Foto di Dragoljub Draža Mihailović e Josip Broz Tito proiettate durante a cerimonia dle 9 maggio 2021 (screenshot youtube)

Foto di Dragoljub Draža Mihailović e Josip Broz Tito proiettate durante a cerimonia dle 9 maggio 2021 (screenshot youtube)

Secondo la storica Jelena Đureinović è sempre più evidente come nell’ultimo decennio la leadership al potere in Serbia abbia cercato di piegare la narrazione storica ai propri fini politici

31/05/2021 -  Jelena Đureinović

(Originariamente pubblicato da Balkan Insight , il 17 maggio 2021)

L’8 e 9 maggio scorsi la Serbia ha celebrato il 76° anniversario della vittoria sul nazismo nella Seconda guerra mondiale con una serie di eventi organizzati a Belgrado, tra cui diverse cerimonie di deposizione delle corone di fiori, concerti, proiezioni di film, fuochi d’artificio e la trasmissione in diretta streaming di una parata militare svoltasi a Mosca.

Oltre al Giorno della vittoria sul nazismo, la leadership serba ha evidentemente voluto celebrare anche i buoni rapporti intrattenuti con la Russia, che ha partecipato all’organizzazione della commemorazione.

Le celebrazioni hanno raggiunto il culmine con un evento organizzato al Teatro nazionale di Belgrado, trasmesso in diretta dalla Radiotelevisione della Serbia, con letture di poesie, un programma musicale e discorsi pronunciati dal presidente serbo Aleksandar Vučić e dal leader serbo-bosniaco Milorad Dodik.

Alcuni canti letti durante la cerimonia principale hanno suscitato forti polemiche nell’opinione pubblica essendo associati ad un movimento serbo di ispirazione fascista denominato ZBOR [Raduno], che aveva collaborato con la Germania nazista.

Lo storico Dejan Ristić, a nome degli organizzatori della cerimonia, ha replicato alle polemiche, negando l’esistenza di qualsiasi legame tra i canti militari in questione e il movimento ZBOR guidato da Dimitrije Ljotić. Ristić ha precisato che si tratta di poesie patriottiche scritte dal poeta Momčilo Nastasijević “ben prima della Seconda guerra mondiale”.

Questa affermazione però non è vera. Il canto di marcia “Vi niste mrtvi” [Voi non siete morti], letto durante la cerimonia dello scorso 9 maggio, fu pubblicato per la prima volta in una raccolta di canti edita dal movimento ZBOR nel 1944, diventando un inno dell’estrema destra serba. A tutt’oggi non è ancora chiaro come questo canto abbia trovato posto nel programma delle celebrazioni del Giorno della vittoria sul nazismo, e al momento della stesura di questo articolo nessun esponente del governo ha rilasciato alcun commento in merito alla vicenda.

Quando i cetnici vengono definiti come antifascisti

La lettura dei canti militari fascisti è solo uno degli episodi controversi accaduti durante la commemorazione dell’anniversario della vittoria sul nazifascismo.

Tra le numerose immagini storiche proiettate su un grande schermo durante la cerimonia tenutasi al Teatro nazionale di Belgrado c’era anche una fotografia che ritrae il capo del movimento cetnico Dragoljub Draža Mihailović. Accanto all’immagine di Mihailović è stata proiettata una fotografia di Josip Broz Tito, leader del Movimento popolare di liberazione che, guidato dal Partito comunista jugoslavo, aveva liberato il paese dall’occupazione nazifascista, ponendo le fondamenta della Jugoslavia socialista.

Il processo di riabilitazione del movimento cetnico, presentato come un movimento di resistenza, aveva preso il via dopo la caduta del regime di Slobodan Milošević nel 2000. Poi nel 2004, con alcune modifiche apportate alla legge sui diritti dei veterani di guerra, cetnici e partigiani sono stati messi sullo stesso piano, definendo sia gli uni che gli altri come antifascisti, nonostante durante la Seconda guerra mondiale avessero combattuto gli uni contro gli altri e nonostante solo la resistenza partigiana fosse stata un movimento autenticamente antifascista.

Nei primi anni Duemila, l’élite politica serba non ha mai celebrato il Giorno della vittoria sul nazismo né altre ricorrenze legate alla liberazione nella Seconda guerra mondiale, sostenendo che questi eventi avessero segnato l’inizio dell’occupazione comunista. In questo contesto, il movimento cetnico, oltre ad essere stato equiparato a quello partigiano, ha persino soppiantato quest’ultimo, ormai diventato ideologicamente scomodo.

La svolta è avvenuta nel 2008, alla vigilia della dichiarazione di indipendenza del Kosovo, quando la leadership serba ha iniziato a commemorare il Giorno della vittoria sul nazismo, stringendo, al contempo, rapporti sempre più stretti con la Russia. Dopo l’arrivo al potere nel 2012, il Partito progressista serbo (SNS) ha accettato e fatto propria la tendenza, inaugurata dai governi precedenti, a celebrare la liberazione dall’occupazione nazifascista come una vittoria serba.

L’attuale leadership di Belgrado, che sembra provare piacere nel commemorare le vittorie e si autodefinisce baluardo contro il revisionismo storico, in realtà appoggia il revisionismo e la riabilitazione del movimento cetnico. Durante la cerimonia tenutasi al Teatro nazionale di Belgrado solo Milorad Dodik ha parlato di cetnici, definendoli antifascisti, mentre il resto dell’evento è stato caratterizzato da una narrazione generica sui movimenti di resistenza.

La liberazione della Jugoslavia presentata come una vittoria serba

In occasione di ricorrenze importanti, come il Giorno della vittoria sul nazifascismo, i leader politici della Serbia e della Republika Srpska tendono a ricorrere a una retorica nazionalista, attribuendo i meriti dei partigiani al popolo serbo.

Secondo questa narrazione, fu l’esercito serbo a sconfiggere le forze nazifasciste e a liberare, con l’aiuto della Russia, Belgrado, la Jugoslavia e l’intera Europa. Durante le commemorazioni del Giorno della vittoria sul nazifascismo si cerca di cancellare dalla memoria collettiva il fatto che a combattere contro le forze nazifasciste furono l’esercito jugoslavo e l’esercito sovietico (e non l’esercito serbo e quello russo), così come si cerca di screditare l’ideologia che aveva guidato la resistenza. I politici che sono intervenuti durante la cerimonia tenutasi lo scorso 9 maggio a Belgrado hanno fatto una netta distinzione tra la Jugoslavia socialista e i partigiani, accusando la leadership jugoslava di aver cercato di occultare la vera storia, fatta di eroismo e sofferenze del popolo serbo.

Nella politica della memoria serba i partigiani vengono rappresentati come un eroico esercito serbo, affermando che i serbi, a prescindere dall’orientamento ideologico, furono l’unico popolo dell’ex Jugoslavia ad aver imbracciato le armi e opposto resistenza al nazifascismo.

Vučić e Dodik, così come tanti altri leader politici, accusano gli altri popoli dell’ex Jugoslavia, in primis i croati e gli albanesi, di aver salutato con favore l’invasione del paese da parte delle forze dell’Asse. La manipolazione della storia della Seconda guerra mondiale comprende anche il tentativo di negare l’esistenza di varie forme di collaborazionismo filonazista in Serbia, focalizzandosi sulle sofferenze patite dai serbi nello Stato indipendente di Croazia (NDH), aggiungendo così un altro tassello alla narrazione sull’eroismo del popolo serbo.

Le commemorazioni ufficiali del Giorno della vittoria sul nazismo organizzate dalla leadership serba sono un esempio da manuale di strumentalizzazione della storia a fini politici, e non riguardano solo la Seconda guerra mondiale.

L’uso strumentale della storia emerge chiaramente anche nell’idea secondo cui la Serbia avrebbe combattuto solo guerre di liberazione, un’idea che caratterizza ogni commemorazione del 9 maggio e costituisce la base della politica della memoria del Partito progressista serbo (SNS).

L’idea di guerre di liberazione promossa dall’SNS unisce tutte le guerre e rivolte della storia serba in un’unica narrazione, rappresentando le forze armate serbe come un esercito che si è sempre battuto per la libertà e non ha mai intrapreso un’offensiva militare. Quindi, anche le guerre jugoslave degli anni Novanta vengono definite come guerre di liberazione della Serbia.

Anche l’Unione delle associazioni dei combattenti della guerra popolare di liberazione (SUBNOR), di cui fanno parte molti veterani delle guerre degli anni Novanta, coltiva questo mito sulle guerre di liberazione serbe. Rivolgendosi ai presenti alla commemorazione del Giorno della vittoria al Teatro nazionale di Belgrado, Vidosav Kovačević, presidente del SUBNOR, ha dichiarato che “nel corso dei secoli i soldati serbi non hanno mai invaso terre altrui, hanno sempre ed esclusivamente combattuto guerre di liberazione” dal periodo austro-ungarico ai bombardamenti Nato sulla Federazione di Jugoslavia del 1999.

I populisti di tutta Europa, e non solo, strumentalizzano la memoria e l’eredità storica allo scopo di attirare l’attenzione di un vasto pubblico, presentando i propri sforzi come un tentativo di decostruire i tabù insiti nelle storie nazionali.

Così anche la leadership al potere in Serbia, guidata dall’SNS, sta cercando di appropriarsi dell’eredità dell’antifascismo e, al contempo, di fornire un’immagine di sé come di un baluardo contro il revisionismo e la falsificazione della storia. Per costruire una narrazione eroica sulle “guerre di liberazione”, la leadership serba ha deciso di attingere all’eredità della lotta antifascista, che rappresenta uno degli episodi più emancipatori della storia della regione post jugoslava.

Durante la cerimonia di commemorazione del Giorno della vittoria svoltasi a Belgrado lo scorso 9 maggio è emerso un radicale revisionismo della storia della Seconda guerra mondiale, un fenomeno, sorto dopo la caduta del regime di Slobodan Milošević, che è andato intensificandosi negli ultimi anni.


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