Sofia Verza 6 luglio 2017

Ha avuto inizio la vendita di aziende e organi di stampa sequestrati con l'accusa di avere dei legami con il movimento gulenista. Dopo le confische del 2015-16, lo stato è divenuto di fatto il principale magnate turco

A partire dal 2015, e con più intensità dopo il tentato golpe del 15 luglio 2016, la Turchia ha posto sotto amministrazione straordinaria vari media e organi di stampa per via dei loro presunti legami con il movimento dell'imam Fethullah Gülen, considerato in Turchia organizzazione terroristica e mente del tentato colpo di stato. Di fatto commissariati, la loro gestione è stata affidata al Fondo di Garanzia del Risparmio (TMSF ).

Come riferisce lo Stockholm Center for Freedom, il 20 giugno scorso otto di questi organi di stampa sono stati messi in vendita dal Fondo. Alcuni di questi sono all'asta, come le proprietà e le licenze di Can Erzincan, delle stazioni televisive Barış e Ört e dei giornali Nazar, Yerel Bakış, Turgutlu Havadis e Taraf.

Da tempo gli osservatori che si occupano di proprietà, concentrazione e trasparenza dei media in Turchia si domandavano quale sarebbe stato il destino dei mezzi di informazione colpiti dai sequestri di stato (160 in totale), soggetti più o meno critici nei confronti del partito di governo AKP e del Presidente Recep Tayyip Erdoğan. Le 160 testate colpite da provvedimenti che ne sanciscono il commissariamento sono solo una frazione delle attività economiche interessate da questo tipo di intervento: dal 15 luglio 2016 ad oggi nel paese sono state sequestrate in tutto, in diversi settori economici, circa 940 aziende, per un valore di 40,5 miliardi di lire turche (11.45 miliardi di dollari).

Nel settore dei media i casi più eclatanti riguardano il raid della polizia e il successivo sequestro nell'ottobre 2015 del gruppo editoriale Koza-Ipek, proprietario, tra gli altri, dei quotidiani Bugün e Millet e dell'agenzia di stampa Cihan. Allo stesso modo è stata posta sotto sequestro la Feza Holding, editrice del giornale più letto del paese, Zaman, e della sua versione in lingua inglese Today's Zaman.

Il TMSF ha proposto la vendita dei beni sequestrati sin dall'ottobre 2016, come alternativa alla chiusura definitiva delle aziende. Un mese dopo lo stesso fondo ha avviato una collaborazione con tre aziende di consulenza per gestire tutte le transazioni. Il 6 gennaio scorso, infine, un decreto ha investito il vice-primo ministro Nurettin Canikli del potere di decidere le sorti delle proprietà trasferite al TMSF.

Proprietà dei media in Turchia
Proprietà dei media in Turchia - Networks of Dispossession

L'architettura della proprietà dei media , la concentrazione e la trasparenza di tali proprietà, sono indici importanti del pluralismo dell'informazione in un paese: chi possiede i mezzi di informazione può decidere cosa l'opinione pubblica deve o non deve conoscere. Da decenni questa struttura in Turchia si è rafforzata a favore di grandi magnati del settore edilizio, energetico e turistico. Il Media Ownership Monitor di Reporters Without Borders indica che, fino a pochi mesi fa, il 40% di tutti i media turchi era di proprietà di otto aziende.

Ora questa architettura sembra però disgregarsi, polarizzandosi esclusivamente attorno alla completa fedeltà, o meno, al governo. Inoltre, in seguito ai numerosi sequestri, lo stato turco è divenuto il principale magnate del paese, superando gli storici imperi economici turchi di Koç e Sabanci.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto