Domenica 16 gennaio in Serbia si è tenuto un referendum su alcune modifiche costituzionali riguardanti il sistema giudiziario. La sostanza del referendum però si è persa nella cacofonia delle reazioni politiche trascurando del tutto l'impatto che le riforme potrebbero avere sulla vita dei cittadini
Stando ai dati ancora non definitivi forniti dalla Commissione elettorale serba (RIK), sulla base del 98,79% delle schede scrutinate, al referendum sulla giustizia tenutosi domenica 16 gennaio in Serbia alle urne si sono recati 1.960.010 cittadini (il 30,65% degli aventi diritto), dei quali il 59,71% ha votato a favore, mentre il 39,26% ha votato contro le modifiche proposte.
Oltre ai dati di cui sopra, l’unico punto riguardante il referendum appena conclusosi su cui tutti concordano è che la stragrande maggioranza dei cittadini serbi non ha compreso appieno il significato del quesito referendario. Su tutte le altre questioni relative al referendum non solo gli esperti, ma anche le forze politiche rimangono profondamente divisi, divergenze che emergono soprattutto nell’interpretazione dei risultati del referendum: alcuni vedono nella vittoria del sì una conferma dell’egemonia della coalizione di governo, altri invece interpretano l’esito del referendum come il segnale dell’inizio della fine del regime di AleksandarVučić.
È stato proprio il presidente Vučić a rendere noti i risultati preliminari del referendum sulla riforma della giustizia, prima ancora che lo facesse la RIK. Nel corso di una conferenza stampa convocata nella sede del Partito progressista serbo (SNS), Vučić si è complimentato con i cittadini per la vittoria del sì, commentando poi alcune reazioni al voto, come quella del Partito democratico (DS) secondo cui l’esito del referendum rappresenterebbe una vera e propria “débâcle per il principale partito al governo”. “Mi rallegra il fatto che [le forze di opposizione] pensino di essere forti e di poter ottenere il 39% dei voti [alle prossime elezioni parlamentari], una percentuale che però – credo concorderete con me – non basta per vincere. Noi lotteremo e poi vedremo come andrà a finire. Vi dico una cosa sola: molti dei miei amici non si sono recati alle urne o hanno persino cercato di convincermi di votare ‘no’. Li ringrazio per la loro amicizia e non mi arrabbio con loro. Questa è democrazia”, ha dichiarato Vučić.
Rispondendo alle domande dei giornalisti durante una visita a Novi Sad, la premier Ana Brnabić ha affermato che “una solida maggioranza ha votato a favore, oltre il 60%, quindi circa 400mila persone hanno votato ‘sì’, è una cosa importante, abbiamo lottato per questo traguardo”. La premier ha poi sottolineato che la riforma costituzionale è stata a lungo preparata, definendo la vittoria del sì come un trionfo.
L’opposizione
Gli esponenti dell’opposizione hanno commentato l’esito del referendum in un’ottica completamente diversa, focalizzandosi sul fatto che nelle principali città – Belgrado, Niš e Novi Sad – ha prevalso il no.
Vuk Jeremić, leader del Partito popolare (NS), ha dichiarato che i risultati del referendum dimostrano che “il regime non gode più del sostegno della maggioranza [della popolazione]”, aggiungendo che la lezione più importante che le forze di opposizione devono trarre da questa consultazione referendaria riguarda la necessità di creare un’opposizione unita. Jeremić ha poi sottolineato che alle prossime elezioni bisognerebbe vigilare in modo più efficace sullo svolgimento delle operazioni di votazione per prevenire varie frodi. “Se al referendum di domenica ha vinto il sì è solo grazie al fatto che nelle zone rurali del paese è stato messo in atto un massiccio furto di voti per controbilanciare la vittoria del no a Belgrado, Niš, Novi Sad e in altre grandi città, dove il regime di fatto è stato sconfitto. Potevano concludere lo scrutinio delle schede elettorali in meno di mezz’ora, perché si è trattato del quesito più semplice che esista: sì o no. Loro invece hanno discusso per ben due ore su come procedere”, ha affermato Jeremić.
Con toni simili ha reagito anche Boško Obradović, leader del movimento di destra “Dveri”, il quale ha scritto sul suo account Twitter che l’esito del referendum rappresenta “la prima sconfitta di Vučić negli ultimi dieci anni”, aggiungendo che nel corso del referendum si è assistito ad un furto di voti.
Anche Radomir Lazović del movimento “Ne davimo Beograd” [Non affondiamo Belgrado] è dello stesso parere. “Nonostante il governo sia riuscito a far approvare le modifiche costituzionali attraverso una consultazione referendaria organizzata in modo pessimo, l’esito del referendum lascia presagire la possibilità di un cambiamento”, ha dichiarato Lazović nel corso di una conferenza stampa tenutasi lunedì 17 gennaio davanti alla sede della Commissione elettorale serba. Secondo Lazović, le grandi città – come Belgrado, Novi Sad e Niš – “hanno detto no alle manipolazioni di Vučić”, esprimendosi perlopiù contro le modifiche costituzionali proposte.
Gli analisti
Gli analisti di Belgrado hanno reagito con toni un po’ più cauti.
Il politologo Boban Stojanović ritiene che nessuno sia uscito vincitore dal referendum sulle modifiche costituzionali in materia di giustizia. “Ma un aspetto ancora più importante è che nessun attore politico ne è uscito duramente sconfitto”, ha spiegato Stojanović, aggiungendo che i promotori del referendum hanno raggiunto i loro principali obiettivi, quello di inviare un messaggio agli elettori, mettendo in chiaro che non ci sarà alcun cambio al potere in Serbia, e quello di suscitare ulteriori dissidi all’interno dell’opposizione.
Stojanović ha sottolineato un altro aspetto importante, ossia il fatto che le prime reazioni, un po’ troppo euforiche, alla vittoria del sì sembrano aver completamente ignorato i molteplici motivi che hanno spinto molti cittadini a votare contro le modifiche costituzionali. “Quelli che si sono recati alle urne votando ‘sì’, lo hanno fatto perché l’SNS li ha sollecitati a farlo, si tratta perlopiù degli elettori dell’SNS. Quelli che invece hanno votato ‘no’, non si sono espressi contro le modifiche costituzionali, bensì contro Vučić”, ha spiegato Stojanović.
Đorđe Vukadinović, caporedattore delle rivista Nova srpska politička misao, ritiene che durante la campagna referendaria le forze di opposizione si siano tenute in disparte, comportandosi “come se fossero immerse nella nebbia”, incapaci di riconoscere l’esistenza di una massa critica che si rifiuta di “essere una marionetta e di piegarsi alle idee e ai progetti” siano esse governtive o dell’opposizione. “Questo referendum è una vittoria dei cittadini che non sono membri di alcun partito e che cercano di pensare con la propria testa, cittadini che hanno dimostrato una forza con cui sia il governo che l’opposizione dovranno fare i conti”, ha dichiarato Vukadinović.
L’analista Zoran Panović dell’istituto demoscopico Demostat ha affermato che il governo e l’opposizione interpretano ciascuno a modo proprio i risultati del voto. “Temo che l’opposizione possa sentirsi troppo incoraggiata dai risultati del referendum, risultati che confermato i dati emersi dalla nostra ricerca, ossia il fatto che l’opposizione gode di un maggior consenso a Belgrado rispetto alla coalizione al governo. Resta però da vedere se riuscirà a sfruttare tale posizione di vantaggio”, ha spiegato Panović.
Il Partito della libertà e giustizia (SSP) – che, secondo molti sondaggi, attualmente rappresenta la principale forza di opposizione in Serbia – è rimasto in disparte durante la campagna referendaria, ritenendo che il vero referendum saranno le prossime elezioni.
“Qualcuno si è mai chiesto perché Vučić abbia indetto il referendum per il 16 gennaio invece di organizzarlo contemporaneamente alle elezioni e quale parlamento abbia approvato le modifiche costituzionali in questione? Se loro dovessero rimanere al potere, il modo in cui verranno eletti i membri del Consiglio superiore della magistratura e del Consiglio dei procuratori importerà ben poco. Tutto sarà come decideranno loro. Per noi il vero "referendum" saranno le elezioni che si terranno il prossimo 3 aprile. Se dovessimo riuscire a vincere, e credo ci riusciremo, introdurremo modifiche costituzionali tali da permettere alle persone che lavorano nel settore della giustizia, e non ai politici, di decidere delle questioni giudiziarie”, ha affermato il leader del SSP Dragan Đilas.
A prescindere dall’ottica da cui vengono osservati i risultati del referendum sulla riforma della giustizia, una cosa è certa: la sostanza del referendum si è persa nella cacofonia delle reazioni politiche. Sono trascorsi solo pochi giorni dal voto e quasi nessuno parla più delle modifiche approvate e dei loro possibili effetti sul funzionamento del sistema giudiziario. La politica e le imminenti elezioni hanno fatto passare in secondo piano tutti gli altri temi di grande rilevanza, compreso l’impatto che le modifiche costituzionali appena approvate potrebbero avere sulla vita dei cittadini serbi.
Su cosa si è votato
Al referendum di domenica 16 gennaio i cittadini serbi sono stati chiamati ad esprimersi su alcune modifiche costituzionali riguardanti il sistema giudiziario che secondo il governo, dovrebbero impedire l’ingerenza del potere politico sull’operato degli organi giudiziari. Gli emendamenti in questione riguardano in particolare la procedura per la nomina dei giudici e dei procuratori che non verranno più nominati dal parlamento, bensì dall’Alto consiglio della magistratura e dal Consiglio della procura. Non mancano però gli aspetti controversi: la riforma prevede che tra i membri del Consiglio della procura ci sia anche il ministro della Giustizia e che il procuratore generale venga eletto dal parlamento su proposta del Consiglio della procura.
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