Lo scorso 25 ottobre è stato un giorno importante per le relazioni Belgrado-UE. Il Parlamento europeo ha infatto approvato un rapporto a favore di una rapida integrazione della Serbia in Europa. Questa sembra ormai essere una priorità sia a Strasburgo che a Bruxelles

30/10/2007 -  Rosita Zilli

"Il futuro della Serbia è nell'Unione europea". Questo il messaggio chiave suggellato il 25 ottobre scorso dal Parlamento europeo con l'approvazione del rapporto di Jelko Kacin, deputato sloveno del gruppo dell'alleanza dei democratici e dei liberali per l'Europa (ALDE). È stato un giorno importante per le relazioni Belgrado-UE, un passo in avanti sul cammino che da Belgrado va verso le riforme e verso l'Europa.

Tanti i punti di encomio sottolineati nella relazione. Tra gli altri, la dissoluzione pacifica dell'Unione statale di Serbia e Montenegro, le elezioni parlamentari libere, la successiva formazione di un governo di ispirazione pro-europea ed il completamento dei negoziati tecnici per l'accordo di stabilizzazione e associazione (ASA). Un capitolo di grande rilievo, quest'ultimo, dato il suo stretto vincolo con la piena collaborazione della Serbia con il Tribunale penale internazionale per l'ex Iugoslavia (ICTY). Sulla questione, nervo da sempre scoperto delle relazioni UE-Belgrado, il Parlamento europeo ha dichiarato che i recenti arresti "provano che le autorità serbe sono in grado di trovare e catturare quanti sono accusati di crimini di guerra". Conseguente l'appello a continuare sul cammino intrapreso.

Una menzione particolare nel rapporto è per Srebrenica, piaga nella memoria della ex-Yugoslavia ed altro elemento spinoso dei rapporti UE-Belgrado. Invitando il Parlamento serbo ad adottare una dichiarazione che denunci il genocidio, Strasburgo ha precisato che a suo parere le sentenze del Tribunale serbo per i crimini di guerra a carico di quattro membri del gruppo paramilitare "Scorpioni" per l'esecuzione di sei musulmani di Srebrenica "non riflettono l'odiosa natura del crimine". I cittadini serbi hanno il diritto di conoscere la verità "sulle politiche di guerra e genocidio condotte in loro nome" e l'identità dei criminali di guerra. A tal proposito, il Parlamento europeo promuove la riapertura della commissione sulla verità e la riconciliazione, così da favorire un clima più positivo nelle zone devastate dal conflitto interetnico.

Ma non sono state solo Srebrenica e L'Aja di scena sul fronte dei diritti umani. Le minoranze da proteggere, in particolare in Vojvodina, i rom che vivono in una condizione di perenne discriminazione e la condizione di precarietà dei profughi croati e bosniaci e degli sfollati interni dal Kosovo restano tutti punti aperti sui quali sì, qualcosa si è fatto, ma ancora molto, moltissimo resta da ancora fare.

Come ancora resta molto lavoro in materia di criminalità e corruzione. Le forze di polizia, i servizi di sicurezza e l'esercito devono essere riformati sostanzialmente, sentenzia il rapporto, così come il sistema giudiziario, schiavo di tempi processuali troppo lunghi e debole sul fronte della protezione dei testimoni e dell'indipendenza dei giudici.

Anche i media sono stati poi oggetto di approfondimento da parte della relazione Kacin. L'aula di Strasburgo ha richiesto la definizione di regole "assolutamente democratiche" che disciplinino la concessione di licenze per la trasmissioni radiotelevisive, prevedendo anche la possibilità di ricorso. I deputati hanno espresso poi un profondo lamento per i casi di assassinii di giornalisti, sui quali purtroppo non sono stati compiuti progressi, e per l'odio che pervade i media e la politica nei confronti di attivisti, giornalisti e politici impegnati nel campo dei diritti umani. Il fronte della comunicazione di massa e della libertà di espressione permangono quindi temi forti, sui quali l'Europa, memore del suo passato e di quello della stessa Serbia, non intende scendere a patti.

Da ultimo la questione della facilitazione del visto, vero punto di svolta nei rapporti UE-Belgrado. I deputati hanno accolto con favore la firma, il 18 settembre scorso, degli accordi di facilitazione e di riammissione e hanno sollecitato il Consiglio a garantirne l'entrata in vigore entro fine 2007. Sul punto si era espresso il giorno prima anche Olli Rehn, commissario europeo per l'allargamento. Circa l'intenzione della Commissione di avviare un dialogo a inizi 2008 con ogni Paese dei Balcani occidentali per una roadmap di liberalizzazione dei visti, Rehn ha dichiarato che tale passo è "di immensa importanza, se non altro per dare alle giovani generazioni un'evidenza concreta di cosa significhi l'Europa".

La Serbia si trova dunque a un crocevia delle sue scelte future. L'accordo di stabilizzazione ed associazione sembra quanto mai a portata di mano, ma la collaborazione con L'Aja e la risoluzione dello status del Kosovo restano spettri dalle ombre lunghe sulla via verso l'Europa. Sul fronte opposto, "l'Ue - come fa notare lo stesso Kacin - non avrà completato la sua composizione fino a quando i Balcani non ne saranno parte integrante. "Ma - ammonisce - non a qualsiasi prezzo". Per Belgrado, un monito sufficiente a non abbassare la guardia.


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