Aleksandar Vučić e Ana Brnabić © BalkansCat/Shutterstock

Aleksandar Vučić e Ana Brnabić © BalkansCat/Shutterstock

Ancora prima che venisse varato il nuovo esecutivo era già stato dichiarato a termine. Sarà infatti una sorta di "sala di attesa" in vista delle ennesime elezioni politiche anticipate previste per il 2022, in concomitanza con quelle presidenziali e amministrative a Belgrado. Un'analisi

29/10/2020 -  Dragan Janjić Belgrado

Mercoledì 28 ottobre, dopo più di quattro mesi dalle elezioni politiche tenutesi lo scorso 21 giugno, è stato varato il nuovo governo serbo. Prima ancora che venisse portata a termine la formazione del nuovo parlamento e che si votasse la fiducia al nuovo governo, era già stato reso noto che il nuovo esecutivo sarà provvisorio e che durerà poco più di un anno. Una decisione piuttosto insolita, dato che alle elezioni dello scorso 21 giugno la leadership al potere, guidata dal Partito progressista serbo (SNS) del presidente Aleksandar Vučić, ha conquistato la maggioranza di due terzi del parlamento in cui praticamente non c’è opposizione.

Vučić ha annunciato che le elezioni politiche anticipate si terranno nella primavera 2022, insieme alle elezioni presidenziali e quelle amministrative a Belgrado. Il presidente probabilmente vuole sfruttare il fatto di essere di gran lunga la figura politica più popolare in Serbia e assicurarsi, convocando contemporaneamente tutti e tre gli appuntamenti elettorali, la possibilità di partecipare attivamente alla campagna elettorale a tutti i livelli.

Tenendo conto del fatto che Vučić e altri funzionari della coalizione di governo, nelle loro esternazioni pubbliche, criticano ampiamente l’opposizione che ha boicottato le ultime elezioni politiche e quindi non è rappresentata in parlamento (e di conseguenza, non ha la possibilità di incidere, attraverso le istituzioni, sulle vicende politiche ed economiche del paese), si può affermare che la campagna elettorale per le elezioni parlamentari anticipate è già iniziata.

Il nuovo governo sarà quindi una sorta di “sala d’aspetto“ in attesa delle elezioni previste per il 2022. I membri del nuovo esecutivo sono pienamente consapevoli del fatto che gli incarichi che hanno appena assunto sono provvisori e che il loro futuro dipenderà da quanto saranno capaci di preparare il terreno per un’altra vittoria dell’SNS. Inoltre, i ministri neoeletti capiscono molto bene che l’esito delle prossime elezioni, e quindi anche il loro futuro politico, dipenderà in gran parte dalla popolarità di Vučić. Decidendo di limitare la durata del mandato del nuovo esecutivo prima ancora della sua nascita, Vučić ha strettamente legato il potere esecutivo al proprio futuro politico e al futuro dell’SNS.

Il nuovo governo serbo, alla cui guida è stata riconfermata la premier uscente Ana Brnabić, sarà un governo di continuità, nonostante ben dieci ministeri siano stati affidati a persone che non hanno fatto parte dei governi precedenti. Gli esponenti di spicco dell’SNS che nel precedente governo hanno guidato alcuni ministeri chiave sono stati riconfermati per un secondo mandato, con l’unica differenza che alcuni di loro si sono scambiati le poltrone. Il nuovo esecutivo conta ventuno ministri, tre in più rispetto ai governi precedenti, a cui vanno aggiunti due ministri senza portafoglio. Quasi la metà dei ministeri, più precisamente undici, sono guidati da donne.

Il presidente Vučić ha influito in modo decisivo sulla scelta dei ministri, stando ben attento affinché i dicasteri chiave venissero affidati ai suoi più stretti collaboratori, ma al contempo cercando di premiare anche altri partner che in passato gli sono stati utili.

Ministri

La composizione del nuovo governo suggerisce un ulteriore avvicinamento di Vučić all’Occidente. Il Partito socialista serbo (SPS), che nel precedente esecutivo ha avuto cinque ministri, nel nuovo governo ne ha solo due: il ministro dell’Istruzione e un ministro senza portafoglio. La perdita del ministero dell’Energia è stato sicuramente il colpo più duro per l’SPS, che per anni è stato considerato come principale punto d’appoggio per Mosca in Serbia. La Russia praticamente detiene il monopolio sulle risorse di gas e petrolio in Serbia, per cui è ovvio che le interessa chi è alla guida del ministero dell’Energia serbo. Il fatto che l’SPS, dopo anni trascorsi alla guida del ministero dell’Energia, abbia perso questo dicastero potrebbe incidere sui rapporti con Mosca.

Il ministero dell’Energia è stato affidato a Zorana Mihajlović, che nel precedente governo è stata ministra dell’Edilizia, dei Trasporti e delle Infrastrutture e in passato aveva già ricoperto l’incarico di ministra dell’Energia. Zorana Mihajlović non è vista come una figura politica vicina a Mosca e con le sue posizioni e azioni finora ha sempre lasciato intendere di essere più legata all’Occidente, cioè a Bruxelles e Washington, che alla Russia. Mihajlović è un’alta funzionaria dell’SNS ed è logico supporre che goda di maggiore fiducia da parte del presidente Vučić rispetto all’ex ministro dell’Energia ed esponente di spicco dell’SPS Aleksandar Antić.

Il leader dell’SPS Ivica Dačić, che nel precedente esecutivo ha ricoperto l’incarico di ministro degli Esteri, è stato eletto presidente del parlamento. Il nuovo ministro degli Esteri è Nikola Selaković che negli ultimi anni è stato capo di gabinetto del presidente Vučić. Selaković, che gode di grande fiducia da parte di Vučić, è approdato alla guida del ministero degli Esteri in un momento in cui Bruxelles e Washington chiedono a Belgrado di accelerare i negoziati sulla normalizzazione delle relazioni con Pristina. La scelta di Selaković come nuovo ministro degli Esteri è probabilmente legata al desiderio di Vučić di evitare ogni eventuale sorpresa sul piano della politica estera nel prossimo anno. Pur essendo considerato un fervente nazionalista, non vi è alcun dubbio che Selaković esaudirà tutte le richieste di Vučić, a prescindere dal loro contenuto.

Novica Tončev, vicepresidente dell’SPS, è stato nominato ministro senza portafoglio, mentre Branko Ružić, anch’egli alto funzionario dell’SPS, è stato nominato alla guida del ministero dell’Istruzione. Ružić ricoprirà anche la carica di primo vicepremier, mentre i due vicepresidenti dell’SPS, Aleksandar Antić e Slavic Đukić Dejanović, assumeranno, come annunciato, incarichi di rilievo ma non in seno al governo.

L’SPS ha deciso chi, tra i suoi membri, andrà ad occupare le due poltrone ministeriali ottenute nel nuovo esecutivo solo all’inizio di questa settimana (quindi poco prima del voto sul nuovo governo), il che significa che c’è stato un feroce dibattito all’interno del partito. Secondo fonti ben informate, l’SPS è stato scosso da forti dissidi interni, ma alla fine ha prevalso il pragmatismo e il desiderio di mantenere, quanto più possibile, una posizione chiave all’interno del governo.

L’ex ministro dell’Interno e quello della Difesa si sono scambiati le poltrone, quindi Nebojša Stefanović è diventato ministro della Difesa, mentre Aleksandar Vulin è approdato alla guida del ministero dell’Interno. Negli ultimi anni sia Stefanović che Vulin sono stati accusati di essere coinvolti in vari scandali finanziari, ma questo evidentemente non ha impedito che venissero riconfermati per un secondo mandato.

Alcuni media indipendenti e portali di giornalismo investigativo hanno scritto, citando documenti ufficiali, del coinvolgimento di Nebojša Stefanović in malversazioni legate al traffico di armi, e si è anche speculato sul fatto che negli ultimi anni Stefanović e la sua famiglia si siano arricchiti, diventando più forti anche politicamente. Questo, a quanto pare, non piace a Vučić, ma ciononostante il presidente ha deciso di affidare nuovamente a Stefanović uno dei ministeri più importanti.

Dialogo

Il fatto che Vučić – pur avendo un controllo assoluto delle principali leve del potere – abbia già annunciato di voler indire elezioni politiche anticipate dimostra che il presidente serbo è consapevole che l’egemonia di un solo partito, instaurata dopo le ultime elezioni, è in contrasto con gli standard democratici e con le richieste dell’Unione europea. A spingere Vučić a riflettere su questa problematica è stata probabilmente, tra le altre cose, l’ultima relazione della Commissione europea sui progressi compiuti dalla Serbia nel processo di adesione in cui il governo serbo è stato fortemente criticato per il deterioramento dello stato di diritto e delle libertà dei media nel paese. Questo rapporto è la prova definitiva del fatto che, oltre a esaudire alcune richieste legate alla normalizzazione delle relazione con il Kosovo, la leadership serba dovrà affrontare anche altre questioni per poter avanzare sulla strada dell’integrazione europea.

Tra i nuovi ministeri istituiti dal neoeletto esecutivo, sicuramente il più interessante è quello per i Diritti umani e delle minoranze e per il dialogo sociale. L’istituzione di questo ministero è legata al desiderio della leadership al potere di rilanciare, nell’ambito dei preparativi per le prossime elezioni, il dialogo con l’opposizione, cercando così di smorzare le critiche provenienti dall’Occidente sulla mancanza di un dialogo interno alla società serba. Non è però ancora chiaro come in pratica sarà organizzato questo dialogo.

Alla guida del nuovo ministero per i Diritti umani è stata nominata Gordana Čomić, ex funzionaria del Partito democratico (DS), che alla vigilia delle ultime elezioni politiche è uscita dal DS, opponendosi alla decisione del partito di boicottare le elezioni e decidendo di partecipare alla corsa elettorale. Tuttavia, la lista guidata dalla Čomić non è riuscita a superare la soglia di sbarramento ed è rimasta fuori dal parlamento.

Proponendo una persona che non fa parte dell’SNS come ministro del nuovo governo, Vučić con tutta probabilità ha voluto dimostrare a Bruxelles di essere aperto e disposto al dialogo con i suoi opponenti politici, ma questa mossa di Vučić produrrà un effetto del tutto contrario sulla scena politica serba: la maggior parte delle forze dell’opposizione che hanno boicottato le ultime elezioni rivolge infatti forti critiche a Gordana Čomić, ritenendo che l’ex funzionaria del DS sia “passata dalla parte di Vučić“. Se il nuovo ministero guidato dalla Čomić dovesse diventare un motore del dialogo tra maggioranza e opposizione sulle condizioni per lo svolgimento del processo elettorale, l’atteggiamento dell’opposizione nei confronti della neoeletta ministra inevitabilmente finirà per appesantire fortemente l’intero processo.

È possibile che il ruolo del nuovo ministero in pratica venga circoscritto al rafforzamento del dialogo tra governo e società civile, ma dal momento sono i partiti politici, e non le organizzazioni non governative, a partecipare alle elezioni e tali iniziative non potranno certo sopperire alla mancanza di un dialogo politico.


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