Illustrazione © KRIK

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Krik, il portale di giornalismo investigativo serbo, ha intervistato Aleksandar Stepanović, presidente dall’Alta corte di Belgrado, è una delle figure più influenti della magistratura serba. In questo lungo colloquio emergono le relazioni tra magistratura, politica e servizi segreti

04/12/2020 -  Stevan DojčinovićBojana Jovanović Belgrado

(Originariamente pubblicato da KRIK , l’11 novembre 2020)

Aleksandar Stepanović, presidente dall’Alta corte di Belgrado, è una delle figure più influenti della magistratura serba. La sua carriera professionale è intrecciata con quella del potente ex capo dell’intelligence serba (BIA), Aleksandar Đorđević, attualmente ambasciatore della Serbia a Sarajevo. Recentemente Stepanović è finito nel mirino di alcuni centri di potere e media serbi che lo accusano di nepotismo, accuse prontamente smentite dal presidente dell’Alta corte secondo il quale dietro all’intera vicenda si celerebbe la BIA.

Abbiamo parlato con Stepanović dei problemi che affliggono la magistratura serba, ma anche di alcune sue decisioni controverse, come quella di rimuovere alcuni giudici dalla Sezione speciale per i reati di criminalità organizzata, facendo, al contempo, avanzare altri magistrati. Ci siamo inoltre soffermati su alcuni dettagli della sua carriera professione che, a giudicare da quanto scrivono alcuni media, potrebbe essere a rischio.

Recentemente è finito sulle prime pagine dei tabloid serbi che l’accusano di nepotismo. In una e-mail inviata al Srpski telegraf ha affermato di essere a conoscenza del fatto che è la BIA a suggerire a questo tabloid quali domande porle…

Sì, l’ho affermato e lo ribadisco. Nel 2016 il caporedattore del Srpski telegraf Milan Lađević mi aveva detto personalmente di aver ricevuto le domande dalla BIA. In quell’occasione mi aveva detto anche i nomi dei funzionari della BIA che avevano inviato le domande. Negli ultimi anni la redazione del Srpski telegraf mi aveva più volte fatto quelle stesse domande.

È curioso… perché la BIA e i tabloid l’avrebbero presa di mira?

La mia impressione è che lo facciano a causa di alcune mie opinioni che avevo espresso durante gli eventi organizzati da alcuni attori internazionali presenti in Serbia e durante alcuni incontri, e anche a causa di alcune dichiarazioni che avevo rilasciato ai media. Questo per me è assolutamente inaccettabile.

È un copione già visto, io non sono né il primo né l’ultimo [a sperimentare un’esperienza simile] e penso che non finirà qui. Un giornale filogovernativo attacca il presidente del principale tribunale della Serbia che ha evidenziato il fatto che presso l’Alta corte di Belgrado attualmente non è in corso alcun processo per corruzione ad alto livello. In un’intervista rilasciata al quotidiano Politika ho espresso la mia opinione in merito ad alcuni problemi della magistratura serba, affermando che i tribunali non sono al servizio del potere esecutivo, frase poi ripresa nel titolo dell’intervista.

Torneremo più avanti sul suo rapporto con la BIA. Prima però può dirci qualcosa in più sui problemi che affliggono la magistratura serba, a cominciare dalle pressioni politiche?

Le pressioni politiche si rispecchiano nella tendenza dei più alti rappresentanti del potere a commentare i processi penali in corso. I commenti di questo tipo mirano a screditare chi esercita funzioni giudiziarie. Dobbiamo impegnarci per aumentare la consapevolezza dei funzionari pubblici affinché capiscano finalmente il messaggio che la Commissione europea ha rivolto loro: “Non fatelo, nelle nostre democrazie questo non si fa, è vietato”.

Perché un giudice si lascerebbe influenzare dai commenti dei politici?

Perché anche noi [giudici] siamo fatti di carne e ossa, anche noi siamo esseri umani. Semplicemente, siamo persone che seguono le tendenze sociali. [I rappresentanti del potere], commentando i procedimenti penali, plasmano l’opinione pubblica, e lo fanno attraverso le prime pagine dei tabloid. Un giudice va in edicola a comprare fazzoletti e vede [le copertine dei tabloid], e poi anche i suoi vicini di casa le vedono. Posso dire che una situazione del genere non avrebbe alcun effetto su di me, ma in un paesino, ad esempio nei pressi di Valjevo, o in una città nella regione di Raška, potrebbe avere delle conseguenze.

Secondo lei, quali sono le affermazioni più controverse pronunciate negli ultimi anni dai politici relativamente a procedimenti penali pendenti?

Sono i commenti che riguardano alcune decisioni prese dai giudici della Sezione speciale per i reati di criminalità organizzata dell’Alta corte di Belgrado e alcune decisioni, anch’esse adottate qui nel Palazzo di giustizia [la sede dell’Alta corte di Belgrado] riguardanti alcuni protagonisti della criminalità organizzata. Posso citare, ad esempio, un episodio che ha visto coinvolta una persona, non so nemmeno come definirla: un imputato o un sospettato, ma di certo non un condannato. Si tratta di Korać.

Filip Korać? [capo di un gruppo criminale dedito al traffico di stupefacenti e coinvolto in vari omicidi. Nel gennaio 2019 il presidente serbo Aleksandar Vučić aveva pubblicamente rimproverato la procura e l’Alta corte di Belgrado per aver sospeso le indagini e revocato il mandato d’arresto contro Korać]

Sì. La procura, con una nota, aveva informato la corte di aver rinunciato a processarlo e la corte non aveva alcuna alternativa. Non potevamo fare altro che sospendere quel procedimento penale. Il procuratore deve proteggere gli interessi dello stato. Se il procuratore ritiene che una vicenda non comporti alcun pericolo per lo stato o che non vi sia nulla su cui indagare, allora rinuncia all’inchiesta. Poi subito dicono: il tribunale lo ha assolto. Primo, noi non l’abbiamo assolto, la procura ha rinunciato a processarlo. Ma i procuratori si nascondono, non si fanno sentire e nessuno li chiama in causa. Siamo noi ad essere oggetto [di critiche].

Il presidente Vučić aveva commentato questo caso. Questo significa che aveva esercitato pressioni sulla magistratura?

Non ho detto che aveva esercitato pressioni, ho spiegato come i colleghi giudici percepiscono queste cose. Noi siamo il terzo ramo del potere e se uno degli altri due rami vi dice una cosa del genere… In un paese democratico la magistratura deve essere alla pari [con altri poteri], cioè indipendente. Questo forse significa che un altro potere può dire qualsiasi cosa su di noi, senza subire alcuna conseguenza?

Vi è un caso di criminalità organizzata che le è rimasto particolarmente impresso nella memoria, oltre a quello di Korać? Forse quello di Dragoslav Kosmajac? Il presidente Vučić aveva definito Kosmajac come il più grande narcotrafficante in Serbia, dopodiché Kosmajac è stato arrestato, ma la procura non è riuscita a dimostrare la sua colpevolezza. Secondo lei, quell’affermazione di Vučić può essere considerata come un tentativo di esercitare pressione sulla magistratura?

Dragoslav Kosmajac è stato definito il principale narcotrafficante. Tutti lo abbiamo sentito sui media, [il presidente lo ha detto] durante una conferenza stampa. Si è trattato di un tentativo di inviare un messaggio all’opinione pubblica, anche i giudici sono cittadini, anche noi siamo l’opinione pubblica. Tuttavia, se si fosse trattato di una pressione il tribunale non avrebbe assolto quell’uomo, non lo avrebbe assolto definitivamente, avrebbe preso una decisione diversa. Il giudice ha fatto il suo lavoro e ha preso una decisione. La gente non capisce che noi agiamo sulla base dei documenti che contengono prove e poi decidiamo sulla base di quelle prove. Non possiamo fare altrimenti.

Lei è presidente dell’Alta corte. Qualche giudice si è mai lamentato con lei delle pressioni subite?

Alcuni giudici si sono lamentati e abbiamo emesso diversi comunicati stampa al riguardo. È successo nel caso della sentenza [nel processo scaturito dalla denuncia] del signor Dragan Đilas, con cui la corte ha vietato a Informer – emanando un’ordinanza di divieto temporaneo – di affermare che Đilas avrebbe incitato all’omicidio del presidente della Repubblica. Abbiamo preso quella decisione e per cinque giorni siamo stati oggetto [di commenti] da parte dei tabloid. Io, come presidente dell’organo giudiziario [che ha emesso quella sentenza], ho diffuso un comunicato stampa in cui ho reso noto che eravamo finiti nel mirino di alcuni media elettronici e cartacei. Un altro esempio riguarda la proposta di sottoporre uno dei leader dell’opposizione, Boško Obradović, a custodia cautelare. Anche in quell’occasione eravamo finiti sulle pagine dei tabloid.

Ha detto che presso l’Alta corte di Belgrado attualmente non è in corso alcun procedimento per corruzione ad alto livello. È un’affermazione piuttosto schietta. Perché non è stato avviato alcun procedimento per corruzione?

Diciamolo chiaro, non c’è alcun procedimento per corruzione ad alto livello. Io avevo grandi aspettative nel marzo 2018 [quando presso vari tribunali e uffici del pubblico ministero in Serbia sono state istituite sezioni per la lotta alla corruzione], ma si sono dimostrate vane. Posso parlare di episodi di corruzione che vedono coinvolti i poliziotti che prendono mazzette di 20 euro per [cancellare le multe] per violazioni del codice della strada; posso parlare del caso di una dipendente della Frikom che aveva rubato alcuni gelati da un frigo situato in via Kralja Aleksandra. Queste sono le sentenze che noi emettiamo. Ma non posso dirvi: abbiamo avuto [un caso che vede coinvolto] un membro del governo serbo o un direttore di un’azienda pubblica. Questo non lo posso dire.

Come mai si è arrivati a questa situazione?

Noi procediamo sulla base degli atti che ci vengono trasmessi dalla procura. Leggendo le interviste rilasciate dalla collega Zagorka Dolovac [la procuratrice generale della Serbia], sembra che viviamo in un paese scandinavo, dove regna il benessere, dove la situazione è rosea e assolutamente idilliaca. Il principale compito della procura è quello di seguire le notizie riportate dai media e di capire se sussista un fondato sospetto di reato, raccogliendo tutte le informazioni necessarie.

La procura, dal canto suo, afferma che è la polizia ad ostacolare le indagini, rifiutandosi di eseguire le ordinanze emesse dalla procura…

Se il ministero dell’Interno non esegue le ordinanze della procura ciò non impedisce al procuratore di indagare sui presunti reati. [Il procuratore] non ha bisogno della polizia. Se vuole fare il suo lavoro, ha bisogno di un assistente; salgono su un’auto di servizio, “buongiorno”, si presentano, “siamo venuti per verificare…”.

Torniamo alle pressioni. Oltre alle pressioni politiche, alcuni giudici hanno affermato di aver subito pressioni da parte sua…

Non ho mai esercitato pressioni sui miei colleghi, e l’Alta corte di Belgrado conta 108 giudici. Al contrario, ho sempre cercato di incoraggiarli.

L’ex giudice Vladimir Vučinić, che oggi fa l’avvocato, ha dichiarato di aver subito pressioni da parte sua affinché ritirasse la decisione di restituire il passaporto all’uomo d’affari Miroslav Mišković mentre quest’ultimo era sotto processo per evasione fiscale. Come commenta questa affermazione?

Ribadisco che non c’è stata alcuna pressione su di lui. Il giudice Vučinić non aveva emesso alcuna decisione giudiziaria, né un’ordinanza né una sentenza, bensì aveva inviato una nota alla polizia di Belgrado, chiedendo che a Mišković venisse restituito temporaneamente il passaporto, per una settimana, e la direzione della corte lo aveva saputo solo quattro giorni più tardi, dopo essere stata interpellata in merito dai giornalisti. Per questo motivo la direzione non era riuscita a rendere note tempestivamente alcune informazioni importanti riguardanti questo processo che all’epoca fu molto seguito dai media.

Quindi, alla presenza del presidente della Corte d’appello Duško Milenković, avevo convocato Vučinić per un colloquio, visto che si era trattato di un’informazione di pubblico interesse. Nel corso di quella conversazione il giudice Vučinić si rivolgeva ai suoi superiori in modo poco rispettoso e inappropriato, come ho poi spiegato in una nota ufficiale. Dopo quell’episodio, il collega Vučinić ha presentato un esposto contro di me al Consiglio superiore della magistratura e quest’ultimo, con voto unanime, ha decretato che non c’era stata alcuna pressione da parte mia. Credo che si fosse trattato di un tentativo, incoraggiato da alcune strutture politiche, di creare uno scandalo con l’intento di screditarmi, considerando che gli imputati in quel processo erano stati accusati di aver danneggiato le casse pubbliche per svariate decine di milioni di euro.

Anche il giudice Aleksandar Trešnjev ha definito la sua decisione di trasferirlo dalla Sezione speciale per i reati di criminalità organizzata alla sezione penale ordinaria come infondata e motivata da ragioni personali. Il giudice Trešnjev è stato membro del collegio giudicante in alcuni processi molti importanti, come quello contro Darko Šarić, che – a causa del trasferimento di Trešnjev – sono dovuti ripartire da capo. Perché il giudice Trešnjev è stato degradato?

Tutte le sentenze emesse dal giudice Trešnjev nell’arco di sei anni sono state annullate. Sei, sette sentenze annullate! Lei pensa davvero che io, come presidente della corte, avrei dovuto dire: “Ottimo, che Trešnjev rimanga pure seduto, mentre le sue sentenze vengono annullate”? Poi lui e il suo entourage cominciano a diffondere certe informazioni che vengono riprese dai media – anche il vostro portale le aveva riprese in modo tendenzioso – affermando di essere stato trasferito a causa del processo contro Šarić. Ma questo è assolutamente falso.

Ora vi pongo io una domanda. Cos’è cambiato nel caso Šarić dopo il trasferimento del giudice Trešnjev? Qualcuno è stato rilasciato dal carcere? A qualcuno sono stati concessi gli arresti domiciliari? Qualcuno è stato assolto? No, non è cambiato nulla! [Al posto di Trešnjev] è arrivata un’altra collega, sono state emesse alcune sentenze, ma per tutto il tempo molti, compreso il vostro portale, hanno continuato ad affermare che dietro all’intera vicenda si celerebbero altri motivi.

Tuttavia, anche la sua decisione di far avanzare alcuni giudici suscita qualche perplessità. Che cosa ha fatto Siniša Petrović per meritare di essere nominato presidente della Sezione speciale per i reati di criminalità organizzata? Petrović procede molto lentamente nel processo contro Šarić che si trascina ormai da più di dieci anni…

Ritengo che la nomina del giudice Petrović a presidente della Sezione speciale per i reati di criminalità organizzata sia stata una decisione assolutamente giusta, dato che si tratta di una persona che esercita funzioni giudiziarie dal 1997. Prima di essere nominato presidente della Sezione per i reati di criminalità organizzata, Petrović aveva già alle spalle 21 anni di esperienza come giudice, di cui 13 trascorsi al tribunale di Belgrado e 8 alla Sezione speciale per i reati di criminalità organizzata. Si tratta di un giudice che vanta una lunga esperienza professionale e ha partecipato ad alcuni dei processi più importanti, come quello a carico del gruppo di Darko Šarić, condannato per riciclaggio di denaro proveniente dal traffico di stupefacenti.

E perché ha deciso di nominare Svetlana Aleksić come sua assistente? Aleksić ha emesso una sentenza di condanna nei confronti dei gendarmi che [durante il Gay Pride di Belgrado del 2014] avevano aggredito Andrej Vučić, fratello del presidente Aleksandar Vučić…

Mi avete chiesto cosa hanno fatto i giudici Petrović e Aleksić per meritare gli incarichi ottenuti. E lo avete fatto in modo tendenzioso. Pertanto vi rispondo chiedendovi: cosa ha fatto il giudice Miodrag Majić per meritare di essere nominato, nel giugno del 2000, giudice del tribunale ordinario e poi nel 2005, a soli 35 anni, presidente del più alto tribunale in Serbia? Ve lo chiedo perché [Majić] non ha mai emesso una sola sentenza presso un tribunale regionale o un’alta corte, ma è stato subito nominato giudice della Corte d’appello, per di più presso la sezione speciale per i crimini di guerra. Ma io non sono tendenzioso, sono miei amici, ci conosciamo da 25 anni. Perché il mio collega Aleksandar Trešnjev, nonostante tutte le richieste, non aveva mai dimostrato il suo diploma di laurea? Finché un giorno non gli ho detto: ma vuoi portare il tuo diploma di laurea così vediamo dove ti sei laureato?

Per quanto riguarda Svetlana Aleksić, ci tengo a sottolineare che nel 2002 è stata nominata giudice del tribunale ordinario di Belgrado, poi nel 2014 è passata all’Alta corte di Belgrado, alla sezione penale ordinaria, dove ha lavorato su alcuni casi molto complessi. Dal 1° gennaio 2018 è giudice della Sezione speciale per i reati di criminalità organizzata. La sua lunga esperienza professionale e la familiarità con le attività amministrative, acquisita in veste di assistente del presidente del tribunale ordinario di Belgrado, sono state sufficienti per spingermi a nominarla come mia assistente, ritenendola capace di sostituirmi nel caso dovessi essere impossibilitato a procedere in un procedimento penale.

Da quando lei ha assunto l’incarico di presidente dell’Alta corte di Belgrado alla guida del ministero della Giustizia si sono succeduti diversi ministri. Che rapporto ha avuto con i ministri della Giustizia, a cominciare da Nikola Selaković?

Ho conosciuto Selaković quando è diventato ministro, così ho conosciuto anche il suo predecessore, la signora Malović. Selaković ha fornito un grande sostegno alla magistratura, adempiendo al principale compito del ministero, quello di garantire le condizioni per un corretto funzionamento del sistema giudiziario. Era mio dovere, come presidente dell’Alta corte, rivolgermi al ministero e dire: “Guardate, così non va bene. Il palazzo [della giustizia] è stato costruito 50 anni fa, è in pessime condizioni. In questo senso, il ministro Selaković è venuto incontro alle esigenze dell’Alta corte. Anche il Consiglio supremo della magistratura, di cui Selaković era membro, ha appoggiato la nostra richiesta di aumentare il numero dei giudici dell’Alta corte. Ma è stato un processo lento, è durato molti anni.

Lei ha chiesto al ministro Selaković di garantire migliori condizioni di lavoro alla magistratura. E il ministro ha mai rivolto una richiesta a lei?

Non ricordo che il ministro mi abbia mai chiesto qualcosa su un processo o che abbia esercitato pressioni. È più giovane di me, era ancora docente alla Facoltà di Giurisprudenza quando io ero già diventato giudice, avevo già cominciato a partecipare a procedimenti penali.

L’ex giudice Vučinić ha dichiarato che lei e Selaković siete vicini. Avete mai socializzato oltre che nell’ambiente di lavoro?

Il ministro di tanto in tanto invitava a pranzo 10-15 impiegati della magistratura. Di queste situazioni ce n’erano diverse, non posso negarlo.

Ma quelli sono contatti professionali…

Si è trattato di un rapporto professionale. Non ho più alcun contatto con il signor Selaković. Non lo sento da circa un anno, non l’ho più visto. Ci siamo visti l’ultima volta in occasione dell’inaugurazione del rinnovato Palazzo della giustizia, nel novembre 2019.

Qual è stato il suo rapporto con l’ex ministra Nela Kuburović?

La mia impressione è che Selaković abbia fornito maggiore sostegno alla magistratura, per quanto riguarda il rafforzamento delle strutture e delle risorse umane, permettendoci di gestire questa ondata [di nuovi casi] che con il passare degli anni sta diventando insostenibile. In occasione dell’inaugurazione del Palazzo della giustizia non sono stato io a stilare la lista degli invitati, bensì la ministra Kuburović. Sono rimasto molto deluso quando ho visto la lista, sembrava una lista degli invitati ad un evento politico! Poi ho pensato che sarebbe stato opportuno invitare anche le persone che lavorano nella giustizia, perché non si è trattato di un comizio politico, bensì dell’inaugurazione di un edificio destinato ai giudici.

Cosa pensa della nuova ministra della Giustizia Maja Popović che arriva dalla BIA?

Non posso commentare la sua nomina perché non ho ancora avuto l’occasione di conoscere il suo lavoro. Ha appena assunto l’incarico di ministra.

La sua carriera e quella dell’ex capo della BIA Aleksandar Đorđević sono assai intrecciate. Ci può dire qualcosa di più su Đorđević? Siete amici? Come vi siete conosciuti?

Non ho conosciuto il signor Đorđević all’università. Non abbiamo mai avuto un rapporto amichevole, fino a quando non ho iniziato a lavorare al Palazzo di giustizia, nel lontano 1995. Lì ho avuto l’occasione di conoscere alcuni colleghi, anche loro all’epoca erano stagisti, collaboratori. Non so se lo sapete, ma un tempo all’ottavo piano [del Palazzo di giustizia] c’era un bar, ovvero un ristorante dove ci si riuniva durante le pause. All’epoca Đorđević era stagista presso il tribunale ordinario.

Siamo venuti a conoscenza del fatto che per un certo periodo lo studio legale di Đorđević si trovava nella casa di proprietà di sua moglie. Come mai?

Non si tratta di una casa, bensì di una porzione di un palazzo residenziale, ma abbiamo anche un cortile. Si tratta di un ufficio, non di un immobile adibito ad uso abitativo. Đorđević ormai aveva lasciato la magistratura e lavorava in uno studio legale. Così era nata quella idea. Mia moglie aveva ereditato quell’immobile che giaceva vuoto. Prima c’erano alcune persone impiegate nell’IT, poi alcune persone del teatro “Boško Buha” che tenevano corsi di recitazione. Mia moglie e io percepivamo stipendi modesti e quell’immobile era un costo per noi. Lo avevamo offerto a Đorđević che era giovane, aveva aperto uno studio tutto suo. Noi non avevamo soldi per sistemarlo, era in pessime condizioni, quindi mia moglie si era messa d’accordo con Đorđević di concedergli l’immobile in uso gratuito con l’obbligo di pagamento delle spese condominiali. Anche mia moglie è giurista e si è laureata alla Facoltà di giurisprudenza, come me e Đorđević.

Non ritiene problematico il fatto che la moglie di un giudice avesse affittato un immobile a un avvocato difensore?

Io non c’entro niente con quell’immobile. La proprietaria è mia moglie, non io.

In quel periodo lei e Đorđević eravate amici?

Beh, ci frequentavamo. Ci incontravamo ed eravamo in contatto anche perché ci conoscevamo dal Palazzo. Ma non andavamo a casa sua né tanto meno lui veniva a casa nostra. Io ho sempre mantenuto un atteggiamento formale per quanto riguarda queste cose. Đorđević non è stato difensore in nessun procedimento da me seguito. Perché se lo fosse stato io avrei rischiato di trovarmi in una situazione di conflitto di interesse, e questo sarebbe stato inaccettabile. Quindi avevo escluso tale possibilità. Non è mai successo.

Oltre a Đorđević, nello studio legale che si trovava nella casa di sua moglie lavoravano anche gli avvocati Nemanja Vasiljević e Boris Bogdanović…

Non li conosco. Uno proviene dalla regione di Užice e l’altro lavorava nello studio di un mio collega, ormai scomparso, un maestro dell’avvocatura serba. Uno lavorava anche nello studio del signor Borivoje Borović. Io non li conosco. Nessuno mi ha mai visto bere un caffè con loro due.

Quei due avvocati hanno difeso alcuni politici molto influenti, tra cui il city manager di Belgrado Goran Vesić, il padrino del presidente Vučić, Nikola Petrović, e tanti altri. Questi politici potrebbero esercitare pressioni su di lei tramite gli avvocati che hanno preso in affitto l’immobile di sua moglie?

Assolutamente no! Qui avete testimoni – addetti alla sicurezza, segretario del tribunale, portavoce, tutto il personale – , potete chiedere loro se io abbia mai ricevuto quelle persone o parlato di loro. Mi tengo in disparte proprio perché non voglio essere etichettato. Lo capite? Suppongo che la vostra prossima domanda riguardi la mia nomina a presidente dell’Alta corte e presunti legami con il signor Đorđević. Giusto?

Diverse persone che lavorano nella magistratura con cui abbiamo parlato ritengono che Đorđević abbia influito sul suo avanzamento di carriera. Lei invece sostiene il contrario…

Credo che sia stato grazie ai miei risultati e alla mia carriera giuridica impeccabile che l’allora presidente della Corte d’appello mi abbia offerto l’incarico di presidente dell’Alta corte. Sono molto più efficiente rispetto ai miei colleghi. Quindi, lavoro e bado agli affari miei. Sono l’unico giudice che ha adottato ogni decisione nell’arco di otto giorni, nonostante il limite massimo previsto dalla legge sia di 15 giorni. Secondo me, non è normale che un giudice non riesca a emettere una sentenza per 500 giorni, così la sanzione non ha più alcun senso. Credo che l’efficienza della giustizia sia molto importante e ho sempre cercato di dimostrare che è possibile essere efficienti. E a pagarne le spese è stata la mia famiglia. Mia figlia era alle elementari, io mi sedevo nella sua camera e registravo le sentenze sul dittafono.

Ho deciso di accettare [l’incarico di presidente dell’Alta corte] per due motivi. Primo, i processi che seguivo erano molto complessi ed estenuanti sia dal punto di vista fisico che mentale, e questo ha avuto un impatto sulla mia famiglia. Ma se ora mi chiedeste se per me sia stato più facile nell’aula del tribunale o adesso, probabilmente risponderei che tornerei in aula. Il secondo motivo riguarda il mio stipendio, perché mia moglie e io da sempre lavoriamo nella pubblica amministrazione. Mia moglie lavora al ministero della Giustizia come esperta per la protezione delle persone private della libertà personale. Nel 2015 è stata insignita del premio OSCE per il personaggio dell’anno.

Va bene. Torniamo al periodo in cui Đorđević era a capo della BIA, e lei aveva già assunto l’incarico di presidente dell’Alta corte. In quel periodo è stata modificata la legge sui servizi segreti e le decisioni riguardanti i soggetti che possono essere sottoposti a intercettazioni e pedinamenti da parte dei servizi segreti sono diventate di competenza del presidente dell’Alta corte, mentre prima erano di competenza della Corte suprema di cassazione. Questa modifica ha qualcosa a che fare con i suoi legami con Đorđević?

Questa modifica risale al 2014. Ero a pranzo dai miei genitori quando i media hanno riportato la notizia che la legge sulla BIA è stata modificata e che alcune competenze della Corte suprema di cassazione sono state trasferite al presidente dell’Alta corte. In un primo momento, mia madre, mio padre, mia moglie e io non abbiamo capito bene di cosa si trattasse. Poi il giorno dopo ho chiesto a Đorđević cosa fosse successo, perché non ero preparato per quel lavoro.

Sembra molto strano che nessuno l’abbia consultata prima di modificare la legge…

Nessuno mi ha consultato. Non ne sapevo nulla ed ero rimasto molto sorpreso. Ora è il presidente della Corte suprema di cassazione ad essere competente dei servizi militari, mentre le decisioni riguardanti la BIA sono state trasferite all’Alta corte di Belgrado, ovvero al presidente della corte o a un giudice appositamente incaricato dal presidente.

Nell’aprile 2018 Đorđević ha trasferito il suo ufficio che non si trova più nella casa di sua moglie. Un anno prima aveva lasciato la BIA. Qual è oggi il suo rapporto con Đorđević?

Non abbiamo contatti ormai da tre anni. Questo lo potete verificare, potete verificare se qualcuno mi abbia visto insieme a Đorđević.

Lei ha continuato a collaborare con la BIA. Come funziona questa collaborazione? Quante richieste finora le ha mandato la BIA? E quante di queste richieste ha approvato?

Dal 1° gennaio 2020 al 22 ottobre 2020 ho ricevuto 97 richieste di misure straordinarie da parte dei dirigenti della BIA, di cui ne ho approvate 53 e 44 le ho respinte. Si tratta di questioni molto delicate, di restrizioni delle libertà dei cittadini, libertà garantite non solo dalla Costituzione ma anche dai trattati europei. Per ogni singolo caso cerco di corroborare la mia decisione dai fatti, ma anche da prove materiali.

Alcuni esponenti dell’opposizione e giornalisti affermano che qualcuno li sta pedinando e filmando, probabilmente la BIA. Secondo lei, è vero?

Per quanto riguarda il contenuto delle misure non posso rispondere. Secondo la legge sulla protezione dei dati personali sono tenuto a rispettare la riservatezza [degli interessati], pertanto vorrei evitare qualsiasi altro commento per non incorrere in situazioni spiacevoli. Le misure di sorveglianza previste dalla legge sulla BIA non sono di carattere penale, non comportano alcuna conseguenza penale, nel senso che [le informazioni ottenute grazie a queste misure] non possono essere addotte come prove in un procedimento penale. Possono eventualmente essere usate, in un secondo momento, come punto di partenza per un’indagine. Quando la BIA informa la procura delle sue rivelazioni, quest’ultima può avviare un’inchiesta penale nei confronti delle persone coinvolte, che quindi possono subire certe conseguenze. Quando invece la BIA invia a me una richiesta di misure straordinarie vuol dire che è venuta a conoscenza di certe informazioni che potrebbero rivelarsi importanti dal punto di vista della salvaguardia dell’integrità territoriale e dell’ordinamento costituzionale della Serbia.

È vero che non scatta subito un arresto, ma ci sono altre conseguenze. Le informazioni trapelano e le rivelazioni della BIA spesso finiscono sulle prime pagine dei tabloid. Anche lei lo ha sperimentato sulla propria pelle…

I servizi segreti sono guidati da persone che appartengono a diversi partiti politici. Questa tendenza [a trasmettere le informazioni riservate ai tabloid] non c’entra nulla con me. Io davvero non so se qualcuno stia facendo qualcosa che è in contrasto con le mie decisioni o con quelle adottate dai presidenti di altre corti, né tanto meno so se stia facendo certe cose perché spinto da motivi personali. Quello che possono dirvi è che ho l’impressione che dietro a questa tendenza [a passare le informazioni ai tabloid] si celino motivi personali, semplicemente perché ho assunto un determinato atteggiamento, ho espresso un’opinione diversa, forse è per quello che mi percepiscono come un fattore di disturbo.


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