra ragguardevole se si considera che il reddito medio pro-capite annuo è di 3.500 dollari. Inoltre le particolari caratteristiche del test, che non ha nessuna attinenza coi programmi liceali, fanno sì che gli studenti di fatto abbandonino letteralmente i corsi dell'ultimo anno di liceo, con tassi di assenteismo elevatissimi, per trasformarsi in "macchine per risolvere domande a scelta multipla".

Anche la consolidata convinzione che ci sia un rapporto tra il titolo di studio universitario e la possibilità di trovare un buon lavoro sembra vacillare. Le ultime statistiche sulla disoccupazione giovanile, che rappresenta il 20% del totale dei giovani trai 18 e i 24 anni, mostrano come sia in crescita preoccupante la percentuale di disoccupati in possesso di una laurea.

Di fronte alla pioggia di polemiche che anche quest'anno hanno accompagnato l'esame, lo YOK, (Istituto per l'Istruzione Superiore), l'organismo che governa le sorti dell'università, ha annunciato alcune riforme per l'anno prossimo: un aumento del tempo a disposizione ma anche delle domande, con l'introduzione di quesiti che faranno riferimento ai programmi liceali.

Troppo poco per la fondazione TED che, dopo aver pubblicato i dati di una ricerca sull'OSS, ha dato il via ad una campagna "La vita = 180 minuti?" mirata alla riforma radicale del sistema scolastico fondata su due elementi: in primo luogo la convinzione che sarebbe meglio utilizzare le enormi risorse finanziarie (35 miliardi di dollari negli ultimi 15 anni) ed intellettuali attualmente assorbite dall'esame, per migliorare invece le strutture universitarie ed aumentare il numero di posti disponibili. Secondariamente la richiesta di una radicale riforma del ciclo medio-superiore che abbia come obbiettivo quello di riqualificare l'indirizzo professionale, renderlo più appetibile ed immaginare anche diversi e più efficaci collegamenti con il mondo del lavoro.


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