Mercato a Lubiana (flickr/panic)

Niente bailout, ma tante privatizzazioni. E' così che la Slovenia tenta di uscire dalla crisi del proprio sistema economico, generato in particolare dalle grosse difficoltà del suo sistema bancario. Una rassegna

26/02/2014 -  Matteo Tacconi

Niente bailout. La Slovenia non s’è aggiunta a Irlanda, Cipro, Grecia, Spagna e Portogallo, i cinque paesi membri dell’eurozona che hanno ricevuto robuste iniezioni di aiuti. Questo dicono i risultati dello stress test condotto dall’Ue sul malandato sistema bancario di Lubiana. I risultati sono stati resi noti lo scorso 12 dicembre.

Lo scampato salvataggio è stata una buona notizia a contrappeso della quale però è arrivato l'annuncio degli sforzi finanziari che lo stato deve fare per salvarsi con le proprie forze.

Tre miliardi e dodici milioni di euro, grosso modo il 7-8% del Pil nazionale: è quanto secondo lo stress test andrebbe erogato alle tre banche, tutte controllate da capitale pubblico, più in difficoltà. Sono la Nova Ljubljanska Banka (NLB), la Nova Kreditna Banka Maribor (NKBM) e Abanka.

Con una politica sconsiderata dei prestiti, questi istituti hanno contribuito all’accumulo di una grossa parte di quei 7,9 miliardi di euro in mutui non performanti, quasi il 20% del Pil sloveno, che hanno mandato il paese in apnea. Questi mutui sono in via di trasferimento in una bad bank creata di recente.

Fine di un modello

Ma questo è solo un primo passo. Perché poi si tratterà di mettere sul mercato alcuni di questi istituti. Forse tutti e tre. Forse dovranno persino essere privatizzate altre banche, anch’esse radiografate nello stress test, come Banka Celja e Gorenjska Banka. Nemmeno loro hanno i conti in ordine.

Quelli bancari non sono gli unici asset pubblici che verranno ceduti. Il governo sloveno ha infatti bisogno di liquidità per coprire il deficit, che nel 2013 è stato di 1,5 miliardi e nel solo mese di gennaio ha toccato quota 223 milioni di euro, più del 20% delle stime fatte per il 2014.

A portare un po’ di ossigeno dovrebbe essere un piano di privatizzazioni che coinvolge, oltre alle banche, anche aziende di peso come Telekom Slovenije, la compagnia di bandiera Adria Airways e la società di manutenzione che le gravita intorno, Adria Tehnika.

Anche la gestione dell’aeroporto di Lubiana fa parte della torta. Insieme alla compagnia di vernici Helios e a Cinkarna Celje, operante nel settore dello zinco. Ma ci sono asset in vendita anche nel settore turistico e in quelli degli utensili, della cancelleria, degli alimentari e degli articoli sportivi, come riportato da Vittorio Da Rold sul Sole 24 Ore

Tutto questo induce a dire che il “modello sloveno”, segnato da un’ampia presenza dello stato nell’economia e a lungo ammirato da più parti, sta iniziando a sfarinarsi.

È questo, forse, l’esito più rilevante della crisi che ha martellato Lubiana. Il governo di Alenka Bratušek, reduce da un recente rimpasto, sta cercando di limitarne l’impatto, mettendo sul mercato solo una parte, pur ancora minoritaria, del paniere.

A oggi, scrive sempre Da Rold citando i dati dell’Ice, la partecipazione statale continua a essere sostanziosa. È diretta in 83 imprese, indiretta in venti. Ma il deficit crescente e le probabili pressioni europee per dismettere ulteriormente, potrebbero spingere verso un secondo processo di privatizzazioni.

Derby austro-italo-tedesco

In attesa di capire come andranno le cose, sembra già chiaro che i paesi che guardano alle privatizzazioni di Lubiana con più acquolina in bocca sono Austria, Germania e Italia. Non c’è da stupirsene. Tutti e tre hanno una notevole proiezione sulla Slovenia, con interessi già consolidati.

L’Austria è il primo investitore nel paese. Nel 2011 la sua quota, stando ai dati dell’Agenzia slovena per gli investimenti, era egemonica: 48%.  

Italia e Germania invece sono i primi due partner commerciali. Sempre in base ai dati del 2011, il volume degli scambi con la Germania era di 8,5 miliardi di euro circa, quello con l’Italia di 6,3.

L’Italia ha anche una considerevole presenza aziendale. La banca dati Ice-Reprint indicava che nel 2011 c’erano in Slovenia 218 compagnie dal fatturato superiore a 2,5 milioni di euro partecipate da capitale italiano. Le loro attività danno lavoro a 4681 persone e generano un fatturato di un miliardo di euro (grafico ).

È il secondo fatturato in tutta l’area ex jugoslava, ragionando sempre in quest’ottica dimensionale. A cui va aggiunga la miriade di aziende, di stazza minore, che lavorano già in Slovenia ma sfuggono alla contabilità degli economisti.

Chi è interessato a cosa?

Ma, venendo alle privatizzazioni, chi è interessato a cosa? L’Austria ha già chiuso un affare. Il gruppo industriale Ring International Holding ha rilevato recentemente il 73% di Helios, per una somma di 250 milioni di euro. Austria Telekom sarebbe interessata all’acquisizione di Slovenije Telekom, che porterebbe l’operatore austriaco a incrementare la propria presenza, già consistente, nei Balcani.

Ma qui si profila una vera e propria battaglia con Deutsche Telekom, che a quanto pare sarebbe avvantaggiata. Anche perché gli austriaci, in questa partita, non possono contare troppo sull’appoggio delle loro banche.

Hypo Alpe Austria, che negli anni addietro aveva investito con foga in Slovenia e in tutti i Balcani, è collassata. Mentre Raiffeisen sta ridimensionando la sua presenza in tutto l’est e il sudest europei.  

I tedeschi, riportava Mauro Manzin sul Piccolo qualche tempo fa, sarebbero pronti a entrare anche nel settore dei trasporti. Adocchiano la rete autostradale slovena (Dars), le ferrovie e il trasporto pubblico di Lubiana.

E l’Italia? Nonostante la crisi ci si sta muovendo con una certa intensità. Save, compagnia che gestisce gli aeroporti di Venezia e Treviso, definita come il nuovo centro di gravità della finanza veneta, è intenzionata a prendersi lo scalo di Lubiana, nell’intento di creare un sistema integrato che unisca Venezia, Treviso, Verona (Save sta entrando nella spa che lo gestisce), e Trieste (trattative in corso), oltre alla capitale slovena.

Il business italiano penserebbe a fare qualche acquisto anche nel settore energetico. Mentre Unicredit e Intesa San Paolo, che negli anni passati si sono espanse anche a Lubiana, non sembrerebbero troppo interessate a irrobustire la presenza nel mercato del credito.

E gli sloveni, come si stanno comportando davanti a tutti questi movimenti? Fondamentalmente vogliono passare il più presto possibile all’incasso. In questi ultimi tempi Alenka Bratušek sta girando l’Europa, tentando di rastrellare investitori.

La Slovenia ha organizzato conferenze ad hoc a Parigi, Milano, Dusseldorf e anche a Mosca. E il primo ministro ha sempre ripetuto a tutti che le porte sono spalancate.


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