
Proteste del 28 giugno a Belgrado - M.Moratti
Non si attenuano in Serbia le proteste contro il presidente Vučić: con la grande manifestazione del 28 giugno il clima si è fatto ancora più teso, segnando una possibile svolta a destra della contestazione
“La luce verde è scattata. Un caos decentralizzato e controllato”. Queste parole, con cui una studentessa della Facoltà di scienze agrarie di Belgrado si è rivolta ai cittadini, illustrano al meglio la situazione in Serbia dopo il 28 giugno.
Blocchi, disobbedienza civile, inviti allo sciopero, resistenza fiscale, sono solo alcune delle azioni in corso, o comunque pianificate per il prossimo periodo dai manifestanti.
Quando ormai sembrava che le proteste stessero per sgonfiarsi e che neanche gli studenti avessero più la forza, a Belgrado si è svolta una grande manifestazione, segnando un altro punto di svolta nella mobilitazione di studenti e cittadini che si protrae ormai da mesi.
All’inizio di giugno, l’energia era sembrata esaurirsi. I docenti universitari hanno bloccato uno degli incroci centrali di Belgrado per due settimane. La richiesta, rivolta al governo, era di ritirare un decreto che prevedeva la riduzione delle attività di ricerca e dei salari dei docenti a causa dello sciopero e del sostegno forniti agli studenti.
Đuro Macut, primo ministro serbo, ha avviato una serie di incontri con Vladan Đokić, rettore dell’Università di Belgrado, durante i quali sono stati compiuti alcuni progressi.
La maggior parte delle università ha deciso di riprendere l’attività didattica, in una forma o nell’altra, perlopiù online, e gli studenti hanno risposto bloccando fisicamente gli atenei. Molti sono già andati in vacanza. Con temperature superiori ai 40°C, il regime pensava che proteste si sarebbero esaurite.
Tuttavia, sabato 28 giugno è diventato chiaro che la situazione è molto più complessa.
Nella storia della Serbia, questa data ha un significato importante, quasi mitico. La battaglia di Kosovo Polje si svolse il 28 giugno 1389, a Vidovdan (il giorno di San Vito) secondo il calendario gregoriano. A 636 anni di distanza, ancora si discute e ci si scontra sul significato di questo evento.
Per la maggior parte dei cittadini serbi, questa è una delle date più significative della storia, il giorno in cui l’esercito serbo si oppose a quello ottomano, di gran lunga superiore, combatté eroicamente e, pur uscendo sconfitto, “salvò l'Europa”.
Per altri – che restano in minoranza - Vidovdan è una ricorrenza da commemorare, ma non da celebrare, avendo spinto la Serbia in uno stato di prigionia e decadenza secolare. Per la destra, Vidovdan è un giorno sacro, per la sinistra una fonte di preoccupazione per le possibili recrudescenze nazionaliste e scioviniste.
Negli ultimi trent’anni, Vidovdan ha assunto particolare rilevanza. A riportarlo in auge fu Slobodan Milošević, che nel 1989, in Kosovo, affermò: “Sei secoli fa, qui, a Kosovo Polje, la Serbia si era difesa, difendendo così anche l’Europa. A quel tempo un bastione d’Europa, aveva difeso la cultura, la religione e la società europea nel suo complesso”,
A distanza di oltre trent’anni, il Kosovo è ancora uno dei punti nevralgici della società serba, tant’è che la stragrande maggioranza dei cittadini serbi continua a percepire il Kosovo come parte integrante della Serbia e a basare su questa convinzione le proprie opinioni politiche. Se nel recente passato c’è stato un periodo in cui il Kosovo non è stato un tema centrale in Serbia, è durato poco e non è rimasto impresso nella coscienza collettiva.
Questo il contesto in cui gli studenti hanno organizzato la grande manifestazione a Vidovdan. Stando alle stime dell’Archivio delle manifestazioni pubbliche, in Piazza Slavija, a Belgrado, si sono radunate centoquarantamila persone. Altre fonti parlano anche di duecentomila manifestanti.
Spendo giusto due parole sulla manifestazione, iniziata sabato 28 giugno alle 19.00 e conclusasi ufficialmente alle 21.25. La maggior parte dei presenti non ha sentito nulla di quanto detto sul palco, dove sono intervenute anche molte personalità – per utilizzare un eufemismo – di destra.
Tra i temi affrontati, il Kosovo, l’eroismo del popolo serbo, il giuramento del re Lazar (che guidò l’esercito serbo nella battaglia di Kosovo polje) e l’insistenza sull’identità nazionale serba. Sono intervenuti Momčilo Trajković, leader dei serbi del Kosovo negli anni Novanta (a dire il vero, uno dei più moderati); Milo Lompar, professore universitario che promuove idee nazionaliste, ritenute problematiche da una parte dell’opinione pubblica, e Dejan Bodiroga, celebre cestista serbo, legato ad alcuni esponenti della Chiesa ortodossa serba.
Ai presenti si sono rivolte anche altre personalità pubbliche, tra cui il rettore Đokić, anche se i loro interventi non hanno attirato particolare attenzione.
Nella manifestazione del 28 giugno in molti hanno visto una virata degli studenti a destra. Forse sarebbe più corretto affermare che gli studenti, come la maggior parte dei cittadini serbi, sono da tempo più a destra che a sinistra, e persino più che al centro (se questa divisione è ancora valida).
Di certo c’è che in Serbia non ci sono mai stati cambiamenti senza un coinvolgimento dei partiti di destra, nemmeno nel 2000. È anche vero che i cosiddetti partiti civici non hanno mai ottenuto un forte sostegno della popolazione.
Ecco perché quella che è stata definita una virata a destra degli studenti non deve sorprendere. Dovrebbe però essere intesa come un campanello d’allarme a dimostrare che basta un attimo per passare dal “patriottismo” al nazionalismo.
Non c’è tempo per analisi e considerazioni critiche. Gli eventi si susseguono rapidamente, quindi la questione dei “valori ideologici” della protesta dovrà essere affrontata in un altro momento.
Per chi sostiene la mobilitazione in corso, gli studenti hanno dimostrato di comprendere il paese in cui vivono e, dopo essersi recati a Bruxelles e Strasburgo (azione criticata da alcuni sostenitori delle proteste), hanno cercato di assecondare la corrente dominante in Serbia. Sono pochi però quelli che, dopo la protesta di sabato, hanno deciso di revocare il proprio sostegno agli studenti.
Il giorno prima della protesta, gli studenti hanno posto un ultimatum con due richieste: convocare elezioni politiche anticipate e smantellare il cosiddetto Ćaciland, bastione del Partito progressista serbo (SNS) in centro a Belgrado, allestito dagli “studenti che vogliono tornare in aula”, che da mesi ormai blocca il traffico nella capitale.
Lo stesso giorno, il presidente Vučić ha risposto agli studenti, respingendo l’ultimatum. Il giorno della protesta, gli studenti hanno annunciato che la manifestazione si sarebbe conclusa alle 21:25 e che da quel momento si sarebbe accesa “una luce verde”. In un primo momento, quasi nessuno ha capito il significato di queste parole.
Già prima dell’inizio della protesta di sabato era chiaro che il regime era “in panico” per i possibili sviluppi. I media allineati hanno parlato di tentativi di colpo di stato e di caos pianificato, mentre la polizia ha posto in stato di fermo diversi studenti e attivisti presumibilmente in possesso di informazioni sulla protesta.
Sabato 28 giugno (come accaduto anche lo scorso 15 marzo alla vigilia di quella che si è rivelata la più grande protesta della storia della Serbia), il traffico ferroviario è stato interrotto per segnalazioni di allarmi bomba.
Le compagnie di autobus hanno cancellato non solo le partenze regolari per Belgrado, ma anche il noleggio di pullman agli studenti che volevano arrivare da altre parti del paese in modo organizzato. Una Belgrado blindata dalle forze dell’ordine.
Al termine della protesta la maggior parte dei cittadini si è dispersa. Alcuni sono rimasti, dirigendosi verso Ćaciland. Ci sono stati scontri con la polizia e decine di studenti e cittadini sono stati picchiati e arrestati.
Si specula ampiamente sulla possibilità che anche questa volta siano intervenute persone legate all’SNS, il cui compito è provocare scontri con le forze dell’ordine. Sono diventati virali i video di brutalità della polizia, di inseguimenti e manganellate contro gli studenti e i manifestanti.
La luce verde è accesa, hanno affermato gli studenti. La mattina dopo la protesta, hanno aggiunto una terza richiesta: il rilascio di tutti gli studenti trattenuti la sera precedente. Hanno diffuso anche alcune indicazioni per la disobbedienza civile.
La prima azione è stata organizzata dall’Associazione degli abitanti di Zemun, che ha bloccato la strada principale. Ne sono seguiti blocchi e proteste a Belgrado e in tutta la Serbia. I cittadini hanno rovesciato container, eretto recinzioni e bloccato il traffico fino alle prime ore del mattino.
La prima notte, le proteste sono durate fino al mattino, quando la polizia, avendo aspettato che la maggior parte dei manifestanti si ritirasse, ha rimossi i blocchi, senza grossi problemi.
I manifestanti hanno evidentemente seguito le indicazioni degli studenti: “Bloccare la strada, poi quando arriva la polizia, ripararsi tranquillamente sul marciapiede, aspettare che se ne vadano, riprendere l’azione o bloccare un’altra strada”.
Il giorno successivo la polizia era praticamente assente. Poi martedì, la polizia è tornata cercando di disperdere la protesta, ma i cittadini hanno nuovamente attinto alle tattiche degli studenti. Il traffico era pessimo al mattino, migliore durante il giorno, la gente era al lavoro e faceva molto caldo.
La sera, si sono riuniti di nuovo e hanno organizzato blocchi di diverse ore in tutta la città, compresi i ponti. Mobilitazioni analoghe sono state organizzate anche in altre città della Serbia.
Dopo due giorni, tutti gli studenti detenuti dopo la protesta di sabato sono stati rilasciati. La procura, considerata un organismo al servizio del regime, accusa gli studenti di attentato all'ordine costituzionale. Le detenzioni di studenti e cittadini sono continuate, senza alcun epilogo concreto. La maggior parte degli accusati è stata rilasciata.
Negli ultimi giorni a Belgrado è “in voga” la prassi di attraversare le strisce pedonali. Invece di fermarsi e bloccare le corsie di marcia, i cittadini attraversano costantemente le strisce pedonali, motivo per cui alcuni sono stati accusati di reati minori.
A quanto pare, la polizia non è capace di intervenire in tutto il paese e la tattica degli studenti è quella di “frazionare” le forze dell’ordine. A preoccupare è il fatto che la maggior parte degli agenti ha il volto coperto, prassi consentita dalla legge solo nei casi di contrasto alla criminalità organizzata per evitare di rivelare l’identità degli agenti.
I blocchi in tutta la Serbia sono ora organizzati principalmente da assemblee cittadine. Sono state ideate dagli studenti qualche mese fa, fornendo ai cittadini indicazioni su come auto-organizzarsi. In pochi mesi, i plenum hanno raggiunto una massa critica tale da poter partecipare alle azioni di disobbedienza civile.
Il grande assente resta l’opposizione. Pur continuando a starsene alla larga, dopo la protesta di sabato gli studenti hanno invitato tutti i deputati dell’opposizione a boicottare il parlamento, senza però restituire i propri mandati perché saranno necessari se e quando verranno convocate nuove elezioni.
Le tensioni nella società sono sempre più tangibili. Si moltiplicano i tentativi di sfondare i blocchi e di travolgere con le auto i cittadini in protesta. La retorica del regime si fa più aspra, il clima di intimidazione è sempre più presente.
Lo si è visto a Kosjerić, dove lo scorso primo luglio si è ripetuto il voto in un seggio elettorale dove alle elezioni dell’8 giugno la lista studentesca ha ottenuto più voti dell’SNS.
La ripetizione del voto invece ha portato alla vittoria l'SNS, e molti di quelli che hanno votato la lista dell'opposizione all'inizio di giugno, questa volta hanno dato il loro voto alla leadership al potere. Nulla di sorprendente, considerando che la città di Kosjerić da giorni ormai è sotto assedio.
“Il giorno del voto a Kosjerić è stato caratterizzato dalla presenza di ingenti forze di polizia, che ancor prima della chiusura del seggio elettorale hanno predisposto gli strumenti per disperdere le manifestazioni”, si legge in un rapporto pubblicato dall’ong CRTA.
Cittadini e attivisti si sono radunati davanti al seggio elettorale per tutto il giorno. Tra i presenti c’erano però molti uomini dall’aspetto minaccioso e motociclisti senza o con la targa nascosta.
L'impressione è che il voto fosse strettamente controllato. Ci sono stati scontri verbali tra gruppi di pressione e cittadini, la polizia non ha reagito, nemmeno per provare a identificare i presenti.
L'esempio di Kosjerić dimostra che il regime non cederà pacificamente un solo tassello del potere. Resta da vedere per quanto tempo ancora rimarrà accesa la luce verde e se gli studenti e i cittadini in protesta avranno la forza per resistere.
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